La grande tragedia, Foggia 20 marzo 1731 (di Vincenzo Salvato)

Diretto dall’impareggiabile ed indimenticabile Gaetano Matrella, Il Nuovo Risveglio, che usciva a Foggia negli anni Ottanta, svolse un ruolo importante nel promuovere e rilanciare la cultura del genius loci. Nella primavera del 1981, il periodico pubblicò un articolo, molto interessante, di Vincenzo Salvato, sul terremoto che sconvolse la città nel 1731 e sulla successiva, quasi contestuale, apparizione al popolo foggiano della Madonna dei Setteveli.
Intitolato La grande tragedia, Foggia 20 marzo 1731 – ore 21.45, l’articolo è importante perché contiene i suggestivi versi del poeta Vincenzo Maria Morra, che dedicò un poeta al tragico evento e il racconto veramente toccante di un testimone oculare.
Studioso di toponomastica e di storia locale, architetto, Vincenzo Salvato correda il suo articolo con due disegni parecchio interessanti: la ricostruzione di Palazzo Dogana, dove sorgeva e com’era prima che il sisma lo danneggiasse seriamente (si trova all’incrocio tra via Arpi e corso Vittorio Emanuele) e la Caserma di Cavalleria tratteggiata da Mario Soro ovvero il Convento dei Cappuccini in cui ebbe luogo la prodigiosa apparizione della Iconavetere.
Di seguito l’articolo di Salvato e le due immagini, colorizzate con l’algoritmo di intelligenza artificiale già altre volte utilizzate dal blog. Buona lettura e buona visione.

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Vedo su la città l’aria sì oscura, 
sì fiera, e sì terribile d’aspetto, 
che ‘l rammentarla sol mi fa paura. 
Foggia va a terra, la possente antica, 
famosa Foggia, che vantò corona
sovra l’Appula spiaggia al Ciel sì amica. 
Fuggon vecchi, e fanciulli, ogni persona 
nobile, o vil; ma il turbine fatale 
né a sosso, né ad età guarda, o perdona.

Questi i versi tra i più significativi e drammatici che il poeta Vincenzo Maria Morra, nel lontano 1734, dedicò all’immane luttuoso evento.
Il 20 marzo del 1731,  martedì santo, alle ore 21.45, la gente era in casa, molti a letto anche per alleviare le sofferenze prodotte da un freddo pungente. Un attimo, pochi lenti sussulti e poi un susseguirsi rapido di scosse prevalentemente ondulatorie.

Era la tragedia, la più grande tragedia naturale che mai abbia funestato Foggia nella sua millenaria storia.
«Fu la scossa orribile dal Tremuoto, e con moti diversi instantaneamente, tanto che in essa città di Foggia in instante rovinarono la maggior parte degli edifici tanto di chiese, che di particolari, e prima si vidde caduta, e rovinata in gran parte della città, e sepolta molta gente sotto le pietre, che si fossero potuto accorgere del Tremuoto. Durò questo così fiero moto per cinque minuti di ora, e indi fra lo spazio di un’Ave Maria ripigliò fieramente con lo stesso vigore, e scuotimenti, la cui violenza, e impeto si puoi congettuare dall’aver l’acqua de’ pozzi dalla profondità di 30 in 40 palmi in molte parti sormontata la bocca e allagato all’intorno ».
« Cessato che fu il Tremuoto, e cadute le abitazioni, il nembo della polvere, le grida della gente, che procurava salvarsi, chi ignudo, e chi mezzo coverto, la confusione nell’oscurità della notte, e i gemiti di coloro, che mezzo atterrati dalle rovine imploravano, erano in tal spavento e orrore, che giunto rassembrava il giorno estremo: aggiungendosi a tante miserie un freddissimo vento, che interiziva le membra, a gran pena potendosi passare per le strade ripiene di cadute muraglia, e di grandissime pietre, e tutti piangenti, abbandonando le case, e gli averi, fuori della città ognun fuggissimo, tanto più che un’ora dopo si fe’ sentire altra scossa di Tremuoto … ».
Così relazionò un anonimo in detto anno 1731, offrendo al posteri un quadro agghiacciante. Circa cinquanta scosse, di minore intensità, si susseguirono in quel giorni, ma altre più significative si ebbero il 7 maggio e il 30 dicembre successivi.
I crolli interessano un terzo delle abitazioni e molte altro rimasero gravemente danneggiate. Molte case di campagna seguirono la stessa sorte. I morti, secondo l’anonimo, furono circa mille tra Foggiani e forestieri, oltre ad altri duecento che perirono nelle campagne.
« Per così numerosa ruina di case, in ora che ognuno dormiva e, in un popolo, che ascende al numero di quindicimila senza i forastieri, de’ quali di continuo v’è gran copia, come ne siano rimasti in proporzione così pochi sotto le pietre non potrebbe capirsi, se non si ricorresse a’ prodigj della Divina Misericordia della Santissima Vergine dell’ Assunta. chiamata in quella città Icona Vetere…».
Le cifre menzionate dall’anonimo relatore appaiono in netto contrasto con quelle fornite da altri studiosi dei secoli XVIII e XIX. In particolare, v’è chi afferma, sulla base di un documento del 1736, che i morti furono soltanto 164.

