Quella di Ugo Iarussi è stata una delle intelligenze più nitide e prorompenti che la città e la provincia di Foggia abbiano avuto nel secolo scorso. Architetto (fu il primo iscritto all’Ordine professionale in provincia di Foggia), studioso di storia locale (nella incrollabile convinzione che chi progetta il futuro debba conoscere approfonditamente il passato) diresse l’ufficio tecnico della Provincia, e fu uno dei protagonisti del recupero e del restauro di Palazzo Dogana, di cui si paventava addirittura la demolizione, dopo che un terremoto l’aveva reso “pericolante”.
In questa veste l’ho conosciuto e siamo diventati amici. Ogni incontro è stato per me un’occasione di arricchimento intellettuale, e spesso di sorpresa. Mi stupiva la sua lucidità e l’ironia con cui guardava alle cose del mondo, che ha lasciato troppo presto.
Ho ritrovato il mio caro vecchio amico in un articolo che non conoscevo, e che rappresenta un documento eccezionale, una lettura indispensabile per tutti quanti vogliano capire cosa è effettivamente accaduto a Foggia all’indomani della tragica estate del 1943 e di quei bombardamenti che la rasero quasi completamente al suolo.
L’articolo, che è anche una splendida testimonianza di impegno civile e intellettuale, comparve su Ricostruzione dauna, organo provinciale del Partito democratico del lavoro, nel numero uscito il 6 maggio del 1945, nella pagina che il periodico dedicava al problema del momento, ovvero la ricostruzione della città.
Intitolato Prepariamoci a costruire per bene, mi ha colpito per la capacità profetica di Ugo Iarussi, che affronta due temi di nevralgica attualità (e lo sono, guarda caso, ancora oggi): le prospettive di crescita economica che si schiudevano alla città, che aveva scoperto da poco di essere un autentico crocevia del mondo e di possedere un sistema aeroportuale tra i più importanti d’Italia, la necessità di una ricostruzione sostenuta da un’edilizia e da un’urbanistica “di qualità”.
Iarussi non poteva sapere come sarebbe andata a finire per Foggia (purtroppo male, sia per quanto riguarda l’aeroporto, sia per quanto riguarda l’edilizia e l’urbanistica) ma le sue intuizioni, le sue critiche conservano una straordinaria attualità.
Fondata da Luigi Sbano, primo sindaco di Foggia dopo la caduta del fascismo, Ricostruzione dauna fu l’organo dei demolaburisti di Capitanata, partito di ispirazione laica e progressista, sulla cui storia in provincia di Foggia Michele Galante ha scritto un interessante saggio (Il partito democratico del lavoro: storia di una meteora politica, in Sudest, n. 45, gennaio 2011, potete leggerlo o scaricarlo cliccando qui).
Di seguito l’articolo di Iarussi. Ne raccomando la lettura a tutti i detrattori dell’aeroporto Gino Lisa e in generale a tutti i riduzionisti e ai teorici del foggianesimo, ovvero a quanti sono convinti che Foggia non avesse (e non abbia) le carte in regola per diventare una grande città del Mezzogiorno e per essere protagonista di un futuro scandito dal progresso civile e dallo sviluppo economico.
Molte delle ragioni del mancato sviluppo di Foggia stanno proprio nelle questioni così acutamente analizzate da Iarussi. Mi piacerebbe sentire cos’hanno da dire, su questi temi, i tecnici chiamati in causa senza mezzi termini dall’autore.
Mi sono preso la libertà di intitolare l’articolo come se fosse stato scritto soltanto ieri. Sono certo che il mio amico Ugo sottoscriverebbe. Buona lettura.
Geppe Inserra
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A proposito della ricostruzione di Foggia molti hanno detto finora una parola; meno degli altri i tecnici che all’argomento dovrebbero essere i più interessati.
Grida nostalgiche si sono levate ai quattro venti; si è parlato di una Foggia nuova, che, sorgendo dallo fondamenta, avrà tutto il carattere di una metropoli internazionale, base di primaria importanza aerea, centro cosmopolita.
Si è prospettata la possibilità di vedere trapiantate in Italia ditte ed attrezzature americane o si è sperato, particolarmente por Foggia, un fervore di macchine di uomini venuti d’oltre mare per imporre a noi usi, leggi, abitudini, nuova tecnica e materiali nuovi.
Ma quale sarebbe la nostra parte in questo risveglio? quale il nostro contributo e quale la nostra opera?
Tra macchine, uomini, organizzazioni straniere, può bastarci, può confortarci la parte di spettatori, magari entusiasti, esclusi però dal proscenio degli attori, e forse ammessi solo per la semplice e banale parte della comparsa, che nulla dice, nulla opera, nulla modifica e produce per il bene della sua città e della sua Patria?
Non abbiamo forse delle tradizioni da difendere?, e le nostre tradizioni più grandi, le tradizioni italiane, non sono nel campo culturale nel quale la tecnica edilizia, l’architettura, ha una grande parte?
Dallo stato di miseria nel quale ci ha buttato la guerra, non può partire certo una organizzazione complessa e sufficientemente attrezzata per la risoluzione immediata e grandiosa del problema della ricostruzione.
D’altra parte l’importanza aeroportuale, che gli alleati hanno dato alla nostra città, e che già tanti echi ha trovato nella stampa, ha fatto credere a molti nella straordinaria Foggia del domani, metropoli unica del Mezzogiorno, ponte di lancio per l’Oriente e porto sicuro per le rotte provenienti dall’Occidente.
