Una volta i vini prodotti nel Tavoliere finivano nelle cantine del Nord per compensare, con il loro robusto tasso alcolico, la diafana leggerezza dei vini prodotti in quelle plaghe.
Le cose sono cambiate, e come. La notizia è che due dei vini rosati più buoni del mondo sono targati Foggia, parola di chi di vino se ne intende, come gli enologi francesi che costituiscono la giuria de Le Mondial Du Rosé, che si svolge a Cannes. Delle sei medaglie d’oro attribuite ai rosati italiani, e ben due sono toccate a vini prodotti nel Tavoliere: il Terra Cretosa IGP Puglia Aleatico Rosato 2016, dell’azienda vitivinicola Borgo Turrito (Borgo Incoronata, Foggia), e il Doc Tavoliere delle Puglie dell’azienda Masseria Duca D’Ascoli (Castelluccio dei Sauri).
E non è tutto. I vini della Capitanata, hanno fatto incetta anche di medaglie d’argento, conquistandone ben sei: CalaRosa IGP Puglia Nero di Troia Rosato 2016 (azienda Borgo Turrito, Foggia), Il Melograno IGT Daunia Nero di Troia (Cantina La Marchesa, Lucera), Favugne Rosato Montepulciano (Teanum, San Severo), IGT Daunia rosato Montepulciano (Masseria nel Sole, Lucera), Daunia Pinot Nero IGT (Azienda Agricola Nardella, San Severo) e Marilina Rosé (Cantine Spelonga, Stornara).
Luca Scapola, titolare di Borgo Turrito |
Ha ragione di che essere soddisfatto Luca Scapola, giovane imprenditore foggiano: “È un risultato storico per la nostra provincia. Complimenti alle altre aziende vitivinicole di Capitanata che hanno dimostrato come la provincia di Foggia riesca a produrre eccellenze di valore assoluto”.
Dietro questo balzo in avanti c’è anche una maggiore attenzione verso la vocazione e l’identità territoriale: “Il Terra Cretosa nasce da un antico vitigno autoctono pugliese, introdotto in Italia, e in Puglia in particolare, dai greci”, ha spiegato Scapola. “Per noi rappresenta davvero la spettacolare unione tra le radici storiche della nostra terra e la capacità di esprimere tutto il potenziale d’innovazione e di eccellenza dei migliori sapori e colori della Capitanata”.
L’exploit di Cannes fa il paio con altre benemerenze ottenute dai nostri vini negli ultimi tempi. Il Nero di Troia di Valentina Passalacqua, azienda apricenese specializzata nelle produzioni biologiche, è stato riconosciuto miglior vino rosso prodotto in Puglia da un guru del vino quale Filippo Bartolotta. Gli spumanti prodotti dall’azienda sanseverese D’Araprì frequentano ormai abitualmente i gradini più alti dei podi nelle manifestazioni enologiche, e hanno conquistato l’Oscar del Vino e il Premio Cangrande al Vinitaly.
Insomma, si sta delineando quello che gli addetti ai lavori definiscono terroir, e il bello è che il trend pare consolidarsi. Tornando all’exploit di Cannes, Borgo Turrito è stata l’unica azienda vitivinicola della Daunia e una delle poche al mondo a centrare il “due su due”, con entrambi i rosati di propria produzione premiati dagli enologi francesi. Il CalaRosa IGP Puglia Nero di Troia Rosato 2016, infatti, ha bissato l’argento ottenuto lo scorso anno, mentre il Terra Cretosa IGP Puglia Aleatico Rosato 2016 ha centrato l’oro al suo esordio, essendo una nuova produzione.
Tutto questo vuol dire un paio di cose su cui dovrebbe riflettere l’intero mondo economico dauno: la prima è che è definitivamente tramontata (per fortuna) l’epoca del colonialismo vinicolo che mortificava i nostri vini; la seconda è che, dato ancora più importante, investire in ricerca e in qualità, così come hanno fatto le aziende che hanno portato i vini dauni sul tetto del mondo, non solo conviene, ma può aprire nuove ed entusiasmanti prospettive a un settore nevralgico per il futuro della Capitanata, qual è quello agro-alimentare.
Quanto sta accadendo con il vino potrebbe ripetersi con tanti altri prodotti di eccellenza che la nostra terra già produce, ma che è in grado di produrre ancora meglio: l’olio extravergine, le olive, il pomodoro e i suoi derivati, la pasta, i prodotti da forno, la mozzarella di bufala, il caciocavallo podolico e via discorrendo.
L’agricoltura dauna non è più la Cenerentola di una volta. I produttori hanno indossato lo smoking, come ha gustosamente immaginato Maurizio De Tullio, nella vignetta che commenta l’articolo, in cui il nostro disegnatore satirico paragona il festival enologico a quello cinematografico. Bisogna che a rendersene conto sia adesso tutta la comunità economica, sociale, civile.
Lo sviluppo è prima di tutto una questione di cultura. La ragione dei vini da taglio costretti a prendere la strada dei mercati del nord, sottopagati e misconosciuti nella loro qualità potenziale, stava principalmente nella mancanza di una cultura d’impresa. Borgo Turrito, Valentina Passalacqua, D’Araprì e gli altri magnifici protagonisti di questo rinascimento vinicolo che la Capitanata sta vivendo, dimostrano che non è più così.
La cultura d’impresa adesso c’è. E svetta alta.
Geppe Inserra
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