Michele Eugenio Di Carlo torna sulla questione meridionale, la cui attualità è stata in questi giorni rilanciata dal presidente del Consiglio, Gentiloni, in occasione del suo discorso inaugurale alla Fiera del Levante. Un intervento, quello di Di Carlo, come sempre appassionato, ma lucido, che tra gli altri pregi, ha anche quello di ripercorrere storicamente le alterne vicende del dibattito sulla questione meridionale, fino al suo occultamento.
Lo ringrazio per aver voluto condividere le sue riflessioni con gli amici e i lettori di Lettere Meridiane.
È del tutto normale che i nostri giovani continuino ad emigrare? No!
L’emigrazione è sempre la prova di un’economia sottosviluppata che non utilizza le proprie risorse o, meglio, le cui risorse vengono sfruttate da multinazionali e gruppi affaristici di aree sviluppate con il beneplacito di politiche interne ed esterne compiacenti.
Quando questo avviene all’interno di un’area geografica politicamente unita, come l’Italia, le considerazioni e le analisi non possono essere occultate: prima o dopo emergono.
Mentre alcuni, troppi, vorrebbero continuare a godere del nostro silenzio, ripetiamo a gran voce anche in questi giorni in cui è stata inaugurata la Fiera di Bari, confortati da studi seri e documentati: dagli inizi degli anni Novanta il Mezzogiorno è completamente fuori da qualsiasi progetto politico e la vecchia “Questione Meridionale” è stata mestamente messa in soffitta.
I fattori per cui questa realtà si è concretizzata sono tutti facilmente leggibili. Innanzitutto una nuova classe politica nazionale non all’altezza e del tutto inferiore a livello politico e culturale di quella disastrosa che l’aveva preceduta; la sensazione di fallimento delle politiche di intervento straordinario con l’aggravante delle tante dilapidazioni e appropriazioni indebite delle ingenti somme erogate (come ha ricordato Gentiloni nel suo discorso inaugurale alla Fiera); una classe dirigente meridionale scadente e del tutto subordinata a logiche politico-economiche esterne al Sud; l’affermazione delle teorie sui meridionali incapaci e del Sud come “palla al piede” dell’ Italia con la conseguente convinzione che lo sviluppo potesse avvenire senza tener conto delle problematiche delle aree arretrate da lasciare al proprio destino; la nascita di una “Questione Settentrionale” che ha avuto sfogo con l’avvento della Lega Nord, partito che quando al governo ha voluto ed ottenuto l’ampliamento del divario nord-sud, come mai avvenuto in precedenza.
L’intervento straordinario per il Mezzogiorno, frutto di scelte oculate della classe politica del secondo dopoguerra, aveva ridotto sensibilmente il divario nord-sud nel ventennio 1950-1970. Poi, la crisi del settore industriale a metà degli anni Settanta ha bloccato il processo in atto. In ogni caso, la critica di aver speso ingenti risorse economiche per uno sviluppo del Sud mancato è da respingere, perché la Cassa del Mezzogiorno ha destinato risorse straordinarie al Sud mentre la spesa ordinaria destinata ad esso decresceva di pari passo. Lo studioso Pasquale Saraceno, come ricorda l’illustre storico Giuseppe Galasso, riteneva che in investimenti produttivi sia stato destinato solo lo 0,5% del Pil, i soli che potevano generare sviluppo e occupazione.
Già negli anni Sessanta del secolo scorso Paolo Cinanni, l’ultimo dei meridionalisti volutamente dimenticato, aveva capito l’ultima evoluzione del capitalismo e il collegamento certo tra emigrazione, imperialismo e colonialismo.
Importanti le parole di Gentiloni alla Fiera di Bari, un Presidente che ritorna finalmente sulla Questione Meridionale dopo che la Regione Puglia ha istituito la Giornata della Memoria delle vittime meridionali del Risorgimento, ammettendo le gravi ingiustizie perpetrate contro il Sud: «Dobbiamo farne una battaglia culturale – ha spiegato Gentiloni – Abbiamo alle spalle anni di solitudine nella discussione sul Mezzogiorno, abbiamo lasciato passare l’idea che discutere della questione meridionale fosse male e quindi fosse più proficuo banalmente non parlarne. Dobbiamo mettere, e il mio Governo lo sta già facendo, al centro dell’agenda politica un impegno straordinario per il Mezzogiorno».
A noi basterebbe, in verità, un banalissimo impegno ordinario.
Ma se alle parole non seguiranno azioni concrete e se i nostri giovani continueranno ad emigrare, portando altrove, a costo zero, cultura e competenze, sarà semplicemente perché le politiche governative continueranno a voler considerare il Sud come una colonia interna.
Michele Eugenio Di Carlo
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