Con Giuseppe Galasso scompare uno dei più lucidi protagonisti del pensiero meridionale e meridionalista. È stato un insigne storico, un uomo di cultura, ma anche un illuminato politico: si deve a lui la prima organica legislazione in materia di beni culturali e paesaggistici che il Bel Paese abbia avuto.
Bastava ascoltarlo anche una volta sola, per restarne arricchiti. È quanto ho avuto il piacere di sperimentare direttamente e personalmente in occasione di una sua conferenza foggiana, cinque anni fa, quando fu ospite della Provincia per la presentazione de Le Terre della Dogana, opera omnia o quasi del grande storico e saggista di San Marco in Lamis, Tommaso Nardella. Galasso tenne una intensa lectio magistralis su un tema decisamente originale, Le molti voci del meridionalismo.
Mi colpì molto il modo con cui Galasso interpretò la tragica estate vissuta da Foggia nel 1943 e la successiva ricostruzione della città, inserendole nel più ampio contesto del contributo meridionale alla coesione nazionale.
In quel pomeriggio di cultura e di riflessione nella Sala del Tribunale di Palazzo Dogana, Galasso offrì una visione del tutto originale della “questione meridionale” ricordando come la locuzione comparve per la prima volta sul giornale partenopeo Roma, nel 1864, e come essa coincidesse con il brigantaggio, “che fu un grande e drammatico problema”, manifestando un aperto scetticismo verso alcuni tentativi di recuperarlo come parte dell’anima e dell’identità meridionale.
Secondo l’illustre studioso, comunque, fin dall’inizio ed anche in riferimento al brigantaggio, la questione meridionale è stata una grande questione nazionale: “problema di ordine pubblico, ma anche di coesione nazionale.”
Se un grande cammino è stato compiuto, è stato proprio grazie agli sforzi dei meridionali. E fu allora che, a sorpresa, Giuseppe Galasso citò come uno dei più importanti esempi di progresso meridionale proprio Foggia, e la sua difficile opera di ricostruzione dopo la tragica estate del 1943 che la videro massacrata dai bombardamenti alleati: “Bisogna aver visto cos’era Foggia, conservare negli occhi la viva immagine di distruzione e di desolazione, per capire quale grande cammino abbiamo fatto.”
Per Galasso, la riflessione storica sul Mezzogiorno è fondamentale per capire il presente della questione meridionale, una riflessione che andrebbe rinvigorita “perché negli ultimi anni il rapporto tra storiografia e Mezzogiorno si è indebolito, a vantaggio di una riduzione economicistica e sociologizzante del Meridione.”
È stato probabilmente proprio l’indebolimento del “senso della storia” a conferire alla questione meridionale sempre di più “uno sconcertante tono rivendicazionistico, sciovinistico, localistico.”
Da uomo di pensiero e di azione, Galasso prese apertamente le distanze da una certa tendenza alla nostalgia che pervade alcuni meridionalisti di oggi: “la nostalgia è infondata: il Mezzogiorno non è mai stato un Eden.” Nè si possono enfatizzare più di tanto le presunte risorse naturali: “è vero che abbiamo una temperatura mite, ma di contro c’è scarsità di acqua e la mitezza del clima si accompagna a lunghi periodi di siccità…. e quando le piogge sono abbondanti si verificano disastri ancora più grandi.”
La chiave di volta per rilanciare il meridionalismo, o se si preferisce, per ridare fiato alle molte voci del meridionalismo, passa quindi per il rilancio della riflessione storica, a tutti i livelli, che è a sua volta l’ordito essenziale della cultura. Così Galasso spiegò la sua presenza a Foggia quel giorno, e l’omaggio reso ad un grande storico ed intellettuale quale fu Tommaso Nardella: “Non conta che uno sia un grande erudito o un piccolo erudito. Non c’è distinzione tra alta cultura e bassa cultura. La vera distinzione è tra la cultura e la non cultura. Nessuna alta cultura si sostiene se non c’è un tessuto culturale diffuso sul territorio, che è quello creato da storici locali come Nardella. La cultura, così come la natura, non facit saltus.”
Quella lectio magistralis e quel grido di dolore lanciato da Galasso coincisero anche con l’ultima iniziativa culturale promossa direttamente dalla Provincia, che stava per perdere le sue competenza in materia. E forse, non fu affatto un caso che il canto del cigno venne affidato a Giuseppe Galasso.
Addio, caro professore.
Geppe Inserra
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