Sta facendo parecchio discutere, a Lucera, la proposta, avanzata da Pasquale Trivisonne dirigente scolastico dell’Itet (e accolta all’unanimità da docenti e studenti) di cambiare nome all’istituto tecnico intitolato a “Vittorio Emanuele III”. Al nome del Re che promulgò le leggi razziali e abdicò in favore del figlio Umberto, potrebbe essere preferito quello, decisamente più vicino al territorio, di Donato Menichella, grande governatore della Banca d’Italia, originario di Biccari: salvò il sistema bancario che stava andando a rotoli, con una politica di rigore e di austerità. Nel dibattito che si sta sviluppando, c’è anche chi ha avanzato la candidatura di Antonio Salandra, troiano-lucerino, presidente del Consiglio dei Ministri che dichiarò guerra all’Austria.
Sulla questione, ha scritto una riflessione molto articolata e interessante Massimiliano Monaco, funzionario dell’Università degli Studi di Foggia, cultore di storia locale e componenti di diverse associazioni culturali lucerine. Ringraziandolo per averle condivise con gli amici e i lettori di Lettere Meridiane, vi invito a leggerle e a esprimere la vostra opinione.
C’era da aspettarselo. La volontà di intitolare a Donato Menichella (Biccari 1896 – Roma 1984), personalità austera e taciturna che, ironia della sorte, non voleva venisse fatto rumore attorno alla sua opera, l’Istituto Tecnico Economico e Tecnologico (ITET) di Lucera, è entrata nel vivo. A tal riguardo vorrei anch’io esprimere qualche personale considerazione su una questione che rischia, come sempre, di dividere la nostra comunità. Premesso che le semplificazioni giornalistiche, come i commenti sui social media, non offrono mai un quadro completo della realtà e che, di conseguenza, un figura complessa come quella di Vittorio Emanuele III non può essere compendiata nella sola promulgazione delle leggi razziali, così come quella di Donato Menichella non può essere ricordata esclusivamente per la scelta di dimezzarsi lo stipendio una volta andato in pensione, a mio modo di vedere, la scelta della nuova intitolazione, come tutte quelle di questo genere, presenta un punto di debolezza e un punto di forza.
Il punto di debolezza è quello di cancellare una “tradizione” quasi centenaria (l’Istituto fu fondato nel 1924), liquidando (per usare un termine commerciale) il nome di un sovrano di Casa Savoia, la cui salma è tornata di recente nel nostro Paese, il quale ebbe il torto, nella sua lunga e contraddittoria reggenza, di promulgare le famigerate leggi razziali volute dal governo fascista.
È di tutta evidenza, e per questo va subito chiarito, che sarebbe fin troppo semplicistico e riduttivo ricordare Vittorio Emanuele III di Savoia (Napoli 1869 – Alessandria d’Egitto 1947), re d’Italia dal 1900 al 1946 e imperatore d’Etiopia dal 1936 al 1941, esclusivamente per aver consegnato nel 1922 la nazione ai fascisti (nella convinzione, non estranea neppure ai maggiorenti del vecchio ceto politico liberale, che il fascismo potesse rappresentare un argine alle tensioni sociali che scuotevano l’Italia); o per quell’atto di promulgazione delle leggi razziali del 1938, compiuto all’apice del consenso popolare del regime mussoliniano, che aveva ottenuto la firma del Manifesto della razza da parte di grandi esponenti della cultura italiana; o per la “fuga” a Brindisi del 1943, senza ricordare, ad esempio che nei suoi 46 anni di reggenza il “Re Soldato” ebbe anche qualche merito; uno su tutti, visto che siamo nel centenario di Vittorio Veneto, quello di aver fermamente voluto, in contrasto con Giolitti, l’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra.
Un re, dunque, che non firmò solo le leggi razziali (ma se quell’atto era tanto grave, verrebbe da chiedersi, come mai nessuna seria voce di protesta si levò, allora, contro la firma di quel provvedimento?) In ogni caso, fu lo stesso re a sottoscrivere, nel 1924, il decreto istitutivo della Ragioneria di Lucera, ed è per questo che quell’Istituto, a partire dall’anno successivo, porta il suo nome. Ma tutto ciò, occorre ricordare, avvenne perché nel 1923 il Governo italiano, dopo aver proditoriamente spostato da Lucera a Foggia la sede dell’unico Tribunale di Capitanata (mentre lo stesso non avveniva per Santa Maria Capua Vetere, il cui tribunale non fu mai spostato a Caserta) decise una serie di misure compensative per la nostra città, tra cui l’istituzione, nel glorioso Palazzo di Giustizia, di un Istituto Tecnico governativo, con sezioni di Ragioneria e di Commercio.
