C’è un piatto per ogni tempo. Dopo le scorpacciate natalizie, la tradizione alimentare pugliese prescrive menù di magro per i giorni successivi: per depurarsi e per prepararsi alle ulteriori libagioni di fine d’anno.
Via libera a brodi e minestre, dunque. In proposito, la tradizione foggiana mette in campo uno dei suoi gioielli, che è anche tra i piatti più rappresentativi del legame profondo tra gastronomia e i prodotti della terra dauna, e in particolare del Tavoliere.
La più grande pianura dell’Italia Meridionale è famosa in tutta Europa per il suo grano duro, che celebra il suo trionfo culinario nella Semola battuta, piatto semplice, ma pieno di gusto che ricorda il cous cous.
A Foggia si usa come pasta alimentare fresca da consumarsi in minestra, con brodo vegetale o di carne. È stata recentemente inserita nell’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali tenuto dal Ministero dell’Agricoltura.
La preparazione è semplice, ed anche abbastanza veloce. Per 4 persone sono necessari 200 grammi di semola normale (per chi non lo sapesse, la semola è la farina di grano duro, mentre con farina s’indica, genericamente, quella ottenuta dalla macinazione del grano tenero), 100 grammi di formaggio pecorino grattugiato, due uova, e un ciuffetto di prezzemolo, da tritare finemente.
Porre tutti gli ingredienti su una spianatoia: prima la semola, a formare una sorta di fontana, quindi il formaggio, il trito di prezzemolo e il sale. Impastare lentamente, procedendo dall’esterno verso l’interno, in modo che gli ingredienti si amalgamino omogeneamente in un panetto, che dovrà risultare né troppo consistente, né eccessivamente morbido. Se l’impasto risultasse eccessivamente duro, può essere ammorbidito con l’aggiunta di un altro uovo.
Lasciarlo riposare per una ventina di minuti, coperto da un canovaccio, quindi “battere” il panetto per allungarlo, tagliarlo a pezzi, battendo ancora ciascun pezzo fino ad ottenere una sfoglia di uno spessore di qualche millimetro. Con l’aiuto di un coltello lungo ed affilato tagliare i pezzi di pasta in modo irregolare in modo da ottenere vere e proprie briciole, che vanno quindi sgranate, per farle asciugare meglio. La consistenza dei grani dipende dal gusto personale.
Le briciole vengono, infine, cotte nel brodo bollente: bastano pochi minuti di cottura.
La tradizione vuole che la Semola battuta si mangi il giorno di Santo Stefano. Però a Foggia si usa tutto l’anno: è il must quando si tratta di accompagnare brodi, sia di tipo vegetale che di carne. Diciamo la verità: trasforma un anonimo e malinconico “brodino” in una delizia del palato.
Ricordo che, a casa mia, l’uso della Semola battuta non era limitato soltanto al brodo: personalmente, mi piaceva ancora di più quando mia mamma o mia nonna la condivano con pomodoro fresco.
In realtà, data l’evidente parentela della Semola battuta con il Cous Cous e con la Fregola Sarda (che però viene tostata in forno prima di essere lessata), ci si potrebbe sfiziare a sperimentare altri accostamenti, per esempio con i sapori marini (in Sardegna preparano una Fregola con le Arselle che è sublime, così come il Cous cous di pesce alla trapanese il cui bordo è il fumetto…).
Altre parentele la Semola battuta ne ha, come mi suggerisce l’amico Luigi Starace con i manfredoniani malinband (male impastati), e con certi sapori più nordici, come la Pasta Trida che fanno a Mantova, o la Pasta Rasa che si prepara in Emilia.
La differenza sta negli ingredienti base (faina di grano tenero nel primo caso, farina e pangrattato) e nella tecnica di preparazione: il panetto ottenuto dall’impasto viene grattugiato. Però come nel caso della ricetta pugliese, entrambi i tipi di pasta accompagnano il brodo, esaltandone il sapore e conferendogli una insospettata nobiltà.
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