Personaggio vulcanico, coloratissimo, puntuale protagonista delle estati italiane e non, che incendia con i suoi colpi di calciomercato, Mino Raiola si concede poco e malvolentieri ai cronisti, ma quando lo fa, le sue battute restano scolpite negli annali del giornalismo: “Quando scrivete che facevo il pizzaiolo, sbagliate. Facevo il cameriere”. Oppure: “Parlo molte lingue, la peggiore è l’italiano”.
Qualcuno si è divertito a fargli i conti in tasca, concludendo che quest’anno quello che è ormai ritenuto il maggior protagonista del calcio mercato internazionale intascherà la bellezza di 50 milioni, e senza neanche giocare al pallone.
“Era un cameriere, non sa parlare, ma guadagna quanto una multinazionale” scrive di lui in un bell’articolo su Il Foglio, Beppe Di Corrado.
Il cameriere che guadagna come una multinazionale ha vissuto una parte significativa della sua carriera a Foggia e conserva di quella esperienza un bel ricordo, tanto da parlarne ogni volta che può.
Giovanni Cataleta dedica un intero capitolo del suo bel libro “Il distintivo dalla parte del cuore” alla storia di Mino Raiola che era ai suoi primi passi come procuratore sportivo. Siamo ai tempi del Foggia di Zeman e di Casillo. Il patron rossonero si era rivolto al suo conterraneo Raiola, campano di Angri, per portare in rossonero Bryan Roy. In effetti il contratto dell’asso olandese fu il primo stipulato da procuratore da Raiola. La sua sfavillante carriera è cominciata proprio da Foggia.
E sentite come. Nelle sue prime partite Roy sembrava svogliato, si integrava poco e male con i compagni. Preoccupato, Casillo mandò a chiamare Raiola: “Devi restare qui a Foggia, a fianco del giocatore, insegnargli a parlare l’italiano, fino a quando non lo recuperiamo.” Senonché, come argutamente racconta nel suo libro quell’impareggiabile storyteller che è Giovanni Cataleta, sia il mister che Raiola l’italiano non lo parlavano benissimo, Zeman per ragioni geografiche, Raiola per sua esplicita ammissione, sicché il talento olandese sembrava fare molta fatica a comprendere il “verbo” dell’allenatore.
Pasquale Casillo inventò allora un’originale catena: Zeman diceva a Casillo, che si rivolgeva in napoletano a Raiola, che traduceva per Roy. Sta di fatto che l’attaccante si mise e giocare bene e a far gol entrando nel cuore dei foggiani e contribuendo in maniera decisiva a Zemanlandia 2.
Nonostante numerose e divertenti incomprensioni sia con il patron rossonero che con il mister, di cui Raiola sarebbe diventato amico per la vita, il periodo foggiano avrebbe lasciato una traccia indelebile sia nella crescita professionale del procuratore più pagato del mondo che fa sognare tanti tifosi e fa venire il mal di fegato a tanti altri, sia negli affetti della sua vita. A Foggia infatti Mino avrebbe conosciuto e si sarebbe innamorato di Roberta Barbetta (grazie per la preziosa informazione a Ettore Braglia), la donna che è diventata sua moglie nonché madre dei suoi due figli.
È proprio Mino a ricordare l’importanza del suo legame con Foggia, ogni volta che ne ha l’opportunità. L’ultima volta è stata solo un paio di giorni fa, in una intervista rilasciata a Beppe Di Corrado, nell’articolo su Il Foglio, che abbiamo citato prima.
A Di Corrado Raiola racconta il particolare rapporto che lo ha legato a Zeman, personaggio all’apparenza così distante e diverso. Ma è proprio in quanto il procuratore più ricco del mondo dice a proposito del tecnico ceco, si intuisce che l’uomo Raiola è molto diverso dalla narrazione corrente dei media, che lo dipingono come uno spregiudicato affarista, prodotto del calcio degenerato, senza più limiti e senza più regole.
Eppure i limiti e le regole ci sono, nel pallone, come nella vita e nel lavoro di Raiola – scrive Di Corrado-. Uno che ha passato una vita accanto a colui che sempre per la stessa vulgata dovrebbe essere il suo peggior nemico, cioè Zdnenek Zeman. Si sono conosciuti a Foggia, la città della moglie di Mino. Il tramite della loro amicizia fu un calciatore, comunque, Bryan Roy. “Si trovò ad allenarsi nel parcheggio: ‘Ma dove mi hai portato?’. Poi cambiò idea. Lo adoravano, gli dedicavano i cori: ‘Abbiamo un angioletto biondo / adesso è diventato nero / segnerà presto per noi / si chiama Bryan Roy’. A Foggia mi trasferii per un anno. Con quel genio di Casillo e con Zeman diventammo amici. Fumavamo, scherzavamo: ‘Zdenek, tu di calcio non capisci veramente un cazzo’. Un giorno, con il campionato fermo per le nazionali, partono tutti e parto anch’io. Resto due giorni ad Angri e poi torno da Zeman: ‘Ciao mister, come stai?’. Silenzio. Gli offro una sigaretta. Lui è tirchissimo e accetta, ma non mi rivolge la parola: ‘Oh, ma che cazzo hai?’. ‘Dove sei stato? Se lasci Foggia mi devi avvertire, non conosci tavole della legge?’. ‘Hai bevuto ieri sera, mister? Io non sono un calciatore e tu non sei dio, faccio come voglio’. ‘O sei nel gruppo e rispetti le regole o sei fuori e te ne vai’, rispose. Ci pensai. Aveva ragione. Gli chiesi scusa. Gli ho voluto veramente bene. Ci siamo un po’ persi e mai veramente ripresi. Anni fa, con un colpo pazzesco, presi la procura di Nedved. Glielo andai a dire e sbiancò. Gli rodeva che avessi trovato un giocatore ceco e temeva che qualcuno potesse dire ‘Zeman ci guadagna’. Mi disse: ‘Lo devi lasciare stare’, gli risposi che non ci pensavo nella discutemmo e gli promisi di portarlo alla Lazio. Un giorno Zdenek mi telefonò in piena trattativa: ‘Tu sei pezzo di merda, non hai rispettato parola’. Per un equivoco con l’intermediario, Nedved rischiava di andare al Psv. Risolsi la grana e Pavel approdò a Roma. Zeman ne decise arbitrariamente lo stipendio: ‘200 milioni per ragazzo sono più che sufficienti’. Il resto della rosa guadagnava il quadruplo, litigammo e non ci parlammo per mesi. L’ingiustizia la sanò Zoff. Un signore. Come Cragnotti. Uno che non mi faceva sentire che lui era il re e io una merda”…
Potete leggere tutto il bell’articolo di Beppe Di Corrado, cliccando qui.
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