Quando sento parlare, o per dire meglio, riparlare di Pedesubappenninica, il cuore mi si riempie di nostalgia e mi ritrovo avvolto dai ricordi. Mi piace dirlo soprattutto ai ragazzi, ai giovani di oggi: c’è stato un tempo in cui la politica era una bella cosa, uno strumento che serviva veramente per cambiare (in meglio) la vita delle persone, per realizzare opere pubbliche che inducevano lo sviluppo del territorio.
Di quella stagione, la Strada Regionale n.1, Pedesubappenninica è stata tra i simboli più significativi, e che si riprenda a parlarne, oggi, è certamente una buona notizia. Speriamo che la mobilitazione dei sindaci Leonardo De Matthaeis, Tommaso Lecce, Michele Dedda e Pasquale De Vita (rispettivamente di Alberona, Bovino, Orsara e Casalnuovo Monterotaro) e il convinto sostegno del Partito Socialista e del suo segretario provinciale Michele Santarelli, rimettano le ali ad un progetto da troppo tempo fermo al palo.
L’idea, o se preferite il sogno, è patrimonio ideale e politica del centrosinistra di Capitanata, e di una cultura politica che guardava alle “cose”, alle opere come una premessa indispensabile allo sviluppo. Ma le cose e le opere hanno bisogno di tempo per essere costruite: ecco perché, nell’epoca della comunicazione ridotta a tweet e della politica spettacolo, non si progettano più opere di così largo respiro.
La Pedesubappenninica è patrimonio soprattutto del Partito Socialista di Capitanata, ma a volerne la progettazione fu un comunista: il presidente della Provincia di Foggia, Francesco Kuntze che ne avviò la progettazione sul finire della consiliatura 1976-1981. La maggioranza era retta dal Pci, dal Psi e dal PSDI, con l’appoggio esterno della Dc. L’idea di una strada che collegasse il casello autostradale di Candela, sulla A/16 Bari-Napoli al casello di Poggio Imperiale, sull’autostrada A/14 Adriatica, venne fortemente sostenuta anche da altri due amministratori di quella giunta di sinistra: due subappenninici doc, come l’assessore ai lavori pubblici, Leonardo Russo, socialista di Sant’Agata di Puglia e Antonio Grosso, di Deliceto, socialdemocratico, che era anche assessore regionale.
I Monti Dauni, che allora si chiamavano ancora Subappennino Dauno, erano ben rappresentati in seno al consiglio provinciale, e si facevano sentire.
L’idea della Pedesubappenninica era – e resta – ambiziosa: costruire un’arteria che, attraversando l’area pedecollinare, consentisse collegamenti più rapidi dei piccoli comuni interni tra di loro, e con la piana, prefigurandosi anche come una sorta di “asse attrezzato”, su cui potessero trovare posto insediamenti produttivi, piccole industrie e aziende artigianali. Uno strumento per sottrarre quell’area, quei comuni dalla situazione di endemico isolamento in cui versavano.
Tra i più tenaci sostenitori della strada vi fu anche un pensatore, scrittore, giornalista e saggista d’eccezione come Salvatore Ciccone, che teorizzava il Subappennino dauno come “città intercomunale” (che bello sarebbe recuperarne e rileggerne gli scritti, e quante cose mi hai insegnato, Salvatore…).
Nella folgorante intuizione di Ciccone, il Subappennnino dova affrontare lo spettro dello spopolamenti diventa una sorta di città diffusa: i diversi comuni dovevano “specializzarsi”, per vocazioni, caratteristiche, tipicità, mettendo in rete i servizi. Obiettivo ambizioso, e geniale, che presuppone per essere raggiunta una viabilità moderna ed efficiente.
A questa vision intercomunale si sarebbe ispirato, molti ma molti anni dopo, il piano di area vasta dei Monti Dauni, un libro dei sogni suggestivo, troppo frettolosamente messo da parte.
Incrollabile socialista e laico, Salvatore Ciccone fu essenziale anche nel passare il testimone del sogno della Pedesubappenninica alla giunta provinciale che si insediò dopo quella capeggiata da Kuntze.
Per la prima volta sullo scranno più alto di Palazzo Dogana andò a sedersi un socialista, Michele Protano, viestano, che nella sua lunga militanza a Palazzo Dogana (era stato in precedenza già diverse volte assessore e consigliere provinciale) aveva curato in modo particolare gli interessi del suo collegio provinciale (Vieste-Peschici-Rodi) e del Gargano in generale.
Da presidente, il suo atteggiamento cambiò: Protano riservò sempre una particolare attenzione alla sua terra d’origine, ma letteralmente s’innamorò del Subappennino, con la decisiva complicità dell’uomo politico che più di ogni altro si è speso per la Pedesubappenninica: Leonardo De Luca.
