Michele Eugenio Di Carlo ha condiviso la recente lettera meridiana sul disastro occupazionale della Capitanata sulla pagina facebook Terroni di Pino Aprile, obbligato crocevia per tutti quanti vogliano occuparsi in modo corretto della questione meridionale, accompagnandolo con la lucida riflessione che segue. Ringrazio molto Michele e Pino Aprile per la condivisone, invitandovi a leggere il commento.
Ne parliamo troppo poco! Non ci indigniamo mai abbastanza!
Quasi fosse il frutto di una nebulosa visione onirica e non la cruda, sprezzante, realtà con la quale fare i conti. Da meridionali, spesso rassegnati, quasi perduti in un’identità labile, spesso indecorosamente rinnegata. Quasi che il sentimento di abbandono, assistito da ceti politici inutilmente eletti, non sfiori il fulcro della nostra “solitudine” sociale, del nostro isolamento arcaico, della nostra anima migrante ricca di antichi splendori culturali. Splendori coperti di polvere nei sotterranei della «nazione» del Sud e nascosti alle nuove generazioni, destinatarie mancate di una ricchezza incommensurabile.
A chi dovrebbe affidare il Sud l’alto compito di governare il proprio territorio dopo 157 anni di politiche nefaste?
Alla Lega? A quella stessa lega che ha saputo costruire dal nulla una falsa «questione settentrionale», riuscendo dagli anni Novanta in poi a dividere profondamente, ad ottenere un’Italia contro l’altra, un Nord a spese di un Sud, una Padania ancora «efficiente» e ricca (leggete i dati sulla disoccupazione), un Meridione misero e sottosviluppato con i servizi pubblici essenziali della scuola, della formazione, della sanità, dell’ordine pubblico al tracollo?
Ma leggiamo dati e statistiche o basta fare il tifo idiota per i nostri “carnefici”?
L’economista pugliese Gianfranco Viesti: «Al Sud sono venute a mancare negli ultimi anni, tanto la spesa ordinaria in conto capitale […], quanto la spesa della politica nazionale di coesione territoriale […] la spesa per interventi nazionali finalizzati allo sviluppo del Mezzogiorno, che si aggirava intorno allo 0,8 per cento del Pil italiano negli anni Settanta, è progressivamente scesa, fino allo 0,47 per cento negli anni Novanta, allo 0.33 per cento nel primo decennio del nuovo secolo e allo 0,15 per cento del 2011-2015… ».
Come? Dobbiamo continuare a colpevolizzare lombrosianamente «sic et sempliciter» le nostre debolezze?
Dal clientelismo al nepotismo, dalla corruzione alla cementificazione del territorio, dal cinismo delle imprese all’incapacità cronica di una classe politica mai nostra e all’altezza, dallo sviluppo distorto, casuale, caotico, disordinato alla criminalità invasiva.
E basta?
Michele Eugenio Di Carlo
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