Giuseppe D’Addetta è stato tra gli intellettuali dauni e garganici più attenti alla valorizzazione del territorio provinciale e del promontorio, e tra i più abili a raccontarne le millenarie radici. Nato a Carpino nel 1899, ha scritto molti libri sulla Montagna del Sole, ed è stato tra i primi ad intuirne il potenziale, battendosi tenacemente per superare i localismi e i campanilismi.
D’Addetta non disdegnava tuttavia di estendere il suo sguardo e la sua prosa, intensa e forbita, a tutta la provincia di Foggia, come testimonia questo splendido articolo, che ho trovato su uno dei primi numeri de La Tribuna di Foggia, settimanale di ispirazione democristiana che si pubblicava negli anni Cinquanta.
È una delle più riuscite ed esaurienti narrazioni che ho mai letto della Daunia e dei suoi diversi territorio, il Tavoliere, il Subappennino e il Gargano, e mi piace condividere questa prosa così bella, con gli amici e i lettori di Lettere Meridiane. D’Addetta ci fa scoprire la Capitanata come unicum, “compendio di tutti i panorami della grande Penisola incantata”, come recita il “sommario” dell’articolo intitolato, Daunia Nostra, e pubblicato nel numero del settimana uscito in edicola il 13 ottobre del 1951.
D’Addetta fu molto attivo come scrittore e come giornalista. Fondatore del periodico Rinascita Garganica, ebbe il merito di rilanciare la pubblicazione de Il Gargano Nuovo.
Dello scrittore giornalista di Carpino, Lettere Meridiane ha già pubblicato Ogni cent’anni, che racconta la leggenda di Pizzomunno (che nella novella viene chiamato con il nome più antico di Pizzimunno) e Vesta.
Una storia di rara delicatezza, resa ancora più struggente dalla notevole capacità letteraria di Giuseppe D’Addetta, che si spense a San Menaio, nel 1980. Buona lettura.
(g.i.)
La sterminata pianura del Tavoliere con le caratteristiche masserie e i paesi accovacciati intorno ai campanili aguzzi – L’ampia balconata del Subappennino con i suoi insigni monumenti – Il massiccio ciclopico del Gargano azzurro, verde, odoroso, misterioso e profondo
È una terra tormentata nei millenni questa nostra terra dauna e l’aspetto che ora presenta è certo il risultato di emersioni e colmate che di un ampio spazio di mare hanno fatto l’immensa pianura del Tavoliere di Puglia.
Il crinale italico degli Appennini si è cosi congiunto con le vette più alte della mitica Adria e lo Stivale ha avuto il suo Sperone.
Ed a chi arrivi in terra dauna, dal sud o dal nord, la sterminata piana, granaio d’Italia. si presenta fra due baluardi montagnosi che sembrano eretti dalla natura a sua difesa. Piana immensa che ricorda ancora la sua origine; perché sempre ondosa appare, sia che i solchi dell’aratro ne accavallino le zolle scure, sia che le brezze facciano tentennare le spighe verdi e d’oro.
La Puglia piana
A distanza l’una dall’altra, come sperdute nei dilagare delle messi, le caratteristiche masserie di Puglia picchiettano questa pianura che l’occhio non riesce ad abbracciare, mentre pochi e grossi paesi sono accovacciati intorno a campanili aguzzi ed a cupole rotonde. Qui è la Puglia plana, livida o arroventata di sole a seconda delle stagioni, dal paesaggio uniforme di campi e vigneti con pochi alberi, su cui svettano nei cielo gli ombrelli dei pini, solitari o a gruppi, come vedette per gli armenti transumanti, proni verso terra nei tratturi ampi, che scendono dai monti d’Abruzzo ai primi freddi e lì tornano nella primavera gioiosa. Ma la Daunia non offre solo la visione piatta del suo Tavoliere sconfinato, perché dei suoi 7000 Kmq. circa di superficie, ben 3000 sono rappresentati dalle zone montagnose del Subappennino e del Gargano.
Verso l’interno, questa nobilissima provincia Italica, che fin dall’antichità romana fu chiamata inclita, presenta, in una catena ininterrotta, le terrazze subappenniniche, dalle quali si affacciano cittadine bianche le cui origini si perdono nella notte dei tempi. E sulle prime pendici di quest’ampia balconata, custoditi gelosamente dagli antichi popoli lucerino e troiano, fra i tanti che l’arte romanico-pugliese e pisana qui fece sorgere ed il tempo e gli eventi distrussero, vivono ancoro monumenti insigni della civiltà cristiana. O malconci e sgretolati ruderi, vetusti ed illustri, fra cui quelli di Castel Fiorentino sperduti nella pianura immensa e prossimi a scomparire del tutto, dove si avverò la terribile profezia e Federico II, il grande imperatore che la Daunia predilesse, in una sosta occasionale, a soli 56 anni, inaspettatamente compì il suo cammino terreno.
S’alza poi la barriera e s’entra nella zona montagnosa del crinale che dimezza l’Italia. Lungo è il poggio che arresta la piana. Lì cresce l’ulivo ed il bosco assume alle volte l’intrigo di una foresta; ma il terreno suscettibile di cultura è talmente sfruttato che i colli sono ammantati tutti di verde e d’oro a seconda delle stagioni. E in questo disordinato accavallarsi di alture e di monti, è nascosta una densità di centri abitati che non presenta né la pianura né il Gargano, perché circa la metà — una trentina dei sessanta Comuni della Daunia – sono rincantucciati nel nostro Subappennino. I paesi sono vicini l’uno all’altro ed alle volte quasi senza soluzione di continuità. La vita è povera senza però che vi sia più miseria che altrove, perché le popolazioni sono laboriose ed industri, frugali anche, ma di una gentilezza ospitale che ha del primitivo, con nell’animo un desiderio grande di vita migliore e nel cuore un amore infinito per i loro fantastici monti che a notte intristiscono e che al paesaggio dauno donano le vette più alte.
