Un intervento denso, pieno di spunti di riflessione ma anche di dati quello pronunciato dal sociologo Roberto Lavanna durante il focus sul futuro di Foggia e della Capitanata svoltosi qualche giorno fa a Parcocittà, per iniziativa di un cartello di associazioni e gruppi (vi fanno parte il Cup – Comitato unitario permanente degli Ordini e dei Collegi professionali, Capitanata Futura, la Fondazione dei Monti Uniti di Foggia, le Acli, Legambiente, l’Arci, il Fai e Lettere Meridiane.)
Ecco il testo integrale dell’intervento di Lavanna, che ringrazio per aver acconsentito alla pubblicazione su Lettere Meridiane, intervenuto nella sua qualità di componente il cda della Fondazione dei Monti Uniti di Foggia.
La Fondazione dei Monti Uniti di Foggia fino allo scorso anno Fondazione Banca del Monte di Foggia è una fondazione di origine bancaria, una delle 88 fondazioni presenti sul territorio nazionale, 79ma come patrimonio, una delle poche fondazioni nel Mezzogiorno, una delle due nella Regione Puglia. La Fondazione è certamente una risorsa per il territorio, ha un patrimonio per vocazione destinato allo sviluppo sociale e culturale del territorio di riferimento che per noi è la città di Foggia e ogni anno destina per questo obiettivo una somma riveniente dai benefici di questo patrimonio.
Un insieme di risorse che possiamo dire ‘modeste’ per la quantità e la qualità degli interventi a cui il territorio costantemente ci chiama, in maniera diretta o indiretta.
Non sono un pubblico amministratore, non sono un costruttore.
Qui rappresento, permettetemi di dire, una delle parti ‘facili’ di questo tavolo, per intervenire nel quadro di una città che ha bisogno di tutto – mi rifaccio all’obiettivo 11 dell’Agenda 20 20 -: dalla sicurezza stradale a mezzi di trasporto sicuri e sostenibili, alla qualità dell’aria, alla gestione dei rifiuti, agli spazi verdi sicuri ed inclusivi.
In Fondazione lavoriamo ad esempio sulla consapevolezza dei problemi: ultimo è stato, venerdì scorso, Giuseppe Provenzano, vicedirettore dello Svimez, ente privato, senza scopo di lucro, fondato nel 1946, il cui obiettivo principale è lo studio dell’economia del Mezzogiorno, per proporre a istituzioni centrali e locali concreti programmi di sviluppo delle Regioni meridionali, arrivando così a realizzare “l’unificazione anche economica dell’Italia”.
Vorrei trasmettervi alcune delle sue molte sollecitazioni: dal 2008 al 2015 l’Italia ha vissuto, per 7 anni, la sua più grave crisi economica dal dopoguerra, con conseguenze devastanti per il Mezzogiorno: la povertà assoluta riguarda l’8,5% delle famiglie, la povertà relativa il 20% delle famiglie, un giovane su due è disoccupato; nella pur importante ripresa di questi ultimi due anni, a un posto di lavoro riguadagnato non ha corrisposto un povero in meno; sono andati via dal sud in questi ultimi 15 anni, 500.000 giovani di cui oltre 200.000 laureati: abbiamo perso 30 miliardi e 2 punti di Pil; sono diminuite del 15% le spese alimentari. Lo sbilancio demografico nei prossimi anni avrà conseguenze drammatiche per il Mezzogiorno.
Gli investimenti e le infrastrutture contano e come, ma in questi anni ne abbiamo visti pochi: il sud non è una pentola bucata. La popolazione del Sud rappresenta il 34% della popolazione italiana (almeno fino ad oggi): basterebbe questa percentuale nel riequilibrio dei conti e degli investimenti pubblici.
Infine le mafie presenti nel Sud non sono un alibi per non fare altrimenti si innesca un circuito vizioso che va tutto a favore del controllo di questo territorio a favore della malavita organizzata e no.
Cosa deve fare per il Mezzogiorno: premesso l’efficentamento della P.A., 1. attrarre investimenti esterni; 2. aumentare il dimensionamento delle imprese per affrontare efficacemente la concorrenza; 3. internazionalizzare le imprese.
Mi duole dirlo ma pur invitati, a questo incontro non c’era nessun amministratore della città.
Vorrei citarvi Italo Calvino ne “Le città invisibili”: «D’una città non si gode le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda».
Le risposte e soprattutto le domande sono cambiate da quando Italo Calvino scriveva queste parole. L’Italia 2018 sembra non conoscersi né più riconoscersi e bisogna ripartire dal lì per capire che paese siamo.
