L’economista Viesti: “Foggia e la Capitanata possono farcela, ecco come”

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Gianfranco Viesti e Saverio Russo
A Foggia si torna a parlare di sviluppo e di futuro. Dal basso, come si diceva una volta. E in un naturale laboratorio di creatività e responsabilità civile come Parcocittà. La presentazione del numero speciale della rivista “Il Mulino”, “Viaggio in Italia”, ha fatto registrare una partecipazione ampia e intensa. 
L’obiettivo dell’incontro del resto non era roba da poco: ripensare Foggia e la Capitanata all’interno del più generale contesto della questione meridionale, con gli stimoli del curatore del capitolo che il “Viaggio” dedica a Foggia e al Tavoliere, Saverio Russo, docente universitario di storia moderna a Foggia, e del curatore del numero monografico, Gianfranco Viesti, economista e docente presso l’ateneo barese. 
Aprendo il suo intervento, Saverio Russo ha sottolineato come “la narrazione del Mezzogiorno sia scomparsa dalla riflessione collettiva” e come di Sud si parli oggi solo in termini scandalistici o nella declinazione nostalgica (e anti-storica) dei movimenti neo-borbonici. Citando Guido Piovene, che in occasione di un analogo viaggio parlò dell’Italia come di un “paese oscuro a se stesso, nel quale tutti soffrono malumori e dolori senza capire perché”, Russo ha ribadito la necessità che i meridionali riflettano criticamente su se stessi.
Quanto alla Capitanata, lo storico ha indicato nel declino demografico, nella fuga dei cervelli, e nel venire meno delle istituzioni pubbliche e private che esercitavano un ruolo di governo del territorio, le cause che hanno aggravato il quadro già fosco determinato dalla crisi economica generale. L’eclissarsi della Regione, la chiusura delle Province, la crisi dell’Ente Parco del Gargano hanno fatto venire meno il “timone” dello sviluppo, che si è letteralmente inceppato. 
Ma Foggia e la Capitanata non possono, né debbono arrendersi. Saverio Russo ha indicato la strada del rilancio nel recupero e nella valorizzazione della funzione storica che il territorio della Capitanata ha esercitato nei secoli: la sua natura e vocazione quale area di servizio rispetto al resto del Mezzogiorno. Funzione che si è esercitata prima quale “granaio d’Italia”, quindi nella transumanza e infine nella logistica.