Albanese e Provenzale
Al di là di queste propaggini appenniniche, oltre la striscia argentea del Fortore che precipita a valle verso il mare, sono le montagne innumeri del Molise e del Sannio e nella parte meridionale i colli verdi o brulli dell’Irpinia e del Vulture. Il paesaggio è vario ma il tono dominante è sempre e solo quello di una plaga collinosa interna, alla quale la da sfondo e dà respiro il piano immenso come se ne costituisse l’indispensabile piattaforma. Ed i borghi hanno caratteristiche comuni su cocuzzoli o su dorsi, stretti intorno a vecchie torri mozze o a campanili snelli, e fonti limpide e cristalline zampillano nelle valli ed alimentano i corsi torrentizi della Daunia piana. Ma alle volte, come a Casalvecchio ed a Faeto, sembra di non essere in terra di Puglia, perché è l’albanese o il provenzale che formano tuttora l’idioma del popolo, tenace nelle secolari tradizioni. Ed anche a Roseto, stretto fra i monti a circa 700 metri di altitudine, non sembra di essere nel Subappennino dauno, per la curata estetica urbanistica che mostra, nel maggior benessere degli abitanti
Lo Sperone d’Italia
Nei campi di questo paese civettuolo al quale, ben s’addice il nome odoroso, sfavilla abbondante la pirite ed in riflessi d’oro si rifrangono i raggi del sole che baciano questa terra. L’altra zona collinosa della Daunia è il Gargano, che rompe la figura circolare della provincia e si protende nel mare disegnando lo Sperone d’Italia.
È un massiccio ciclopico che al piano mostra una parete rugosa, glabra, che sembra senz’anima, senza fascino, senza bellezza. È solitario, con una propria ed inconfondibile individualità, che può sembrare solenne, sdegnoso o selvaggio a seconda dello stato d’animo e delle ore in cui si guarda. Ma se si supera la parete brulla e rugosa e si percorre questa terra che man mano si svela, come un miracolo appare la grande varietà d’aspetti che questo piccolo promontorio racchiude. Perché in soli 2000 Kmq. circa di superficie, in una storia gloriosa di millennii, presenta cento volti, le bellezze più ardite, i santuari più famosi, i laghi più azzurri, le foreste più ampie ed intricate, gli agrumeti più odorosi, le pinete più verdi e pittoresche, le spiagge più assolate, i monumenti più misteriosi, le caverne più profonde.
Terra non ancora valorizzata e conosciuta in tutta la sua bellezza, dolce ed orrida, dove la storia si fonde con la leggenda, la pura passione amorosa con la tragedia, il santo con il profano, ed i laghi costeggiano il mare e dai piani s’elevano improvvise le colline fra cui valli ombrose e burroni rocciosi s’insinuano per creare altri aspetti e nuove sensazioni.
La Montagna del sole
Terra consacrata dall’Arcangelo Michele che dell’orrido speco [caverna, grotta, n.d.r] di Monte S. Angelo ha fatto la sua celebre basilica, dove pare si sia di nuovo appalesata la grazia divina con l’apostolato, nel disadorno convento di S.Giovanni Rotondo, di P. Pio da Pietrelcina, l’umile francescano tormentato dalle stimmate sanguinanti ed in odore di santità.
La Montagna del sole, come dalle genti del Tavoliere il Gargano è chiamato perché
dalle sue creste appare sempre ogni mattina l’astro dorato, sembra un altare eremitico fra la piana ed il mare, gigantesco, sulla cui cima più alta, in un’era lontanissima, i ciclopi immolavano le loro vittime agli dei. E gradini per ciclopi sembrano le infinite terrazze e ripiani che scalettano i colli meridionali e che dalle vette scendono giù giù fino all’ampio golfo sipontino, coperti da terra portata a spalla per fecondare il sasso sterile dove ora verdeggia il grano; e bosco per ciclopi pare l’immensa foresta Umbra fitta di alberi colossali e ramosi dove forse i mostri si stendevano al rezzo [ombra, frescura, n.d.r.]; case per ciclopi dovranno anche sembrare le caverne che forano questa montagna misteriosa quando saranno esplorate.
Poi a settentrione è una riviera dolce e profumata, con paesini bianchi aggrappati a rocce sul mare turchino che s’infrange su una sabbia d’oro in una meraviglia di pini e d’agrumi, nella pace degli oliveti mesti, nel fascino dei laghi trascoloranti pescosi e ricchi di caccia, in una ininterrotta sequenza delle più varie bellezze della natura che sintetizza in un piccolo spazio gli aspetti più disparati.
Questo è il paesaggio dauno, in cui tutto è rappresentato e dove ferve un’operosità tenace per la rinascita di questa terra ricca e fantastica che, forse come nessun’altra regione d’Italia, può offrire al turista tutte le visioni e tutti i panorami della grande penisola incantata.
Giuseppe d’Addetta
(La foto che illustra il post è di Carmelo Roberto. Le altre foto, nell’ordine, sono di Fiore Barbato, Vincent e Roberto D’Onofrio. Tutte le immagini sono coperta da licenza Creative Commons)
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