Dall’antropologia culturale, uno degli elementi fondanti dell’identità di ciascuno è il territorio: “uno spazio concreto o ideale che delimita il territorio reale o ideale nel quale vive o si esprime una determinata identità; non c’è, infatti, identità che non si collochi in un determinato spazio fisico o simbolico o in entrambi”.
Allora, il problema dell’identità è un problema antico quanto l’essere umano: è il problema che ogni persona si è trovato, si trova e si troverà sempre ad affrontare. Le domande sono: “Chi sono?”, “Chi siamo?”, “Chi sono gli altri?”, “Dove vado?”, “Perché?”, sono le domande fondamentali, fondanti di ogni azione umana.
Il concetto di vicino/lontano spazialmente inteso, è stato rivoluzionato anche in una realtà ‘periferica’ come Foggia, abbiamo una dimensione internazionale con cui competere – non più solo locale né nazionale -. Guardiamo solo ai nostri figli: io sono andato ad incontrarli i miei, negli ultimi dieci anni, in Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Lazio, e in Spagna, Olanda, Svezia e ora devo andare in Inghilterra.
Non possiamo allora non interrogarci sul rapporto che si viene intessendo tra il nostro senso di appartenenza a strutture comunitarie territoriali ed etniche e la contemporanea partecipazione a comunità trasversali che trascendono le situazioni spaziali nelle quali la nascita o la residenza ci inserisce.
Foggia, per proprie peculiarità, specie geofisiche (è al centro del Tavoliere), riveste un ruolo importante nel processo storico che ha determinato e determinerà lo sviluppo dell’intera Capitanata.
Abbiamo vissuto in una città che ci è parsa ingovernabile sul piano dell’immagine che ha dato di sé stessa, quotidianamente: dalla gestione dell’immondizia, ai giardini pubblici, ai parchi, alle strade, ai monumenti, …
Una città in cui sembrava che a dettare l’agenda erano interessi esterni a quelli collettivi (interessi dei singoli, di gruppi specifici e della criminalità organizzata e non organizzata), interessi lontani da uno sviluppo legato allo specifico della propria storia.
Foggia può cambiare volto: (e vi detto il libro dei sogni di tutti noi o almeno, di molti di noi) pulizia, messa in sicurezza dei conti comunali, giardini e parchi accessibili, monumenti fruibili, teatri aperti, piste ciclabili, periferie percorse da aventi culturali, lotta all’abusivismo, rispetto delle regole, legalità diffusa, basta versare cemento e ferro per nuove costruzione e di consumare il territorio agricolo…
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E’ faticoso, oggi, governare questa città anche per chi si avvia a governarla nel prossimo futuro, occorre diffondere impegni di responsabile cittadinanza attiva con donne e uomini che si impegnino nei luoghi dove nascono i circuiti decisionali e occorre altresì una rinnovata autostima, che ci liberi da un ‘declinismo’ imperante e maggioritario tra la stessa popolazione locale.
Pensate che nel luglio del 1943 era nello zaino degli americani che sbarcavano in Sicilia, un opuscolo – dove era scritto – per istruirli sulla “…moralità superficialmente molto rigida, in realtà a un livello molto basso” di questi italiani del Sud.
Lo sviluppo di Foggia non è stato in passato una parentesi inattesa e immeritata di un’eterna marginalità, ma è stato il frutto di un complesso di uomini e di comportamenti, individuali e collettivi, che ha garantito, sviluppato e fatto emergere una progressiva capacità di crescere di questa terra.
Occorre riprendere questo cammino.
Roberto Lavanna
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Il sud ha bisogno di grandi attenzioni
Ottimo intervento,ampiamente condivisibile e peraltro in linea con gli altri dei relatori. Unica precisazione sulla partecipazione,oltre a me consigliere comunale e provinciale di Foggia,c'era anche un altro consigliere comunale ad ascoltare gli interventi. Nel merito, a mio modesto avviso essenziale risulta essere la visione multidimensionale nella progettazione dello sviluppo di una città basata sulla seguente impostazione, richiamando La Pira, la Città per l'uomo e non il contrario. Maggiore partecipazione e condivisione con i concittadini (nelle varie forme associative e di aggregazione) nella elaborazione del progetto di sviluppo e nella successiva fase di attuazione con il pieno ed indispensabile coinvolgimento del nostro tesoro più grande: i nostri giovani che, formati e pieni di voglia di fare, sono costretti invece ad andar via. Pasquale Cataneo