Mezzogiorno beffato: con i fondi aggiuntivi si finanzia la spesa ordinaria

Intellettuale onesto, pacato e poco avvezzo alle polemiche da ballatoio, Michele Eugenio Di Carlo ha pubblicato sul suo diario di Facebook una nota sullo stato dell’arte della “questione meridionale” e delle politiche per ridurre il persistente divario tra Nord e Sud.
Michele correda le sue riflessioni con ineccepibili dati di fatto (quanti li volessero leggere, nel dettaglio, trovano il post per intero, più avanti) da cui si ricava – inequivocabilmente – che:

  1. la cosiddetta Seconda Repubblica ha aggravato la questione meridionale (anzi, l’ha rimossa del tutto), senza distinzione di colore politico dei governi e delle maggioranze che si sono succeduti alla guida del paese;
  2. il crollo della spesa pubblica a finalità strutturale (ovvero gli investimenti, le ferrovie, le strade, le scuole, ecc.ecc.) che si è registrato dal 2008 ha colpito in misura maggiore il Mezzogiorno, aggravando il suo ritardo rispetto alle aree centrosettentrionali.

I numeri confermano un altro dato di fatto che si conosce da sempre, ma che in pochi hanno il coraggio di sostenere (quando invece sarebbe il caso di urlare…): i cosiddetti fondi aggiuntivi (quelli, per intenderci, che dovevano sostituire l’intervento straordinario che veniva una volta governato dalla mai troppo rimpianta Cassa per il Mezzogiorno) non hanno finanziato nulla di straordinario, ma hanno riempito i buchi della spesa ordinaria delle Regioni e dei Comuni meridionali, strutturalmente più poveri e più deboli di quelli del centronord.
Ormai non si può più parlare soltanto di divario, ma di una disparità strutturale che non ha bisogno di pannicelli caldi come i tanti strombazzati Patti per il Sud, ma di una svolta radicale, totale che probabilmente nessun governo si sentirà mai di promuovere.

Ecco perché le politiche meridionalistiche si sono ridotte a scatole vuote.
Come meridionali dovremmo riflettere particolarmente sull’incipit della nota di Michele Eugenio Di Carlo, che così scrive:

C’è qualcuno, anzi diversi e provenienti da ambienti diversi e multiformi, che vorrebbero tacitarci. Ma come possiamo tacere se la nostra indignazione cresce di giorno in giorno e nessuno pensa di doversene curare? Da noi si vorrebbe solo il silenzio: impossibile pretenderlo ancora, lo abbiamo praticato troppo a lungo.
Da anni scrivo, dati e statistiche alla mano, che dagli anni Novanta in poi con la fine della classe politica della prima Repubblica, il Mezzogiorno è stato totalmente escluso da qualsiasi prospettiva di sviluppo economico per scelte prettamente politiche e ideologiche e l’annosa, e per molti versi fastidiosa, “Questione Meridionale” è stata messa candidamente in soffitta, ritenuta come un problema secondario nell’ambito dello sviluppo sociale, economico e culturale dell’intero Paese.

Sono parole pesanti come pietre, che condivido dalla prima all’ultima. Di Carlo mette il dito nella piaga.
Uno dei nodi della (irrisolta) questione meridionale sta nel servilismo della classe dirigente meridionale che, salvo rari casi, ha asservito gli interessi del territorio e della comunità a quelli del proprio partito, della propria corrente, della propria casta.
Per questo sono con quanti non intendono restare in silenzio o essere tacitati, come il caro Michele Eugenio Di Carlo.
Per fortuna, nella nostra regione non sono mancati e non mancano personaggi che hanno saputo cantare fuori dal coro, e non è forse un caso che la Puglia sia tra le Regioni più dinamiche del Mezzogiorno. Ma ci vuole ben altro. Ci vuole coraggio. Responsabilità. Lungimiranza.
(G.I.)

– La foto che illustra il post, di Vale Gaudi, è dotata di licenza Creative Commons.

– Di seguito, il testo integrale della nota di Michele Eugenio Di Carlo.

C’è qualcuno, anzi diversi e provenienti da ambienti diversi e multiformi, che vorrebbero tacitarci. Ma come possiamo tacere se la nostra indignazione cresce di giorno in giorno e nessuno pensa di doversene curare? Da noi si vorrebbe solo il silenzio: impossibile pretenderlo ancora, lo abbiamo praticato troppo a lungo.
Da anni scrivo, dati e statistiche alla mano, che dagli anni Novanta in poi con la fine della classe politica della prima Repubblica, il Mezzogiorno è stato totalmente escluso da qualsiasi prospettiva di sviluppo economico per scelte prettamente politiche e ideologiche e l’annosa, e per molti versi fastidiosa, “Questione Meridionale” è stata messa candidamente in soffitta, ritenuta come un problema secondario nell’ambito dello sviluppo sociale, economico e culturale dell’intero Paese.
Oggi, un’amica non da poco, Flavia Sorrentino, delegata all’Autonomia del Comune di Napoli e promotrice dello sportello online, giovane brillante e capace che il nostro territorio miracolosamente conserva, scrive:
“Ci dicono che il Mezzogiorno è di nuovo al centro dell’agenda politica del ‘Paese’. Ci dicono…ma i dati dimostrano che l’Italia taglia sulla cultura e il Sud “.
E a conferma di una tesi che non può che essere condivisa riporta le parole del prof. Salvatore Settis, storico dell’arte e docente di Archeologia Classica presso la Normale di Pisa:
“L’Agenzia per la Coesione Territoriale, che dipende direttamente dal Presidente del Consiglio, ha diffuso il 24 luglio la sua relazione annuale, che analizza i flussi di spesa 2015-16 del settore pubblico allargato, disaggregandoli per aree geografiche e per settori. Per esempio la cultura. Quello in cultura rimane il più grande disinvestimento settoriale che si sia avuto in Italia negli anni 2000. Le cifre scoraggianti diventano ancor più deprimenti se andiamo a guardare le differenze fra Centro-Nord (71,2 % della spesa totale) e Mezzogiorno (28,8 %): quote significativamente sbilanciate in rapporto alla popolazione residente, sei punti-percentuale a sfavore del Sud.
Eppure ci vien detto che asse delle politiche pubbliche è “il raggiungimento di una quota spesa nel Mezzogiorno superiore o almeno pari alla rispettiva quota di popolazione. Viceversa, il crollo di tutta la spesa pubblica a finalità strutturale dal 2008 in avanti ha pesantemente colpito il Sud, accentuandone il divario dal resto d’Italia. È un divario che si è ormai radicato profondamente, fino all’attuale “disparità strutturale di dotazioni effettive e di servizi nel Mezzogiorno: i treni sono più vecchi e più lenti, la rete ad alta velocità costituisce solo il 5,6% della rete complessiva, la presenza turistica per abitante è pari a 3,7 contro i 7,9 del Centro-Nord, la distribuzione dell’acqua è irregolare per il 18,3% delle famiglie a fronte del 4,9% del Centro-Nord, i Comuni che dispongono di strutture per l’infanzia sono meno della metà che nel Centro-Nord.
In questo quadro desolante, si salva forse la spesa in cultura? No. Il crollo è comune alle varie Regioni, ma nel Centro-nord si passa da 65 euro pro capite a 24, mentre nel Sud si passa da 43 a 18, e quanto alle decantate “risorse aggiuntive”, i dati implacabilmente confermano che “le risorse aggiuntive sono risultate sostitutive della spesa ordinaria e settoriale.”

Michele Eugenio Di Carlo

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Author: Geppe Inserra

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