Quando Foggia divenne città imperiale (e culla di arte)

Diversamente da quanto si pensa comunemente, la più importante testimonianza della presenza di Federico II a Foggia non è l’arco del palazzo eretto dall’imperatore, ma l’epigrafe che ne attesta la costruzione. Questi straordinari resti del Palazzo Imperiale si trovano oggi conservati sul muro laterale del Museo Comunale, in piazza Nigri.
Se l’arco è stato studiato doviziosamente, non si può dire altrettanto dell’epigrafe, che recentemente è stata oggetto di un’approfondita indagine da parte dello studioso Francesco Gangemi, che ne ha riferito i risultati nel saggio Il palazzo di Federico II a Foggia: la testimonianza epigrafica, comparso ne Il potere dell’arte nel Medioevo, Studi in onore di Mario D’Onofrio.
Lo studio è stato svolto nell’ambito di una ricerca in corso presso la Bibliotheca Hertziana, Max-Planck-Institut für Kunstgeschichte di Roma, realizzata con il sostegno della Fritz Thyssen Stiftung.

L’approccio dello studioso è quello dello storico dell’arte, ma i risultati sono molto interessanti, e schiudono nuove prospettive alla possibile ricostruzione del Palazzo di Federico II, come lo stesso autore scrive nel suo saggio.
Ce ne siamo già occupati in una precedente lettera meridiana, ed avevamo promesso ad amici e lettori del blog di tornare sull’argomento, occupandoci di quanto Gangemi ha scoperto attorno all’epigrafe.
Pur essendo argomento da addetti ai lavori, va precisato subito che l’analisi di Gangemi apre nuove ed inedite prospettive, confermando la necessità di studiare più approfonditamente la presenza federiciana a Foggia, da valorizzare come potenziale attrattore turistico-culturale e come elemento identitario che si è andato rarefacendo.

La sua lettura prende le mosse da alcuni elementi “sinora poco considerati”, come afferma lo stesso studioso: in primo luogo il duplice enunciato racchiuso nell’epigrafe che, secondo Gangemi, non venne inciso in una unica soluzione. Il che introduce nell’analisi un’interessante problema di datazione.
Secondo l’autore venne incisa per prima l’iscrizione racchiusa nello specchio epigrafico, che equivale a un diploma di fondazione, e che stabilisce senza alcun dubbio la data di inizio dei lavori di costruzione, che è giugno 1223.
Ma quando l’opera fu completata e quando i lavori furono conclusi? Alcuni storici ritengono che il palazzo venne concluso nel 1225, due anni più tardi, e cioè in occasione del ritorno di Federico II a Foggia, dopo che l’imperatore era stato in Sicilia per sedare le rivolte dei saraceni che vi erano esplose.
Gangemi propende per una durata assai più ampia che collegherebbe la chiusura del cantiere alla fine del decennio, e forse anche ai primi anni di quello successivo. A sostegno della sua tesi adduce proprio la seconda iscrizione,  incisa sulla cornice stessa, e che ritiene posteriore a quella che si legge nello specchio epigrafico.

La scelta di costringerlo sugli stretti bordi della cornice – scrive lo studioso – mal si concilia con un prodotto epigrafico altrimenti ben congegnato è una scelta che dichiara inequivocabilmente la sua posteriorità rispetto al testo principale. Lo confermano sia gli aspetti grafici – benché il tipo di scrittura sia sostanzialmente analogo, il testo aggiunto introduce elementi curvi per la e e la t –, sia il contenuto: nel messaggio sulla cornice, infatti, l’opera risulta compiuta «così come Cesare ordinò di farla affinché la città di Foggia sia regale e inclita sede imperiale».
Si tratta di un’affermazione dal carattere ben distinto rispetto al secco formulario del proclama di fondazione. Sembra quasi di scorgere in queste parole un segno tangibile della benevolenza dimostrata verso una comunità ancora in cerca di affermazione.

