Nomina sunt consequentia rerum, scrive Dante nella Vita Nova, citando Giustiniano e auspicando che “li nomi seguitino le nominate cose”. Per questo, dare nomi alle cose è affare da trattare con la massima cautela e circospezione. Soprattutto se si tratta di intitolare scuole ed altre pubbliche istituzioni o di gestire quell’atroce assurdità dei diversi piani di riordino del sistema scolastico che si sono avvicendati, accorpando non solo scuole, ma anche nomi.
Pasquale Trivisonne, preside del lucerino istituto tecnico economico e tecnologico Vittorio Emanuele III propone di cambiar nome alla sua scuola, sollevando una questione di non poco conto, visto che fu proprio il Re Soldato a firmare il decreto che istituì la Ragioneria a Lucera, e dunque l’intitolazione ha un presupposto storico sicuramente significativo.
L’iniziativa del dirigente scolastico sta suscitando un intenso ed appassionato confronto, anche a seguito dell’interessante articolo di Massimiliano Monaco, pubblicato da Lettere Meridiane.
Daremo conto nei prossimi giorni del dibattito, auspicando che la tensione civile e culturale che ha animato il preside Trivisonne e la comunità della sua scuola (che ha accolto unanimemente la proposta di cambiare nome all’istituto) “contagi” altri contesti ed altre discutibili intitolazioni, come quella, che fa pessima mostra di se stessa, dell’istituto comprensivo Gramsci-Pende di Noicattaro.
In questo caso, non è tanto in discussione l’intitolazione della scuola a un discutibile personaggio del passato, ma l’increbibile paradosso che nasce dall’accostamento, forzoso, ingiustificato, antistorico tra due personaggi così diversi e distanti.
Fondatore del Partito Comunista Italiano e del suo giornale, L’Unità, Antonio Gramsci è stato, a detta dei suoi stessi avversari politici e ideologici, il maggior pensatore italiano del Ventesimo Secolo. È stato anche l’intellettuale e il politico maggiormente perseguitato dal fascismo, che lo privò della libertà dal 7 febbraio 1927 al 21 aprile 1937, soltanto sei giorni prima della sua morte, dovuta al duro regime carcerario cui era stato sottoposto.
Senatore del Regno d’Italia, scienziato, medico, endocrinologo, Nicola Pende (pugliese nato a Noicattaro) andò ben oltre la “contiguità” alle leggi razziali che a Lucera si rimprovera a Vittorio Emanuele III. Le sue tecniche endocrinologhe ispirarono le politiche eugenetiche e demografiche del regime fascista, finalizzandole alla “costruzione dell’uomo nuovo fascista”. Come se non bastasse, teorizzò “la necessità di evitare il matrimonio con individui di stirpe semitica, come sono gli ebrei, i quali non appartengono alla progenie romano-italica, e soprattutto dal lato spirituale, differiscono profondamente dalla forma mentis della nostra razza.”
Per la verità, sembra che sul finire della guerra, Pende abbia preso le distanze dal fascismo rifiutando incarichi nella Repubblica di Salò e abbia contribuito a salvare decine di ebrei durante il rastrellamento nazista del ghetto di Roma, facendoli rifugiare nel suo Policlinico.
Non si vuole qui mettere in discussione la legittimità della intitolazione di una scuola a Nicola Pende, che è stato sempre difeso dalla gente e dalle amministrazioni comunali di Noicattaro, comprese quelle di centro-sinistra.
Ciò che è insulso, stonato, umiliante per la storia è l’indebito accostamento dei due nomi.
Mentre il pensatore comunista entrava nelle carceri da cui sarebbe uscito in fin di vita, Pende teorizzava la “bonifica umana razionale” secondo cui – come si legge nella Treccani – le classi non sono il risultato di condizioni socioeconomiche, ma di caratteri biotipologici che ne determinano il ruolo sociale. Mentre Gramsci, dieci anni più tardi, si spegneva a causa del pesante regime carcerario cui era stato sottoposto, Nicola Pende assumeva la presidenza della sezione eugenetica del CNR, e concorreva all’elaborazione della politica razziale fascista.
Antonio Gramsci e Nicola Pende non si sono mai incontrati in vita, e sarebbe stato parecchio difficile che accadesse, vista la diversità e la lontananza dei valori e delle idee di cui erano portatori.
A farli incontrare, in un accostamento surreale che prende a calci la storia e il buonsenso, ci ha pensato la burocrazia che ha scritto il Piano Regionale di riordino della rete delle istituzioni scolastiche e di programmazione dell’offerta formativa per l’anno scolastico 2012/2013, approvato – spiace doverlo ricordare – dal governo regionale di centrosinistra, guidato da Nichi Vendola.
Geppe Inserra
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