Montano il dibattito e la discussione sull’articolo di Enrico Ciccarelli, Foggia e i Foggiani devono far pace con la realtà che risponde all’articolo Altro che foggianesimo. Baresi pigliatutto di Geppe Inserra. (Se volete rileggerli o se non li avete ancora letti, clic sui relativi collegamenti).
Hanno ragione i foggiani a lamentarsi del “rampantismo” barese, come sostiene Inserra, oppure all’origine dei mali della città ci sono gli stessi foggiani, la loro abulia, la miopia di certe scelte, e la bassa tensione culturale verso lo sviluppo, come sostiene Ciccarelli?
Interviene nel confronto, con un interessante articolo che marca una “partecipe equidistanza” dall’una e dall’altra tesi, Salvatore Speranza, docente foggiano che da un paio d’anni vive a Milano. Seguiranno altri contributi.
Il porto di Manfredonia e la nuova “via della seta” (su cui riflettevo ieri sera) hanno acceso in me la scintilla per intervenire. Mi si scuserà l’intrusione in questa bella discussione tra Geppe ed Enrico, non fosse altro perché quelle di cui i due miei amici parlano sono le questioni su cui mi piace riflettere la sera prima di addormentarmi.
E non è la stima verso entrambi che mi porta ad assumere una posizione di partecipante equidistanza tra le due espresse, considerandole entrambe “relativamente” valide. Ma è la sincera convinzione che, in ogni tempo e quindi anche oggi, i soggetti collettivi esercitino il loro ruolo nella storia e che, dopo la fine (di facciata) delle “ideologie”, siano i territori ad avere riconquistato un ruolo centrale nel quadro attuale.
O meglio, visto che non credo affatto che tutti abbiano smesso di ragionare in termini di classe (e nello specifico vedo solo le classi più deboli divise e quasi totalmente disarmate), al centro del quadro attuale sono tornate le classi dirigenti (la polemica sui ceti dominanti la lascerei un attimo da parte) dei territori.
Quello che avviene in Puglia infatti è uno scontro tra classi dirigenti locali che è proprio di tutti i territori, almeno, ma non solo, in questa fase storica (in altre epoche o in altri luoghi in maniera ben più cruenta si scontravano e si scontrano le classi dirigenti degli stati nazionali).
La classe dirigente barese prova a fare il suo gioco, ben sapendo di essere una città di dimensioni ridotte di un’area del Paese, quella meridionale, che non è affatto centrale negli scenari economici attuali, ma facendo leva su una cultura “levantina” in grado comunque di inserirsi in una società basata “sull’offerta”, anche se su un livello globale. E svolge come ovvio un ruolo accentratore, ben sapendo che, a livello globale, una cosa è mostrarsi con il brand “Bari”, una cosa è rappresentare per intero il brand “Puglia”, comprensivo anche di altri territori, pure molto rievocativi. Ovviamente una politica di questo tipo necessita di infrastrutture solide: un aeroporto ed un porto al passo con i tempi, ma anche una Fiera rinnovata e tanto altro ancora.
Seppure tra le mille difficoltà (perché il periodo non è facile, con gradualità crescente per l’Occidente, per l’Europa, per l’Italia, quindi nemmeno per Bari, sebbene sia una delle tre Capitali, la più piccola, del Mezzogiorno), a me sembra quindi evidente che vi sia una classe dirigente, quella di Bari, che ci prova, gioca, lotta, combatte o cerca accordi, mentre ve ne sia una vicina, quella di Capitanata, che non ci prova, non si presenta in campo, sul ring e ai tavoli con una propria, chiara ed unitaria visione,
Se sulle responsabilità della classe dirigente di Capitanata siamo tutti d’accordo (e quindi eviterei di dilungarmi), mi permetterei infine di rilanciare suggerendo altri due punti da approfondire: il peso della politica e dell’economia in un territorio ed il ruolo dell’ente Regione.
Brevemente davvero. Per quanto riguarda il primo punto in tutto il Mezzogiorno (ed in Capitanata il fenomeno mi sembra di scorgerlo in maniera ancora più pronunciata) credo si dia troppa importanza “alla politica” (intesa non come scienza e tecnica fondamentale in qualsiasi fase storica e contesto, ma come “persone che materialmente si occupano di politica”), un peso esagerato per il reale ruolo svolto oggi e che costituisce un retaggio di periodi passati.
A Milano la politica si limita a svolgere (ed è così riconosciuta dai cittadini) soltanto un ruolo di servizio in una società chiaramente guidata dall’economia. In Emilia Romagna e nelle regioni rosse in genere, dove storicamente vi era un primato della politica, i politici sono diventati sempre più moderni burocrati della macchina pubblica, mentre a Roma, dove la questione non ha ancora avuto una risoluzione, la situazione è sotto gli occhi di tutti.
Per quanto riguarda il ruolo dell’Ente regionale infine, va detto che ogni Regione italiana svolge un ruolo diverso, a seconda del territorio. Si va dalla funzione di riequilibrio della regione Lombardia a guida leghista verso i territori rispetto ad un ruolo di Milano sempre più rivolto a livello nazionale e soprattutto internazionale, ad un Piemonte “Torinocentrico”, ad una Regione Emilia Romagna che vede in Bologna il punto di equilibrio tra diverse e forti realtà dell’Emilia e della Romagna, ecc. ecc.
Ecco, io una ridiscussione, non semplicemente filosofica ma nei fatti e nei progetti, su un ruolo più equilibrato della Regione Puglia, rispetto ai ruoli e alle vocazioni dei territori, mi sentirei di chiederla. Ma non “io singolo”, “io territorio”. Ed il problema ritorna a riguardare la classe dirigente di Capitanata. E siamo di nuovo al punto di partenza.
Salvatore Speranza
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