È decisamente un governo a trazione leghista quello che emerge dal Contratto per il Governo del Cambiamento che Luigi Di Maio e Matteo Salvini si apprestano a firmare.
La questione meridionale è del tutto assente, e così pure ogni riferimento al divario che separa Nord e Sud. C’era da aspettarselo, da parte del leader di una forza che fino a qualche anno fa si chiamava Lega Nord, ma era lecito sperare qualcosa di più da Di Maio, uomo del Sud e capo di un movimento che ha conquistato nel Mezzogiorno il maggior numero di consensi e di seggi.
E invece nulla. Non soltanto alla questione meridionale non è stato riservato neanche uno dei 29 capitoli in cui si articola il contratto, ma la parola Mezzogiorno non compare neanche una volta nel testo e Sud vi ricorre due volte: la prima in riferimento all’Ilva di Taranto, la seconda in riferimento al Sud dell’Europa e al bacino del Mediterraneo.
Si potrà obiettare che il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza sono interventi che potrebbero portare avere un maggiore impatto nel Mezzogiorno, concentrandovi le maggiori risorse. Ragionamento vero, ma fino a un certo punto: per come è stato concepito, il meccanismo del reddito di cittadinanza potrebbe infatti, alla fine, premiare il Nord più del Sud e trasformarsi paradossalmente in un ulteriore fattore di divario.
Secondo quanto si legge nel contratto, “il beneficiario del reddito di cittadinanza dovrà aderire alle offerte di lavoro provenienti dai centri dell’impiego”. Ma i centri per l’impiego sono in grado di svolgere una intermediazione positiva tra domanda e offerta di lavoro nelle aree in cui il mercato del lavoro è dinamico, non certo nel Mezzogiorno, caratterizzato da paurose sacche di disoccupazione e da un’offerta di lavoro bassa, quando non del tutto inesistente.
La sensazione è che, ancora una volta, il Mezzogiorno sia il grande assente nelle politiche nazionali. Altro che governo del cambiamento.
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