Ipermercati e grandi magazzini hanno acceso da tempo le luminarie natalizie. Gli opinionisti sostengono che la progressiva anticipazione delle feste natalizie è l’ennesimo dazio da pagare alla civiltà dei consumi. Di questo passo, finirà che vedremo in giro le strenne e la slitta di Babbo Natale subito dopo Ferragosto.
In realtà, questo desiderio di anticipare l’atmosfera natalizia è presente anche in culture e civiltà tutt’altro che consumistiche, come quella contadina e bracciantile, che avvolge le nostre radici.
Accade a Cerignola, dove si entra nel tempo del Natale dal 21 novembre, festa della Bambinella, che coincide, nella tradizione della Chiesa cattolica, con la commemorazione della presentazione di Maria al Tempio, che celebra il giorno in cui i genitori portarono nel tempio Maria ancora bambina (aveva tre anni) consacrandola a Dio.
Per festeggiare la ricorrenza, a Cerignola, comincia il rito dei cuculi fritti, una specie di panzerotti. Potrebbero diventare un autentico monumento dello street food, se qualcuno si mettesse a produrli per la vendita, ma è molto difficile trovarne.
Questa pietanza accompagna un po’ tutte le feste natalizie, ma è d’obbligo anche il giorno dell’Immacolata.
L’aspetto più caratteristico che differenzia i cuculi da analoghe preparazioni diffuse in Puglia, come le pizze fritte o pettole, sta nel ripieno, gustosissimo, ma povero.
Appartengo ad una famiglia per metà cerignolana e dunque si tratta di qualcosa che fa parte del mio dna gastronomico.
Alla Bambinella e all’Immacolata, i cuculi fritti erano d’obbligo. Erano un modo per ritrovarsi tutti insieme, dare il benvenuto all’inverno, nonché progettare e pianificare come avremmo trascorso il Natale che si approssimava.
Per preparare dei buoni cuculi è necessario che la pastella sia all’altezza della situazione: una volta fritta, dovrà essere morbida, ma croccante, dorata. Per farla a regola d’arte, si deve impastare farina tipo 00 con acqua e un cubetto di lievito, sciolto in acqua tiepida, fino ad ottenere un impasto morbido ma consistente, omogeneo (qualcuno aggiunge una patata lessa, per rendere il composto ancora più morbido).
È importante far riposare per un’ora e mezza, coprendo il panetto con un canovaccio. A lievitazione ultimata lavorare la pasta per pochi minuti per farle perdere il gonfiore, e quindi stenderla con il matterello fino ad ottenere uno spessore né troppo sottile, né troppo consistente: 3 millimetri dovrebbero andar bene. La pasta va quindi tagliata a quadrati o dischi sufficienti a contenere il ripieno. A questo punto si è pronti per farcirla.
A Cerignola, l’ingrediente principe è il cosiddetto sartascnidd, un sughetto di pomodoro che rappresentava il piatto della cena dei braccianti di una volta.
Lo mangiavano inzuppandoci pane raffermo e questo piatto unico, accompagnato da un bicchiere di vino rosso, ma dal sapore avvolgente, era tutta la cena.
Lo si prepara mettendo in pentola, assieme all’olio di oliva, pomodorini schiacciati con la forchetta, peperoncino, sale grosso e aglio (c’è chi lo sminuzza, chi mantiene lo spicchio intero, per toglierlo a fine cottura). Cuocere per una mezzoretta, cospargere di basilico fresco, e il sartascnidd è pronto.
I cuculi vengono a questo punto farciti con ripieni diversi, ma tutti poveri: sartascnidd e formaggio pecorino tagliato a listarelle (oppure provola tagliata a dadini), ricotta insaporita con il pepe o nella versione dolce, ricotta zuccherata; sartascnidd e mortadella; alici sott’olio.
Una volta che il ripieno è stato sistemato al centro del quadrato o disco di pasta, richiuderlo premendo un po’ sui bordi, e friggerlo in abbondante olio bollente, rivoltandolo un paio di volte, fino a quando non ha acquistato un bel colore dorato. Viene il languore solo ad leggerne il racconto, vero?
Curiosamente, i cuculi fritti sono diffusi anche in Liguria, ma con profonde differenze rispetto alla tradizione pugliese. Per la pastella, viene utilizzata farina di ceci, e le pizze fritte non sono farcite, ma insaporite con la maggiorana.
Geppe Inserra
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