Il punto di forza della questione in esame è tuttavia il nome “di peso” posto sul tavolo dal Dirigente scolastico lucerino e dal suo Consiglio d’Istituto: quello di un uomo delle Istituzioni di chiara fede liberale, non un economista nato e cresciuto in un ambiente distante fisicamente e culturalmente dal nostro, ma quello di un grande banchiere centrale della Repubblica italiana originario della nostra terra. Per di più il nome di Donato Menichella è ancora sconosciuto ai più, ed è per questo che merita finalmente di essere posto in risalto, con coraggio e fermezza, in primis in un Istituto scolastico della nostra provincia. Ciò si giustifica maggiormente in un momento storico, come quello attuale, in cui lo Stato italiano ha nuovamente (e maldestramente) deciso di privare la provincia di Foggia di uno storico e vitale presidio di giustizia e di legalità, senza concedere, come pure fece il Governo fascista, alcuna forma di compensazione economica e sociale, ma lasciando impunemente alla deriva un paese e un territorio. In altre parole, oggi più che mai la nostra comunità locale ha un motivo in più per porre in essere la scelta di ricordare non già il terzo re d’Italia, ma uno degli uomini più insigni della propria terra: quel Donato Menichella, originario di Biccari, che studiò dapprima come convittore al prestigioso “Ruggero Bonghi” di Lucera, poi a Foggia, dove conseguì il titolo di Ragioniere all’Istituto “Pietro Giannone”, quindi a Firenze, dove all’Istituto “Cesare Alfieri” conseguì il titolo accademico. Non è questa la sede per ricordare gli altissimi meriti del “most successful central banker” Donato Menichella, reduce della Grande Guerra, grande conoscitore degli equilibri finanziari e, insieme, industriali, del nostro Paese; fondatore, insieme al casertano Alberto Beneduce dell’I.R.I. e poi ideatore, insieme al napoletano Francesco Giordani, della Cassa per il Mezzogiorno, due istituzioni che contribuirono, insieme alla Legge bancaria del 1936, da lui materialmente redatta, al “miracolo economico” italiano del secondo dopoguerra e ad assicurare (altro grande miracolo italiano) crescita della ricchezza in costanza di stabilità dei prezzi, una congiuntura che nessuno meglio di Menichella poté successivamente guidare e consolidare, tra il 1947 e il 1960, nel suo ruolo di Governatore (a vita) della Banca d’Italia. Di qui l’Oscar per la stabilità della lira nel 1959 (star currency of ther year); di qui il prestigioso riconoscimento di miglior Banchiere centrale a lui assegnato dal Financial Times per l’anno 1960.
A noi dunque decidere, senza eccessive polemiche, se questa opportunità che si offre ad un uomo che non volle mai che venisse fatto “chiasso” intorno alla sua figura, possa essere colta o meno.
Un’ultima considerazione: intitolare la Ragioneria di Lucera a Donato Menichella non è sicuramente un guardare all’indietro, ma un guardare avanti cogliendo l’opportunità di offrire un solido esempio di onestà e di dirittura morale ai nostri figli. Un esempio che giunge proprio dalla nostra provincia, la quale può a giusta ragione vantarsi di aver dato i natali ad un uomo i cui valori morali e civili non vennero mai scalfiti né dalla celebrità, né dai vantaggi di posizione che da essa gli derivavano. Un uomo delle Istituzioni attraverso cui è possibile studiare, racchiuse in un’unica persona, l’evoluzione e il rinnovamento dell’economia e della finanza del nostro Paese nell’arco di un intero e complesso cinquantennio di storia economica.
Massimiliano Monaco
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Per l’Utet di Lucera, ci lascerei Vittorio Emanuele III. E questo per rispetto della storia, lasciando da parte il senno di poi e le visioni ideologiche. Solo così possiamo capire e combattere le idee sbagliate e non con l’antistorica damnatio memoriae ossia la cancellazione di quanto è accaduto dalla memoria collettiva, permettendo così di strumentalizzare le vicende a proprio piacimento. Nell’impossibilità di fare questo, proporrei il nome di Pasquale Soccio, sommo letterato e filosofo del Novecento italiano, che a Lucera era di casa. Infatti, fu per lungo tempo preside del glorioso Istituto “Ruggero Bonghi” ed animatore incallito di incontri culturali di alto spessore. Fu amico stretto del segretario generale della Camera dei Deputati, Gifunni. Non a caso, per tutti questi meriti gli fu conferita la cittadinanza onoraria. E poi amò, riamato, l’intera Capitanata. Stabilmente risedette durante il suo pensionamento nel Capoluogo, ad eccezione degli ultimi anni di vita, allorché per via della sua cecità completa e le gravi condizioni di salute fu costretto a rientrare nel suo paese natale, dove, alcuni anni dopo, concluse la sua esistenza terrena.