Ex ufficiale dell’Esercito, socialista tutto d’un pezzo, vicinissimo all’allora vicepresidente della Giunta Regionale Pugliese, Domenico “Mimì” Romano, da Orsara di Puglia, De Luca fu un grande ambasciatore del Subappennino e della sue istanze in seno all’esecutivo di Palazzo Dogana.
Per convincere i suoi colleghi di Giunta sulla opportunità che il Subappennino si ritagliasse un ruolo nevralgico nelle politiche di Palazzo Dogana, privilegiò la diplomazia, rinunciando al braccio di ferro e alla dialettica talvolta aspra che spesso aveva contraddistinto il confronto sulle scelte “geopolitiche” in seno alla maggioranza di Palazzo Dogana.
Chiese e ottenne che una seduta di Giunta si svolgesse nella sua Panni, che allora era veramente un “paese presepio”. Alla fine invitò tutti a cena. Al cospetto dell’incantevole bellezza di quel borgo, la dialettica si stemperò: da allora, l’attenzione della Giunta provinciale verso il Subappennino fu qualcosa di più di un compromesso tra le istanze dei diversi territorio. Fu una scelta consapevole, che ha contraddistinto per molti anni a venire l’operato dell’Ente Provincia.
Forse nacque proprio quella sera il proposito di dare concreta attuazione alla intuizione della precedente Giunta, cantierizzando i lavori dell’arteria.
C’era però da trovare i finanziamenti che non erano pochi. I costi stimati inizialmente (siamo nel 1982) si aggirava ai attorno ai 400 miliardi delle vecchie lire: decisamente troppi per il bilancio di Palazzo Dogana, la cui amministrazione si era già fatta carico degli oneri per la progettazione.
Ma quando Protano si metteva in testa una cosa, quando aveva un obiettivo da perseguire, diventava un carro armato, e così fu anche quella volta.
Alla Provincia venne incontro la Regione Puglia, che “adottò” il progetto. Non è per niente un caso che la Pedesubappenninica si chiami “Strada Regionale n.1”. Si trattò della prima volta che la Regione Puglia decise di finanziare a carico del proprio bilancio la realizzazione di una strada.
Una elargizione da parte del governo regionale pugliese? No. Allora il Subappennino contava, e come, a via Capruzzi.
Le istanze dei Monti Dauni sono state presenti fin dalla prima consiliatura nell’agenda nell’ente regionale, grazie all’impegno di personalità come il democristiano Gabriele Consiglio, grande penalista originario di Bovino, che giunse in consiglio regionale dalla Presidente di Palazzo Dogana e del comunista Peppino Papa, bracciante, poeta, sindaco di Lucera. Pensate che i due riuscirono a far approvare dal consiglio regionale un piano per lo sviluppo delle aree interne, che qualche anno dopo fu recepito dal primo Piano di Sviluppo Regionale, firmato da Romano.
Il buon Mimì, assieme ad un altro grande socialista, Roberto Paolucci fu tra i protagonisti della “adozione” della Pedesubappenninica e della decisione, anche questa significativa, si affidare alla Provincia il ruolo di stazione appaltante.
Si doveva adesso decidere da quale lotto cominciare l’appalto. I finanziamenti disponibili bastavano soltanto per i primi lotti. Il confronto fu intenso, e non poteva essere diversamente, tenendo conto della lunghezza dell’arteria. Alla fine, grazie anche all’azione di mediazione svolta da Armando Palmieri, vicepresidente democristiano della Giunta Protano, di Casalnuovo Monterotaro, prevalse un’opzione salomonica.
I lavori sarebbero cominciati contestualmente da nord e da sud, ovvero dal casello di Candela e da quello di Poggio Imperiale.
Al momento, sono stati completati i lavori del lotto che riguarda il Subappennino Settentrionale, da Candela a Deliceto e che è regolarmente in esercizio. Il lotto settentrionale era stato quasi completato mancavano poche rifiniture, ma purtroppo i lavori sono bloccati da decenni.
Poi sull’opera è caduto un velo di silenzio e di oblio.
Il risveglio degli amministratori subappenninici e della politica è dunque positivo. La Strada Regionale n.1 – Pedesubappenninica resta un progetto di straordinaria importanza ed attualità, soprattutto pensanto che nel frattempo molte cose sono accadute: tante bandiere Arancioni, tanti riconoscimenti come Borghi più Belli d’Italia sono piovuti sui Monti Dauni, la cui situazione infrastrutturale è tuttavia peggiorata, così come gli indicatori demografici e produttivi.
La città intercomunale sognata da Salvatore Ciccone è, ancora oggi, il solo possibile antidoto alla desertificazione.
Geppe Inserra
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