Sono particolarmente grato (e li ringrazio anche a nome dei tantissimi amici e lettori di Lettere Meridiane che seguono con passione e interesse la questione meridionale) a Domenico Iannantuoni e
a Michele Eugenio Di Carlo per aver voluto che il nostro blog ospitasse questo loro prezioso articolo sulla produzione meridionale probabilmente più tipica e più profondamente e intimamente legata al territorio: l’olio d’oliva.
Iannantuoni è presidente del Comitato tecnico-scientifico No Lombroso, Di Carlo è socio ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia e agronomo. I due autori vagheggiano la possibilità di una filiera dell’olio d’oliva tutta meridionale (il titolo originale dell’articolo, che ho abbreviato per ragioni di leggibilità sul social era Avanti con una filiera dell’olio d’oliva tutta meridionale).
Il loro contributo è tanto più prezioso perché tiene assieme l’aspetto tecnico ed economico con quello culturale e sociale.
Il riscatto del Mezzogiorno non può che partire dal territorio, che è probabilmente la ricchezza e la risorsa più grande che il Sud possiede.
La filiera tutta meridionale dell’olio di oliva potrebbe essere un ottimo inizio.
(g.i.)
Il 90% della produzione di olio d’oliva extra vergine si concentra nel Sud Italia con Calabria e Puglia che raggiungono quasi sempre il 70 %. Ma la commercializzazione e la distribuzione dell’oro giallo segue i circuiti imposti dalla grande distribuzione e dalle grandi aziende con sede legale ben oltre la linea di demarcazione del Sud. Ai produttori locali spesso non resta che svendere il prodotto ad un prezzo sottocosto che va da 3 a 5 euro al kg.
Spesso gli stessi consumatori delle regioni meridionali comprano l’olio imbottigliato nei supermercati a 4 euro al litro, invece di recarsi direttamente nei frantoi o direttamente nelle aziende dei piccoli produttori. Altrettanto spesso capita che consumatori poco accorti e nient’affatto informati comprano addirittura oli non extra-vergini, rettificati o di dubbia provenienza. Bisogna ripeterlo: un olio extra vergine di oliva normale non può costare meno di 7-8 euro al litro, se poi la coltivazione è biodinamica, biologica, senza l’utilizzo di pesticidi, la produzione rischia di dimezzarsi e il costo non può essere inferiore a 14-15 €/litro.
Un tempo il rapporto di equilibrio tra olio e vino era di 15 a uno: cioè quindici litri di vino pareggiavano i costi di un litro d’olio; un rapporto totalmente stravolto all’attualità. Il consumatore deve capire che la sua salute non dipende dall’acquisto di prodotti mistificati o peggio sofisticati. D’altro canto il consumo pro-capite di olio è oggi di 15 litri all’ anno per una spesa complessiva annua del tutto affrontabile se si intende badare alla salute acquistando olio di qualità certificata.
Il Sud deve assolutamente evitare che il proprio olio venga acquistato sottocosto da intermediari al servizio delle grandi aziende e della GDO (grande distribuzione organizzata) che lo imbottigliano e lo distribuiscono, non solo nel nord e all’estero, ma addirittura nelle regioni meridionali di produzione a prezzi triplicati. Non di rado, invece, anche i consumatori meridionali acquistano nei supermercati della GDO con sede legale al nord olio tunisino, spagnolo o greco.
In altre parole occorre procedere speditamente alla realizzazione di una “filiera olearia meridionale” che si faccia carico di concentrare anche nelle regioni del Sud l’imbottigliamento, la commercializzazione e la distribuzione. E questa esigenza diventa ancora più urgente nei tempi del “regionalismo differenziato”, che promette di destinare i proventi delle tasse esclusivamente nelle regioni dove le aziende hanno la sede legale.
Nel Sud dai circa 4500 frantoi solo un quinto della produzione viene imbottigliata, mentre il Centro con circa il 9% della produzione ne imbottiglia circa il 50% e il resto viene imbottigliato nel Nord, nonostante una produzione di nessun rilievo. In particolare, la Toscana con una produzione limitata mediamente al 5% è al primo posto per le aziende di imbottigliamento, che acquistano olio in altre regioni , lo miscelano e lo confezionano.
Quindi, quasi tutta la produzione di olio italiano viene vantaggiosamente confezionata nel centro-nord, tanto che è possibile asserire che l’industria olearia italiana è praticamente tutta centro-settentrionale. Un comparto che, comprando all’estero olio a prezzi stracciati, agisce potentemente nel deprimere il valore della produzione nazionale fino al limite del sottocosto. Un sottocosto che spesso costringe le aziende olivicole meridionali nelle mani del caporalato con l’utilizzo di veri e propri schiavi nelle varie fasi della lavorazione.
Il mercato dell’olio d’oliva italiano, vero o mistificato che sia, comporta un giro d’affari di diversi miliardi di euro, saldamente in mano alle grandi aziende e alla grande distribuzione del centro-nord.
In tempi in cui nel giro di pochi anni circa 1,8 milioni di cittadini del Sud sono emigrati, – un decimo della popolazione -, diventa necessario e prioritario imporre alle nostre regioni il rilancio dell’economia agricola, olivicola in particolare. Alle regioni del Sud spetta il compito di attivarsi immediatamente per una politica di ricostruzione della propria tipica filiera olivicola, mettendo ai margini le grandi aziende e la GDO e diventando protagoniste della fase di commercializzazione e di distribuzione dell’oro giallo, in maniera tale che tutto l’imbottigliamento avvenga sul territorio di produzione e in maniera certificata.
In fondo si tratta di riportare al Sud una ricchezza che gli appartiene e che le solite politiche nord centriche gli hanno sottratto. Una ricchezza che, garantendo lavoro a decine di migliaia di lavoratori e un reddito sicuro a centinaia di migliaia di aziende olivicole, ridurrebbe il tasso di disoccupazione di diversi punti.
Domenico Iannantuoni *
Michele Eugenio Di Carlo **
* Presidente del Comitato tecnico-scientifico No Lombroso
** Socio ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia, agronomo
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D'accordissimo su tutto, ma i nostri agricoltori saranno in grado do organizzarsi?