Tra gli scampati un bimbo di 8 anni Pasquale Manerba

Tra gli scampati un certo Pasquale Manerba, di otto anni, poi divenuto canonico, il quale trovò salvezza in una botte, nella sua abitazione nel «luogo detto S. Giuseppiello». Con lui si salvarono il padre e i fratelli, mentre altri congiunti al ritrovarono incolumi «sotto malconce tegole ».
Mentre la popolazione si attendava nella campagna circostante, e particolarmente lungo il «tratturo di Gesù e Maria » e nel luogo detto «Le Croci», il governatore della Dogana marchese don Carlo Ruoti dalla baracca che si era fatto costruire «accanto al Monistero di Gesù e Maria de’ Padri Francescani », emanava ordini tesi alla tutela del pubblico bene.
Il primo aprile proibì la pratica di trasferire nei cimiteri cittadini i cadaveri disseppelliti in campagna; il 15 successivo ordinò ai carrettieri di scaricare « le sfabricature » nei fossi del tratturo di Gesù e Maria (dal convento omonimo a porta S. Domenico, attualmente corso V. Emanuele II) e il 4 luglio proibì di costruire senza licenza onde evitare «grande incomodo futuro alla città ». Su richiesta di molti cittadini, tra i quali Francesco Freda, datata 8 luglio 1731, il Ruoti minacciò severe sanzioni contro « muratori, falegnami, embriciari, calciaroli e carrettieri » che, sfruttando i bisogni della gente, chiedevano compensi superiori a quelli in vigore prima della tragedia.

L’intervento misericordioso della Madonna dei Sette Veli a protezione dei suoi devoti
L’anonimo relatore, favorevolmente impressionato dalla sproporzione tra danni materiali e vittime, volle sottolineare l’intervento misericordioso della Madonna dei Sette Veli a protezione dei suoi devoti.
È proprio di quei giorni, e precisamente del 22 marzo 1731, la prima apparizione della Vergine al popolo foggiano nel luogo antistante al convento dei Cappuccini che trovavasi a destra della strada per S. Severo. Molti, all’epoca, l’attestarono con dichiarazioni scritte, e tra essi lo stesso presidente della Dogana Carlo Ruoti. Le apparizioni continuarono negli anni seguenti e ne fu testimone lo stesso S. Alfonso Maria del Liguori.
Nella coscienza del credente v’è il riconoscimento del miracolo, in quella del miscredente sta la certezza che, malgrado altri sismi in altri 250 anni di storia, mai più Foggia ha vissuto le tragiche e luttuose giornate del 1731.

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La ripresa della città non poté tardare perché autorità e cittadini profusero generosamente ogni loro impegno. L’autorità doganale concesse di edificare anche su fasce tratturali suburbane sulle quali si riversarono soprattutto i ceti popolari che perpetuarono, con le nuove « baracche », la vecchia e povera architettura locale in passato espressa dai « casalini ». I nuovi quartieri settecenteschi si svilupparono prevalentemente lungo due direttrici: da porta S. Domenico al convento di Gesù e Maria e da porta Reale al convento di S. Pasquale. A nord-ovest, col tempo, una nuova entità urbanistica (borgo Croci) prese sempre più consistenza tra il tratturo regio e le «strade che andavano alli Sassi e alle taverne delle Catene ».
In realtà, nell’arco settentrionale. Salvatore del Vasto aveva già nel 1723 edificato lungo la via dei Cappuccini e il marchese Cavaniglia, tre anni dopo, aveva principiato il suo « comprensorio di case ».
Anche la nobiltà, perdurando la crisi dei suoli, era dovuta uscire fuori dal più antico perimetro urbano.
Tra i più antichi edifici fu riparato ed ampliato, nello stesso 1731, il convento di S. Francesco (oggi Distretto militare), mentre si preferì vendere la semidiruta antica sede della Dogana a pozzo rotondo per trasferirla fuori porta Reale.
Solo nel ’51 fu deliberato di ricostruire, verso la piazza ove trovasi ora, il campanile dell’allora Collegiata, crollato vent’anni prima. Esso fu dotato di orologio « per commodo de’ cittadini » e da allora dal centro religioso alla città si levò l’invito alla vita attiva per gli uomini onesti e di buona volontà.
Pochi anni ancora e poi, Il 29 novembre 1755, i Foggiani reclameranno dal governatore della Dogana un nuovo orologio e due più grandi campane poiché « la città si era molto ampliata nei borghi ». L’invito diveniva più generale e pressante, sì da trasformarsi in esortazione calorosa verso le incognite future.
Vincenzo Salvato

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Author: Geppe Inserra

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