La particolare forza del messaggio contenuto nella iscrizione incisa lungo la cornice ha un obiettivo, e una valenza, di natura dichiaratamente politica che, come annota Gangemi, “vanno ben oltre la mera retorica celebrativa.”
Un elemento importante per stabilire la data della incisione sulla cornice, e di conseguenza del completamento del palazzo è fornito dalla celebre invettiva che l’imperatore lanciò contro Foggia e i foggiani che gli avevano chiuso le porte della città, al suo ritorno dalla crociata.
L’episodio si registra nel 1229 (un anno dopo l’imperatore ordinerà la distruzione delle mura urbiche).
Il dissidio tra i foggiani e l’imperatore, come scrive Gangemi, se da un lato “rende comprensibile l’attribuzione allo Svevo dei versi popolari «Fogia cur me fugis cum te fecit mea manus?», in cui la «regalis sedes inclita imperialis» è apostrofata come «mala vipera», dall’altro rende “improbabile che l’apposizione su marmo di un elogio alla nuova sede imperiale sia avvenuta in un simile clima di contrasto; a meno di non voler scorgere nel gesto il riflesso di una proclamazione assertiva, segno di un riconquistato controllo totale sull’insediamento.”
Nel primo caso, il completamento del Palazzo è avvenuto prima del 1229. Nel secondo nel 1230 o poco dopo. In quest’anno, come scrive l’autore del saggio,

 “che la reggia fosse efficiente è testimoniato dalla presenza a Foggia dei principi tedeschi, intercessori presso Gregorio IX nel tentativo di annullare la scomunica papale e di giungere ad un accordo col pontefice. Prima che l’azione diplomatica fosse effettivamente conclusa (col trattato di San Germano), i legati imperiali furono convocati in aprile a Foggia, dove celebrarono la Pasqua insieme a Federico e gli riferirono le richieste del papa; è dunque logico pensare che la residenza urbana fosse ormai pienamente in funzione.”

Gangemi formula ipotesi assolutamente nuove ed originali anche in riferimento ad un aspetto finora molto poco studiato dell’epigrafe: le tecniche di riempimento delle lettere.
Haseloff ipotizzò che “sia l’iscrizione, sia il ciglio dentato dell’arco, fossero ricoperti di mastice scuro”. Gangemi giudica la tesi del celebre studioso tedesco “senz’altro ragionevole, soprattutto perché ne risulterebbe un testo “scritto nero su bianco” e quindi in grado di soddisfare il criterio di leggibilità certamente previsto da un atto ufficiale quale un’epigrafe di fondazione.”
Ma il ricercatore italiano formula una seconda e diversa ipotesi, paragonando – e qui sta il bello – l’epigrafe foggiana ad altre epigrafi coeve, questa volta non di natura  civile ma religiosa.

“Ci sono buoni argomenti per sostenere che gli alveoli delle lettere fossero riempiti di piombo fuso. Lo dimostra il confronto con le iscrizioni sulle mensole del portale del duomo di Termoli, che conservano ancora l’originario riempimento plumbeo. Non è un confronto a senso unico, perché coinvolge anche la scultura dell’arco superstite della domus e si estende ad altri edifici come la collegiata di Santa Maria Iconavetere a Foggia (l’attuale Cattedrale foggiana, n.d.r.) e l’abbaziale di San Giovanni in Venere a Fossacesia.
A questi cantieri è da sempre riconosciuta un’unità stilistica che, declinata in una lunga serie di coincidenze formali ed esecutive, costringe a riconoscervi l’opera di un’unica maestranza.”

A sostegno della sua tesi, Gangemi indica alcuni tratti stilistici della scrittura: “la a con tratto superiore rettilineo ed elemento centrale spezzato, la n talvolta rovesciata e i rigonfiamenti delle lettere curve come la c, la d e la o. Il risultato è una scrittura fondamentalmente gotica e caratterizzata da una sigla grafica immediatamente riconoscibile.”
Il riempimento plumbeo porta Gangemi ad ipotizzare un collegamento del Palazzo di Foggia anche con il Duomo di Termoli e con altri edifici religiosi del litorale adriatico. Gangemi conclude il suo saggio adombrando la possibilità di un intervento diretto dell’imperatore nella evoluzione dell’architettura sacra, compresa la Cattedrale di Foggia.
“Siamo dunque in presenza – conclude lo storico dell’arte – di una koiné artistica operativa in un unico giro di anni, alla fine del terzo decennio.”
Purtroppo della presenza imperiale a Foggia assai poco è rimasto. Ma lo studio di Gangemi conferma che perfino i pochissimi resti posso produrre nuove conoscenze  e nuove ipotesi.
Una ragione di più per tutelarli, valorizzarli, rivitalizzarli. Un’occasione propizia può essere rappresentata dalla idea di ricostruire il Palazzo Imperiale avanzata dal giornalista e saggista Giovanni Cataleta, ed appoggiata da una nutrita petizione popolare.
Sarebbe bello se si arrivasse all’idea progettuale attraverso un percorso di approfondimento e coinvolgimento scientifico e culturale, che potrebbe trovare preziosi punti di riferimento negli studi di Francesco Gangemi.

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Author: Geppe Inserra

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