Questa vocazione, esaltata dalla favorevole posizione geografica della Daunia andrebbe ripresa e rilanciata, per esempio connettendo il porto di Manfredonia con l’aeroporto Lisa (“che non può essere solo l’aeroporto di Foggia se vuole essere competitivo”, ha opportunamente precisato il relatore). 
Qualche segnale incoraggiante per il futuro c’è: un certo dinamismo imprenditoriale (il numero delle imprese attive è cresciuto negli ultimi anni) che deve però fare i conti con l’alea della criminalità che condiziona la buona impresa, e le opportunità offerte dall’importante patrimonio storico-artistico, che però non è adeguatamente valorizzato, per l’assenza di buone prassi e buoni modelli di gestione.
Russo ha citato in merito il caso impressionante di Siponto, visitato da decina di migliaia di turisti, ma affidato soltanto a due dipendenti della Sovrintendenza (lì provvisoriamente distaccati per la contingente chiusura del Museo Nazionale di Manfredonia) e ai volontari della Protezione Civile. 
Che la Capitanata, il Mezzogiorno, e più in generale il sistema Paese debbano puntare sulle proprie specificità è stato un concetto ripreso e ribadito da Gianfranco Viesti. “La filiera agroalimentare va benissimo, nonostante la crisi. La sfida del turismo, come dimostrano i casi del Salento e di Matera, può rivelarsi vincente.”
Ma come si fa tutto questo? “Certamente è importante partire dal basso, come dimostra il caso positivo di Parcocittà, ma non basta. Lo sviluppo – ha puntualizzato Viesti – non è solo un problema di sindaci o di dinamismo dei territori. È una grande questione nazionale, la cui portata sfugge sia alla classe dirigente, che alla coscienza del Paese. C’è nel Paese un inquietante rafforzamento degli egoismi regionali e territoriali che nuoce alle aree più deboli, come il Mezzogiorno. Stiamo lasciando deperire Roma, come se fosse soltanto un affare della sindaca Raggi e non dell’Italia intera.”
Viesti si è soffermato sull’immagine del Paese del terzo millennio che emerge dal Viaggio compiuto dalla rivista “Il mulino”. “Volevamo capire senza preconcetti e senza indulgere a facili ottimismi. Cercare i mattoncini da cui ricominciare per ricostruire. È venuto fuori che l’Italia è cambiata poco tanto da poter essere definita come un Paese di persistenze storiche, il che rivela una certa ambivalenza: c’è un positivo radicamento nel passato, ma anche una certa rigidità.”
L’economista ha quindi indicato nella crisi demografica e nel nuovo ruolo delle città i due temi con cui bisognerà fare i conti nel XXI secolo.
Da qualche anno si è invertita la tendenza all’aumento della popolazione che andava avanti fin dall’Ottocento: la bassa natalità sta portando ad un calo della popolazione solo in parte compensato dall’immigrazione. La società che invecchia pone in prospettiva problemi di sostenibilità (se meno giovani hanno accesso al lavoro, si acuisce il problema delle pensioni; se l’età media delle persone aumenta, cresce la domanda di welfare). 
La crisi demografica non è però omogenea. È più grave nel Mezzogiorno e nelle aree interne. Al Nord la popolazione aumenta, nel Mezzogiorno decresce, “il che – ha avvertito l’economista – rende ancora più devastante l’impatto dei dieci punti in meno di reddito pro-capite che il Sud ha accumulato negli ultimi dieci anni. L’economia del Sud si spegne proporzionalmente alla sua popolazione.”
Il paradosso è che il Settentrione compensa il calo della natalità con un maggior numero di emigrati, sia italiani che stranieri.
Inutile dire che l’emigrazione interna, verso il Nord ma anche verso i paesi esteri colpisce prevalentemente il Mezzogiorno. Viesti ha lanciato a proposito un preoccupato grido d’allarme: “questo fenomeno viene normalmente quantificato calcolando le cancellazioni nelle anagrafi comunali, ma è un dato sottostimato perché in tanti partono senza cancellarsi, e sono soprattutto i giovani, le persone più imprenditive, i talenti creativi, la classe dirigente del futuro.”
Lo spopolamento progressivo ha effetti devastanti sulla qualità della vita di chi resta, perché significa riduzione di servizi, meno scolarità, meno trasporto pubblico locale, meno ospedali e meno salute.
Il fenomeno non ha colpito le città, le grandi città che incarnano il secondo grande tema di questo inizio di secolo. 
Le aree metropolitane sono cresciute sia demograficamente che economicamente. “La nuova economia è un’economia tipicamente urbana – ha avvertito il relatore -, anche perché è molto più immateriale e orientata ai servizi. Strutture sanitarie, imprese, finanze, squadre di calcio, musei, contenitori culturali si addensano ormai quasi esclusivamente nelle aree urbane”. 
Ma anche per quanto riguarda le aree metropolitane c’è una netta differenza tra Nord e Sud. Se “Milano è la sola città d’Italia che va bene, ma è bulimica, prende tutto, ha perduto il senso di appartenenza al Paese, la debolezza di Roma non fa bene a nessuno.”
Il Sud esibisce la classica macchia di leopardo. “Napoli ha mille problemi ma è anche molto ricca, non ha gli editori ma ha gli autori (che bel passaggio questo di Viesti, meditate, cari amici e lettori di Lettere Meridiane, meditate…, n.d.r.). Bari si mantiene. Le città siciliane  e conoscono una crisi acuta, le città medie e piccole generalmente annaspano. L’arco Napoli-Bari tiene, ed è una buona notizia per Foggia”.
Tra le poche buone notizie, che abbiamo ascoltato nel caldo e intenso pomeriggio di Parcocittà. Foggia e la Capitanata devono ripartire ritessendo il loro sistema di relazioni: con il resto della Puglia, con il resto del Mezzogiorno. Ma per far questo è necessario ragionare in modo diverso: prima di tutto tornare a discutere di sviluppo, di futuro, anche in vista del percorso che l’Onu ha disegnato con l’Agenda 2030. 
Il cartello di associazioni e gruppi che ha dato vita al percorso di riflessione e confronto avviato ieri a Parcocittà (Capitanata Futura, Acli, Arci, Legambiente Circolo “Gaia”, Fai, Lettere Meridiane e il CUP, Comitato unitario permanente degli Ordini e dei Collegi professionali), come hanno opportunamente sottolineato nei loro interventi Luigi Marchitto (Capitanata Futura), Antonio Russo (Acli) e Giovanni Quarato (CUP).
Foggia e la Capitanata scontano la mancanza di visioni condivise del loro futuro.
Si prova a invertire la tendenza, come ha sostenuto, parlando a nome di tutti i promotori, Antonio Russo: “Vogliamo costruire un luogo nel quale si discuta e ci si confronti senza litigare, in cui si cerchi di tornare a quella responsabilità civile che sembra essersi rarefatta, in cui si cerchi di produrre visioni su temi nevralgici come le politiche sociali, le infrastrutture, i trasporti, le politiche dello sviluppo e del lavoro, l’educazione alla legalità. Non abbiamo ambizioni politiche. Vogliamo dare vita a una grande consapevole costituente civile che ponga le basi per una rinascita civile della città”.
Geppe Inserra

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Author: Geppe Inserra

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