C’è forse una soluzione per il giallo degli stemmi civici foggiani rinvenuti a Lucera, durante i lavori di restauro della Chiesa di San Leonardo.
Come si ricorderà, fu proprio Lettere Meridiane ad aprire il caso, dando notizia che durante il resturo dell’antica e pregevole chiesa lucerina erano improvvisamente tornati alla luce (in precedente erano stati coperti) ad un lato e l’altro di un altare, due stemmi della città di Foggia (li vedete riprodotti nella immagine a fianco).
Ad offrire una chiave di lettura è Massimiliano Monaco, cultore di storia locale foggiana e lucerina: “Mancano ancora riscontri documentati, ma appare sempre più probabile che l’altare con lo stemma della Città di Foggia che è nella chiesa di San Leonardo di Lucera provenga dalla cattedrale di Foggia la quale, come è noto, dopo il terremoto del 1731 fu completamente rinnovata nel suo arredo interno. Purtroppo dell’archivio degli agostiniani di Lucera non vi è più traccia e occorre ricercare tra le carte della Collegiata di Foggia.”
Era stato il compianto Savino Russo ad adombrare la possibilità che la soluzione del mistero potesse annidarsi tra le antiche carte degli agostiniani. Che però non esistono più, così che sarebbe il caso di accogliere l’invito di Monaco, per verificare se qualche traccia possa essere trovata nell’archivio della Collegiata, che è poi la Cattedrale di Foggia.
La soluzione prospettata da Monaco – che ringrazio per la sua attenzione e per la passione culturale e scientifica con cui interviene e commenta le lettere meridiane – è più che verosimile. La riproduzione delle tre fiammelle sullo stemma civico di Foggia era già in uso da prima del disastroso terremoto del 1731. Inoltre il disegno sembra corrispondere proprio al modo con cui il fuoco sull’acqua veniva rappresentato anticamente, con fiamme più grandi ed irregolari, rispetto alle odierne, quasi stilizzate fiammelle.
Se volete rileggere gli articoli pubblicati in precedenza, con i relativi commenti, li trovate ai seguenti collegamenti
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Caro Geppe, ho recentemente recensito l’infelice pubblicazione di Renzo Infante, La Madonna velata, Foggia, FMU, 2019, in cui fra errori madornali, lungaggini ed analisi infondate, ed infine sproloqui contro Foggia e i Foggiani il lettore si confonde come si confonde l’autore. Ed anche sulle tre fiammelle sull’acqua. Siamo abituati a considerarle lo stemma di Foggia. In realtà il mito delle tre fiamme sull’acqua, in cui prima del cristianesimo era presente una divinità garante dei processi socio-economici connessi alla fecondità, e quindi alla transumanza, che col cristianesimo è presente sì ma come immagine, questo mito è molto antico, antichissimo e diffuso nel mondo. Chi legge la recensione se ne può rendere conto per gli esempi che ho portato dal Giappone al Nuovo Mondo, passando per il Po, Camogli, Gallipoli, e Foggia e forse tutto il Tavoliere, come i reperti lucerini lasciano ipotizzare. Solo a Foggia non si ripete il rito: sul Gange, sul Po, a Camogli, e Gallipoli fino al s. scorso, si fanno scivolare fiamme sull’acqua ad hoc. Infante affestella toponinimi, facendone strame, e pseud-analisi. Che siano legati, questi stemmi, ad una famiglia, alla città, non è importante: quello che importa e il riflesso che anche in essi aveva il mito pastorale ed i conseguenti riti: e questi riti venivano con tutta probabilità fatti intorno ad una chiesetta sperduta nel Tavoliere presso una FOVEA, ma già dal II s. d.C., si diceva fòggia, essendosi compiuto nel latino parlato il passaggio fonetico. I pastori si riunivano presso le marane foggiane, e forse anche presso il convento di S. Nicola, le cui ultime vestigia, a Porta Lucera, furono distrutte nel 1824 (Archivio di S.F.). Di questa riunione, così ovvia, non c’è traccia nei documenti, si sa invece che i pastori, dimentichi di questi riti, nel tornare in Abruzzo si riunivano presso l’Incoranta. Era un ripiego. Già solo nel passare per Foggia fino al 1930 l’olezzo che lasciavano gli ovini e gli altri animali, generava un tanfo insopportabile. Quando, con i Normanni, il primo casale si andava enucleando fu mesteri spostarsi all’Incoranta, Ma quella Madonna, a leggere la leggenda, non è protettrice della pastorizia transumante, ma della selva, essendo stata scoperta da un cacciatore (il presunto Conte di Ariano) e da un contadino, il cui nome Strazzacappa ce lo qualifica come terrazzano, “ante litteram”, per Foggia, in quanto terrazzano, e si trova anche nello Zingarelli, vuol dire ‘cittadino’: la stracciabraghe, stracciacappa etc… è la Smilex Aspera, la salsapariglia, una pianta ch’egli poteva raccogliere; l’economia della selva cui l’antica Madonna, celebrata nella festa delle incoronate (dal dialettale i N-gurnätë, plurale), invitatava la società a dedicarsi, da i tempi: il Santuario è infatti molto più antico, ne ho trovato traccia in un documento del Cartolario di S. Sofia, cancelleria langobarda, e siamo al 709! Credo che il mito delle tre fiamme sull’acqua risalga al neolitico, o, in subordine, ai Dauni, quello della Madonna dell’Incoronata, se non è sorto sul finire dell’Impero e le immigrazioni barbariche, almeno è stato ripreso in questa epoca. Grato se potrai dare la tua attenzione alla recensione dell’infelice libro dell’Infante che offende la città di Foggia e le forze vive che la animano, come per esempio “Lettere Meridiane, nel pistolotto finale dell’Autore, che pare lo sfogo di uno scontento davanti ad un bicchiere.