I servizi per l’interruzione volontaria chirurgica della gravidanza latitano: in tutta la Capitanata, sono solo 4 i ginecologi non obiettori. Le cose non vanno meglio per l’aborto farmacologico: dopo aver destato inizialmente un certo interesse, il ricorso alla pillola RU486 è calato drasticamente, perché nelle strutture sanitarie non viene garantita la privacy necessaria. In compenso è esponenzialmente cresciuto il fai da te. L’aborto clandestino è una piaga del passato, ma è stato sostituito dall’acquisto on line di pillole: sono rischiose per la salute, ma garantiscono la riservatezza e l’anonimato, che sono negati dai servizi pubblici.
Questo il quadro, assai poco confortante, disegnato nel corso del convegno promosso dai coordinamenti femminili della Cgil e dello SPI Cgil (il sindacato di categoria dei pensionati), dall’associazione Link e dall’Unione degli Studenti in occasione della giornata di azione globale per l’accesso all’aborto sicuro e globale.
Il diritto all’autodeterminazione delle donne riconosciuto dalla Legge 194 è sempre più problematico. Il problema non riguarda solo l’aborto ma anche gli interventi di prevenzione che dovevano accompagnare l’attuazione della legge. “La 194 non ha raggiunto i suoi obiettivi. I consultori non funzionano. La prevenzione è assente. E le prospettive sono tutt’altro che incoraggianti, se teniamo conto che tre dei quattro medici non obiettori sono prossimi alla pensione”, ha detto Loredana Olivieri, segretaria provinciale della Cgil, introducendo i lavori.
Il problema non riguarda, però, soltanto la qualità e l’organizzazione dei servizi pubblici. C’è anche una questione di consapevolezza, di informazione, di cultura.
“Nessuna donna vuole l’aborto. Non c’è un diritto all’aborto, ma un diritto all’autodeterminazione della donna, ha detto Antonietta Clemente, avvocata e criminologa, che nel corso del suo intervento ha fatto luce su un fenomeno che sta diventando sempre più diffuso e inquietante, che ha definito l’Aborto 2.0.
Sempre più donne, soprattutto giovani, che si trovano nella necessità di interrompere la gravidanza, fanno ricorso alla rete per l’acquisto di prodotti o per ottenere informazioni su come si abortisce, esponendosi a rischi gravissimi.
“Le ragazze non sanno niente di aborto, e così quando si trovano a dover prendere una decisione che inciderà comunque sulle loro vite e sul loro futuro, si rivolgono ad internet, con tutti i rischi del caso”, ha detto l’avvocata preannunciando contromisure social: la sua pagina Facebook ospiterà, a breve, informazioni e momenti formativi sul tema.
Difficile quantificare il fenomeno, sul quale stanno indagando le Procure di mezza Italia. Una spia attendibile, e raccapricciante, è data dal notevole aumento di “aborti spontanei” registrati nei servizi di pronto soccorso degli ospedali.
Molto spesso, dietro un aborto “spontaneo” si nasconde un caso di Aborto 2.0 non andato a buon fine.
Sulla necessità di una informazione più ampia e più corretta ha convenuto Maristella Mazza, psicologa e psicoterapeuta. “L’educazione alla sessualità e all’affettività avrebbe dovuto rappresentare uno degli obiettivi più qualificanti dell’applicazione della Legge 194, e comunque di uno Stato che tenga alla formazione dei suoi cittadini. Invece siamo indietro di anni luce. Mi capita spesso di incontrare ragazze, anche molto giovani, che hanno già avuto rapporti sessuali, ma che mi chiedono se si resta incinte baciando il partner.”
La dottoressa Mazza ha raccontato storie particolarmente significative: “l’aborto è sempre una esperienza dolorosa. Non è solo una pratica medica. È una esperienza devastante. Bisogna dare dignità alle donne che subiscono un aborto.”
Il punto di vista dei giovani e quello di quanti operano nelle scuole sono stati rispettivamente illustrati da Michele Cera (Link) e da Franca Voto. Per Cera, bisogna ripartire dai diritti: “Quando si parla di aborto quasi sempre il discorso scivola sugli aspetti etici. Ma non c’è nulla di etico nell’impedire alle donne l’esercizio di un loro diritto riconosciuto dalla legge.”Per Franca Voto, se la scuola non ha fatto granché nel promuovere l’educazione sessuale, lo stesso discorso vale per le altre agenzie formative, dalla famiglia alle associazioni .
Insomma siamo all’anno zero o quasi. Occorrerebbe fare rete, di più e meglio, com’è stato più volte ribadito durante il dibattito, vivacizzato dagli interventi delle componenti di Donne in rete.
La Cgil ci proverà, rilanciando il confronto con le Asl, che però fanno orecchie da mercante, nonostante il protocollo d’intesa sottoscritto ormai da molti mesi tra Regione e sindacati per una verifica a tutto campo sull’organizzazione territoriale dei servizi socio sanitari . Maurizio Carmeno, segretario generale della Cgil di Capitanata, concludendo la serata, promette battaglia: “Il sindacato deve fare cose concrete. La Asl deve ascoltarci perché i servizi vanno garantiti e i diritti vanno rispettati.”
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