Ma un centro aeronautico internazionale è presto individuato: un gruppo di aeroporti, piste di lancio o di atterraggio, stazioni od angars, officine e rimesse, ville per funzionari ed ufficiali….; un complesso che interessa cioè la contrada aeroportuale, la campagna e quanto meno l’estrema periferia della città.
Ed il centro? Certamente esso si collegherà alla organizzazione periferica, ma in una maniera molto semplice: un gruppo di alberghi in una zona preferita, arricchita di quel verde che a Foggia tanto difetta, un servizio rapido, che congiungerà il gruppo alberghiero agli aeroporti od alla ferrovia, ed infine un altro servizio che porterà gli operai scelti tra la popolazione indigena da un posto di partenza alle officine aeroportuali.
Per una risoluzione che appare così poco complicata non crediamo che il resto della città possa essere interessato, che Foggia possa essere trasformata dalle fondamenta.
Il compito della ricostruzione compete quindi a noi foggiani; è un compito arduo difficile, anche pericoloso se non bene assolto. Né può procedersi senza prepararsi, unirsi, consigliarsi. Ha il suo lato urgente che non può essere abbandonato all’avventura e differito da studi che sono rimasti finora insoluti.
Avventure e differimento che invece dobbiamo lamentare perché ci siamo fatti vincere dall’abulia più odiosa essendo stati, finora, i tecnici assenti e, peggio, speculatori. Gli assenti aspettano apatici il domani in attesa di una maggiore calma, per la quale intanto non si adoperano; gli speculatori non vedono altro significato nella loro attività che tradurre le abitudini professionali in cifre. Per essi ogni costruzione è buona: così la grotta rinasce ostinata nella cocciutaggine del piccolo proprietario, difesa dal tecnico che non vuole contraddire il committente per non perdere l’affaruccio.
Risorge pure il sottano caratteristico sui suoi sei o sette metri, di fronte, su una profondità sufficiente perché abbia una o due camere cieche: casa illogica per inevitabili difetti distributivi e deficienze tecniche, ma tuttavia presa in considerazione fino al punto da essere sostenuta contro la opposizione di autorità illuminate, col pretesto di difendere la casa per il popolo. Si ignorano quindi i progressi degli esempi studiati, delle soluzioni raggiunte e di quello proposte nelle costruzioni popolari di altri paesi italiani e stranieri.
La piccola proprietà che porta gli isolati a dividersi in minuscoli lotti è uno ostacolo grave per la nostra edilizia.
Ma se si pensa che su molte aree occupate da sottani con annesse grotte, affrettatamente ricostruiti in questi ultimi tempi, potevano sorgere ville minime a pianterreno realizzabili con lo stesso materiale raccogliticcio che è servito al sottano; se si pensa che, piuttosto che suggerire ai piccoli proprietari di consorziarsi, mutuando con Banche le eventuali maggiori spese, molti tecnici gioiscono nell’alimentare controversie tra condomini per sfruttare la perizia in questo ed in quel giudizio, bisogna concludere che a Foggia siamo molto impreparati, che non sapremo ricostruire così come non abbiamo saputo costruire.
Difatti il piano regolatore della nostra città giace da anni senza che se ne fosse curata la definizione ed ancora oggi si pretende di studiarne gli stralci con varianti talvolta arbitrariamente suggerite.
Varianti che rimanendo ancora di massima e richiedendone altre per conseguenza logica, non solo non risolvono il problema degli espropri, ma lo rimandano al danni del Comune che si va aggravando sempre di maggiori oneri. D’altra parte quei pochi studi compiuti od in corso di ultimazione, si sono interessati o si interessano delle due dimensioni più appariscenti della planimetria; del tutto trascurata la volumetria che definisce e determina, negli isolati e nel lotto, il tipo di edilizia.
Così Foggia non ha ancora l’aspetto di una città; nessuno ha mai pensato a darglielo. Ognuno ha creato secondo propri concetti senza una guida direttrice; dalla costruzione più modesta al palazzo di rilevante interesse, niente che leghi in unità di stile, che riveli un volto: concezioni belle e cattive indipendenti e disordinate. Metri cubi di muratura, niente di più!
Sulle vie più belle della città si affacciano le case più brutte e sul bel cielo meridionale si stagliano deformi sagome dai colori più assurdi, spesso intensi ed accostati senza criterio cromatico e decorativo.
Foggia manca di una edilizia sua. Bisogna crearla magari anche sulla sola carta, finché i mezzi per realizzarla in un grande programma mancheranno, perché è necessario trovarne le forme ed individuarne i concetti essenziali da propagare o da imporre in qualche caso più ostinato.
Lo stesso Comitato per la ricostruzione cittadina potrebbe promuovere ed incoraggiare nei tecnici lo studio di una edilizia locale, che possa sorgere a dignità di rappresentanza, che possa dare alla nostra città il suo carattere ed il suo colore, che in un paese tutto sole non produca case senza sole, che si esibisca in forma architettonica e chiara senza pretese, sincere, che possano servire di facile ispirazione anche ai più modesti progettisti e di educazione al piccolo proprietario abbandonato al proprio gusto ed al capriccio del capo mastro troppo presuntuoso.
Bisogna scegliere quindi quel tecnici che possono svolgere opera di educatori di maestri ed incoraggiarli ad iniziare una missione che indichi ai più giovani ed ai più inesperti una via: dedicarsi con entusiasmo e con sincerità alla ricostruzione per dare caso al nostro popolo perché trovi l’ambiente che lo ospiti per educarlo, per sottrarlo alla vita della strada e per salvarlo dall’abituro che oggi incoscienza, ignoranza, avidità di guadagno gli hanno assegnato, condannandolo brutalmente.
Architetto Ugo Iarussi
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