Contadini e braccianti nel Gargano dei briganti di Michele Eugenio Di Carlo è un libro importante, perché svela – con il supporto ineccepibile di manoscritti e documenti d’archivio – una realtà poco nota, se non addirittura rimossa e dimenticata.
Dopo l’unificazione dell’Italia, il Mezzogiorno precipitò in una situazione di miseria nera, di disoccupazione e di “nuovi doveri” (come la leva obbligatoria) che innescò la rabbia e il risentimento popolare, e costituì un fertile humus per fenomeni come il brigantaggio o il banditismo. Più che di unificazione, si trattò di una occupazione militare, che dette vita a moltissimi episodi di sommosse relegate ai margini della storia ufficiale (quella scritta dai vincitori) e rimaste, pertanto, pressoché sconosciute.
Il prezioso libro trae origine proprio da uno di questi episodi poco noti, che Di Carlo ha il merito di avere riscoperto, raccontato e collocato nella sua dimensione esatta di simbolo di un’Italia sofferente e dimenticata: la guerriglia che insanguinò Vieste il 27 e il 28 luglio del 1861, provocando la morte di nove persone e che contrappose, quasi in una guerra civile, “i Briganti, i Galantuomini clericali, il sacerdozio, la plebe” da un lato e i “galantuomini liberali”, forza pubblica e truppe regolari dall’altro.
Del libro hanno ragionato, in una serata intensa e partecipata, l’autore, il giornalista Geppe Inserra, direttore di Lettere Meridiane, lo scrittore Raffaele Vescera e Michele Lauriola, fondatore e promotore della rete Spac.
Insolito ma quanto mai stimolante il contesto: la bella mostra d’arte collettiva Pane, amore e… promossa da quell’artista intelligente, sensibile e polivalente (è anche un’apprezzata poeta dialettale) che è Anna Piano. (La mostra può essere visitata fino al 31 maggio nella Sala Multimediale di Palazzo Dogana).
Se le opere in esposizione sono legate dal comune denominatore del “pane che c’è e che unisce” (i campi di grano che svettano nei tipici paesaggi del Tavoliere, il pane nutrimento del corpo, ma anche dell’anima, le mani che lo spezzano e lo condividono, le spighe), nell’interessante tavola rotonda si è piuttosto discusso del “pane che non c’è”: del cibo che mancava, della fame, delle carestie, della miseria endemica che costringeva ed emigrare (come viene ricordato nella mostra dalla bella istallazione che proponiamo nella foto che illustra il post) sono i mai rimossi e più profondi nodi della “questione meridionale”.
Qual è lo stato dell’arte a più di centocinquant’anni dall’Unità d’Italia? sono cambiate le cose?
No, anzi sono peggiorate, hanno risposto concordemente i partecipanti alla tavola rotonda. Raffaele Vescera ha ricordato come, prima dell’Unità d’Italia, la provincia di Foggia fosse indicata come la Daunia Felix, e Foggia fosse la seconda città del Regno, dopo Napoli. Una terra fertile, produttiva, che l’affrancamento del Tavoliere proiettava verso una nuova possibile dimensione dello sviluppo. Inserra ha ricordato come i Borbone fossero particolarmente attenti alla innovazione, al punto tale da affidare nel 1838 ad un luminare dell’epoca, Vincenzo Antonio Rossi, esperto di trasporti fluviali ma anche di bonifica, la progettazione di un canale navigabile tra Foggia e Manfredonia, potenziando i corsi d’acqua esistenti, anche con finalità irrigue. La California del Sud evocata da tante metafore nel secolo scorso, nell’ ‘800 era a portata di mano. Poi le cose sono cambiate, anzi precipitate.
E adesso? I Borbone sono passati, e così pure i Savoia. Ma con la Repubblica, la sorte del Mezzogiorno e della Capitanata non sembra essere mutata. Il divario tra Nord e Sud non soltanto non si è attenuato, ma si è addirittura aggravato. La questione meridionale è più acuta e grave che mai, ma è stata completamente rimossa dalle politiche nazionali. Non se ne parla più, come se non esistesse. Fa comodo così.
Che fare? Tessere reti, ripartendo dalla nostra identità, dalle nostre specificità, dai nostri prodotti, è stata la risposta fornita sia da Michele Eugenio Di Carlo che da Michele Lauriola. Di Carlo è tra i promotori ed animatori di Capitanata compra al Sud per il Sud, rete che si prefigge di sostenere e diffondere la conoscenza della cultura e del passato del Mezzogiorno e valorizzare e promuovere il consumo dei prodotti della Capitanata. Michele Lauriola è il fondatore e l’animatore di Rete Spac, filiera agroalimentare che ha già ricevuto numerose adesioni e che vuole fare rete con altre filiere agroalimentari del Sud.
“Solo uniti – ha concluso Di Carlo – possiamo imporre i nostri prodotti tipici locali alla grande distribuzione, che conserva solide basi logistiche ed economiche nel Nord”. Non si tratta dunque di cedere a nuove e sterili tentazioni autarchiche, ma piuttosto di fare massa critica per conquistare gli spazi che vengono oggi negati (o sottratti) al Mezzogiorno.
Scandito dalle note di Briganti se more di Eugenio Bennato, interpretata in modo struggente dal giovane Antonio Mennitti, da Foggia (nella foto) è partito un appello, alto e forte.
L’impressione è che il gemellaggio celebrato al cospetto dei bei quadri di Pane, amore e… possa rappresentare l’inizio di un cammino nuovo per tutto quelli che ritengono che la questione meridionale sia tutt’altro che chiusa. E che, anzi, vada al più presto riaperta.
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