Per il momento arrivano gli air gun. Le trivelle potrebbero seguire a stretto giro, se le prospezioni alla ricerca di petrolio e gas avranno successo. Il Consiglio di Stato ha scritto la parola fine alla lunga vicenda dei permessi di ricerca rilasciati dal Ministero dell’Ambiente alla compagnia petrolifera inglese Spectrum Geo e contestati dalle regioni Puglia, Abruzzo e da diversi Enti Locali.
Le autonomie avevano contestato la legittimità della Valutazione d’Impatto Ambientale su cui il Ministero si era espresso positivamente, sostenendo di non essere stati sufficientemente coinvolti nella procedura, e che sarebbe stata violata da legge 625 del 1996 che limita la zona interessata a non più di 750 chilometri quadrati, mentre i permessi rilasciati alla Spectrum Geo riguardano una zona di ben 30.000 (avete letto bene, trentamila) km quadrati.
I giudici amministrativi hanno ragionato di fino, sostenendo che la norma si applica alle attività di ricerca “connotate da ricadute sul territorio chiaramente più gravose ed invasive” e non, come nella fattispecie dei due permessi rilasciati dal Ministero di attività di prospezione.
Sta però di fatto che per effettuare le ricerche si farà ricorso ai tanto discussi air gun, strumenti che sparano area compressa nei fondali marini, producendo onde che si propagano in profondità restituendo segnali utili a capire la presenza o meno di idrocarburi.
Una tecnica che gli ambientalisti giudicano estremamente pericolosa sia per la fauna marina, che per l’ecosistema in quanto tale.
I timori aumentano in considerazione della estensione dell’area interessata dai permessi, praticamente quasi tutto l’Adriatico: trentamila chilometri quadrati che vanno da Rimini a Termoli e da Rodi Garganico a Santa Cesarea Terme, lambendo le Isole Tremiti. È interessato praticamente tutto il Gargano, e i timori sull’impatto che gli air-gun prima e le trivelle poi potranno avere sulle attività turistiche sono più che fondati.
L’immagine che illustra il post in cui viene evidenziata l’area interessata, è direttamente estratta dal sito del Ministero.
Inizialmente, l’area interessata era ancora più vasta, ma è stata riperimetrata con l’entrata in vigore delle nuove norme che proibiscono le attività di prospezione e di ricerca al di sotto delle 12 miglia.
La Regione Puglia, guidata all’epoca della Via da Nichi Vendola aveva espresso parere negativo. Sulla stessa linea si è attestato il nuovo esecutivo presieduto da Michele Emiliano, che ha promosso la battaglia giudiziaria, purtroppo perdendola.
La Deliberazione della Giunta Regionale Pugliese è utile a chiarire i termini della questione. Il governo si conformò al “no” pronunciato dal comitato regionale di Valutazione Ambientale, sulla base di articolate motivazioni, che riportiamo di seguito.
Nonostante l’obiettivo dell’attività sia quello di acquisire dati geofisici a carattere regionale, di alta qualità e registrati con tecnologia moderna, destinati a integrare o sostituire la banca dati esistente costituita essenzialmente dai dati geofisici acquisiti negli anni ’70 e ’80 attraverso le cosiddette campagne di “sismica riconoscitiva” condotte dall’Agip per conto dell’allora Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato (oggi Ministero dello Sviluppo Economico), è indubbio che le metodiche di ricerca proposte generino forme riconosciute di inquinamento e impatto. È possibile sostenere che il programma di ricerca non sia, ovviamente, fine a se stesso ma basato sull’ipotesi che la prospezione in mare possa dare esito positivo. In questo caso il progetto sarebbe cosa molto diversa dal programma di ricerca presentato e presupporrebbe nella nuova procedura di VIA una visione globale delle caratteristiche e delle vocazioni dell’ambiente marino e della costa pugliese, delle politiche ambientali, produttive e di sviluppo (soprattutto turistico) che la Puglia, le istituzioni locali e la collettività insediata perseguono con determinazione.
Ecco perché è necessario porsi in tale prospettiva e sottolineare con forza che lo sfruttamento del litorale adriatico su vasta scala e a pochi chilometri dalla costa, in una zona di alto valore naturalistico e turistico potrebbe avere dei risvolti pesantemente negativi dal punto di visto ambientale, economico e sociale. Infine, considerando che nell’Adriatico vi sono numerosi pozzi già esistenti, non si comprendono le ragioni per le quali vi è la necessità di svolgere tali indagini per la ricerca degli idrocarburi. Si ritiene che già dalle iniziative della stessa società o di altre società, si possa definire a priori la possibilità di estrazione del petrolio in virtù della sua presenza o assenza.
Lo studio non chiarisce i punti sui rischi e sugli impatti negativi che le indagini proposte potrebbero comportare sulle componenti ambientali e socioeconomiche dell’intero Mare Adriatico. Particolarmente grave risulta l’assenza di un’analisi costi benefici e di una visione strategica dell’intervento nel quadro della pianificazione degli spazi marittimi.
Tale ultima lacuna appare quella più problematica in quanto non vengono affatto considerati le caratteristiche e le vocazioni dell’ambiente marino e della costa adriatica, né tiene conto delle politiche ambientali, produttive e di sviluppo (soprattutto turistico) che la Puglia, le istituzioni locali e la collettività intendono perseguire.
Per tutte le motivazioni sopra esplicitate, il Comitato Regionale VIA ritiene di dover esprimere, nell’ambito della procedura ministeriale di V.I.A., parere sfavorevole di compatibilità ambientale relativamente agli interventi proposti.
Il comitato scrive a chiare lettere che sia le prospezioni, sia le eventuali attività di estrazione di idrocarburi che dovessero essere avviate nel caso in cui le ricerche dovessero dare esito positivo, sono incompatibili con le vocazioni del territorio pugliese, e del suo mare.
Ma la cosa al Governo, almeno a quello ancora in carica, pare interessare molto poco. Una storia già vista.
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