Per affrontare la piaga del femminicidio, non bastano le risposte del sistema giudiziario. Il problema è anche culturale, e chiama in causa la necessità di una più diffusa educazione sulle differenze di genere che cominci fin dalle scuole primarie.
Lo sostiene in una lucida, accorata e coraggiosa riflessione sul tragico episodio verificatosi a Troia (una giovane donna, insegnante e madre, è stata accoltellata a morte dal marito muratore, che ha poi tentato di togliersi la vita), Loredana Olivieri, segretaria provinciale della Cgil e componente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.
“Non ci bastano più le parole eppure ne dobbiamo trovare per dire basta, che così non può essere, anche se inorridiamo e rimaniamo sgomenti per l’ennesimo caso di femminicidio che ha colpito la nostra provincia” sostiene Olivieri che quindi sottolinea come “nonostante le denunce, l’attenzione dell’opinione pubblica sul fenomeno, la mobilitazione del mondo sindacale e dell’associazionismo” si sia registrato “ancora l’ennesimo delitto. Evidentemente tutto questo non basta.” Secondo la sindacalista, esponente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione “è necessaria una grande operazione culturale sulle differenze di genere, il rispetto e la loro valorizzazione, con percorsi di educazione a partire fin dalle scuole primarie, rivolta a uomini e donne. Ma ognuno deve fare la sua parte, in ogni ambito sociale, affinché il concetto di amore non sia inteso come concetto di esclusiva proprietà. Vanno modificati i linguaggi, le parole, anche quelle usate per raccontare queste terribili vicende, perché la vittima non si trasformi in responsabile e perché non vi siano alibi per omicidi efferati, che siano la gelosia o altro. Il rispetto delle libertà individuali deve cominciare dall’ambito familiare, allo stesso modo l’educazione a quel rispetto. Se non saremo riusciti a fermare questa che è una vera e propria strage quotidiana – aggiunge Olivieri – sarà una sconfitta per tutti, riprendendo una slogan caro alla Cgil. Tutti dobbiamo sentirci responsabili e impegnati affinché casi come quelli di Troia, e purtroppo di tante altre donne non debbano più ripetersi”.
“La domanda da porsi è se possono bastare le risposte del sistema giudiziario. Bisogna chiedersi perché le donne a faticano trovano il coraggio di denunciare e troppo spesso rimangono inascoltate o perché di frequente non denunciano affatto, come è successo alle tante donne rimaste vittima della violenza maschile. La risposta è che le donne non si fidano abbastanza e pertanto si chiudono sempre più nella loro solitudine e nel loro dolore. Ben vengano le risorse per i Centri antiviolenza, ma facciamo in modo che siano raggiungibili, fruibili, luoghi aperti: tocca a noi andar incontro a chi ha bisogno e spesso non ha la forza o il coraggio di dirlo. Se ad ogni femminicidio continueremo a pensare che riguarda solo le donne non c è speranza. Dobbiamo essere noi tutti, donne e uomini, ad andare incontro a queste sorelle fragili, a essere attenti per evitare di dire poi, a tragedia avvenuta, che qualcosa che non andava c’era”.
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