OGGI
Perfetto intreccio tra noir e action movie, Heat – La sfida è il primo film in cui due leggende viventi come Al Pacino e Roberto De Niro si trovano faccia a faccia, anzi l’uno contro l’altro, nella più classica delle contrapposizioni cinematografiche: lo sbirro contro il bandito. Per la verità, i due avevano lavorato insieme anche ne Il Padrino II, ma in questa pellicola non erano mai comparsi nella stessa scena. Pacino e De Niro sono le due gemme in un cast stellare, anche per il resto, che vede impegnati anche attori della statura di Jon Voight, Val Kilmer, Ashley Judd ed una giovanissima Natalie Portman.
Scritto e diretto da Michael Mann, il film si ispira ad un celebre classico del noir francese, Tutte le ore feriscono… l’ultima uccide girato da Jean-Pierre Melville nel 1966.
La storia è la più tipica – o forse sarebbe meglio dire archetipica – dei film del genere: Vincent Hanna (Al Pacino) è uno dei migliori segugi della polizia, e viene incaricato di catturare il rapinatore Neil McCauley (Robert De Niro) dopo che la sua banda, durante un assalto a un furgone portavalori, aveva ucciso i tre agenti di scorta.
Mann è abilissimo a tessere ed intrecciare, attorno alla storia principale, i fili delle storie individuali dei diversi personaggi, e le sottostorie che si dipanano all’interno della banda, soprattutto a causa della rottura che si verifica tra McCauley e Waingro (Kevin Gage), il più giovane dei componenti della banda.
Il film racconta il lungo ed inevitabile avvicinamento tra il cacciatore e la preda, fino alla sfida finale, che svela, nonostante la contrapposizione dei ruoli tra i due, un rapporto di stima reciproca e di virile amicizia.
Costata 60 milioni di dollari, la pellicola ne ha incassati 120 nelle sale di tutto il mondo, e 67 soltanto in quelle statunitensi.
Ha scritto di Heat – La sfida FilmTv: “Centosettanta minuti di tensione profonda e dettagliata, occhi e storie che si raccontano una comune disperata precarietà. Fino a trasformare una classica sfida cinematografica in un affresco umano tristissimo, esausto, disilluso.”
Un film da non perdere. Stasera, alle 23.00, su Paramount Channel.
DOMANI
Il passaggio televisivo di Dillinger è morto, il capolavoro di Marco Ferreri, è sempre cosa rara e dunque da salutare con piacere, Perché su questo film, nonostante siano trascorsi ormai quasi 50 anni dalla sua uscita nelle sale, nel 1969, e dalle roventi polemiche che l’accompagnarono, permane un’aura di opera maledetta.
La chiave sta all’atmosfera di violenza, a volte esplicita, più spesso latente ma immanente, che accompagna il racconto, metafora della stessa vita che, secondo Ferreri, è insulsa e violenta.
Il racconto è minimale. Vi si narra di Glauco, ingegnere (Michel Piccoli) che rientra a casa una sera come tante, dopo aver attraversato le anonime strade di una città come tante. A casa trova sua moglie, Anita (Anita Pallenberg), a letto per un malore, e decide di prepararsi la cena. Mentre rovista nella dispensa in cerca degli ingredienti, rinviene una pistola, avvolta e nascosta nella carta di un quotidiano d’epoca che riporta in prima pagina la notizia della morte del gangster John Dillinger.
L’insulta serata prosegue tra approcci sessuali verso la cameriera Sabina (Annie Girardot) e un tentativo di suicidio che non si consuma, ma che è la vera chiave del film: cercare di togliersi la vita è l’inevitabile conclusione di una vita-non vita, di una vita che è già morte. Date queste premesse, la storia non potrà che giungere alle sue estreme, e drammatiche, conseguenze.
Il film venne acclamato dall’influente rivista francese di cinema Cahiers du cinéma, la critica lo considera come il film migliore del regista italiano. Presentato in concorso al 22º Festival di Cannes, è stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare. È possibile rivederlo domani notte, all’1.05, su RaiMovie. Vale veramente la pena.
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