Il Mezzogiorno è stato il grande assente, in una campagna elettorale in cui si è parlato poco delle grandi questioni nazionali, privilegiando la polemica da ballatoio e le offese da trivio. Non poteva essere diversamente, dal momento che l’intera questione meridionale da tempo non trova più spazio nell’agenda politica dei governi di ogni colore e cultura politica.
A riportare al centro del confronto politico il Mezzogiorno e i suoi problemi, il persistente divario che spezza in due il Paese, ci hanno però pensato gli elettori.
Dalle urne di domenica scorsa è emersa una geografia politica di segno nuovo, il cui senso è sfuggito alla maggioranza degli osservatori politici.
Il risultato del voto certifica l’incontestabile avanzata dei Cinquestelle e della Lega. Ma la distribuzione territoriale dei consensi è tutt’altro che omogenea, anzi l’avanzata si concentra in modo quasi speculare in due aree in particolare: il movimento dei grilli spadroneggia nel Mezzogiorno, la Lega fa del Nord la sua roccaforte.
Il Mezzogiorno si è colorato di giallo, il colore delle stelle. Interamente di giallo e forse mai era accaduto, nel Sud, che si profilasse una maggioranza politica così netta ed omogenea.
La valanga gialla è stata addirittura plebiscitaria in Sicilia, in Puglia, in Molise, in Calabria e in Sardegna, dove i pentastellati hanno conquistato percentuale superiori al 40%. In alcuni collegi della Campania hanno ottenuto la maggioranza assoluta. Hanno vinto praticamente dappertutto.
Alcuni osservatori hanno parlato di un’Italia spaccata in due, adesso anche dal punto di vista elettorale. Ma chissà che non sia proprio questa spaccatura a costringere la politica a tornare ad occuparsi del Mezzogiorno, da troppo tempo negletto, trascurato, dimenticato.
Il dato politico nuovo (e sottovalutato) è che il partito di maggioranza relativa concentra nel Mezzogiorno la maggioranza dei suoi consensi. La nuova classe dirigente del Paese è più meridionale di quanto non fosse prima.
Qualcosa di importante è accaduto nell’elettorato del Sud: i meridionali hanno affidato, come non era mai accaduto in passato, il loro disagio, la loro protesta, alla speranza pentastellata.
Sbaglia chi ritiene che l’elettorato meridionale si sia fatto incantare dal salario di cittadinanza promesso dal M5S nel suo programma elettorale. E sbaglia di grosso anche chi liquida la questione del reddito di cittadinanza così come ha fatto Renzi, come un ritorno all’assistenzialismo tout court.
In un contesto il cui l’automazione rende il lavoro sempre più leggero e rarefatto, e sempre più persone sono destinate a restare senza lavoro, è sacrosanto che lo Stato se ne occupi, anche con misure di welfare.
D’altra parte, il successo tributato ai pentastellati deriva dalla profonda delusione per l’operato dei partiti di governo e in particolare modo di quel centrosinistra che negli ultimi decenni ha governato buona parte delle regioni meridionali, senza che il Mezzogiorno riuscisse a voltare pagina: una delusione che si è espressa in un convinto e clamoroso voto di protesta.
Cosa possa significare questo, in prospettiva meridionale e meridionalista, è naturalmente tutto da vedere. Alla vigilia del voto, probabilmente neanche gli stessi candidati grillini avrebbero pronosticato una risposta così netta e così forte da parte dell’elettorato meridionale.
E adesso? Il contenitore potenziale di cambiamento c’è: bisogna riempirlo di contenuti. È auspicabile una riflessione, sia da parte di quanti hanno sostenuto i Cinquestelle, sia da parte di quanti – come chi scrive – hanno votato per altre forze politiche.
Il Mezzogiorno può tornare ad essere un laboratorio politico e può ritrovare una centralità da tempo smarrita.
Non è un caso che gli stessi opinionisti che hanno stigmatizzato la polarizzazione del voto ed hanno dipinto il Mezzogiorno come un popolo di Masanielli incazzati, adesso temano un ritorno “ai tempi della Cassa del Mezzogiorno” indicata come la madre di tutti i mali prodotti dall’assistenzialismo. Narrazione falsa, becera, ottusa.
Sarà un caso, ma sono gli stessi che ieri tifavano Renzi e adesso tifano per un governo Di Maio-Salvini-Meloni, che ovviamente esorcizzerebbe la portata e le potenzialità della valanga gialla nel Sud.
Masaniello è tornato. Ma i Gattopardi non sono mai andati in pensione.
Geppe Inserra
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