OGGI
A distanza di poco più di un anno dalla sua uscita in sala, RaiMovie manda in onda stasera, alle 23.00, il documentario che ha rappresentato l’Italia al festival di Berlino dell’anno scorso, Fuocoammare di Gianfranco Rosi, Leone d’oro a Venezia con Sacro Gra.
Dopo aver girato intorno al mondo per raccontare persone e luoghi invisibili ai più, Rosi si è trasferito per più di un anno sull’isola facendo esperienza di cosa vuol dire vivere sul confine più simbolico d’Europa, raccontando i diversi destini di chi sull’isola ci abita da sempre, i lampedusani, e chi ci arriva per andare altrove, i migranti.
Da questa immersione è nato Fuocoammare. Racconta di Samuele che ha 12 anni, va a scuola, ama tirare con la fionda e andare a caccia. Gli piacciono i giochi di terra, anche se tutto intorno a lui parla del mare e di uomini, donne e bambini che cercano di attraversarlo per raggiungere la sua isola. Ma non è un’isola come le altre, è Lampedusa, approdo negli ultimi 20 anni di migliaia di migranti in cerca di libertà. Samuele e i lampedusani sono i testimoni a volte inconsapevoli, a volte muti, a volte partecipi, di una tra le più grandi tragedie umane dei nostri tempi.
“È sempre difficile staccarmi dai personaggi e dai luoghi delle riprese, ma questa volta lo è ancora di più – ha detto Rosi di Fuocoammare -. Più che in altri miei progetti, ho sentito però la necessità di restituire al più presto questa esperienza per metterla in dialogo con il presente e le sue domande. Sono particolarmente contento di portare a Berlino, nel centro dell’Europa, il racconto di Lampedusa, dei suoi abitanti e dei suoi migranti, proprio ora che la cronaca impone nuovi ragionamenti.”
DOMANI
Italo Calvino sosteneva che “i classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: «Sto rileggendo…» e mai «Sto leggendo…».” Lo stesso discorso si può fare sul cinema e su film che sono diventati classici, come Ladri di biciclette. È il film che mi ha fatto amare il cinema, così come King Lear mi ha fatto innamorare del teatro, e Don Chisciotte della letteratura. Superbo, insuperabile, nonché atto di nascita della più grande stagione che il cinema italiano abbia mai vissuto.
La cultura italiana non ha mai tributato il giusto omaggio a Vittorio De Sica. Ladri di biciclette non è soltanto un film, ma un punto di svolta, che segna la fine di un’epoca culturale e l’inizio di un’era nuova. Per collocarlo nella giusta dimensione, va ricordato che non fu il primo film neorealista di De Sica, che ci aveva provato già con Sciuscià, che naufragò al botteghino, al cospetto di un pubblico abituato ai grandi film hollywoodiani e a quelli zuccherosi dei telefoni bianchi durante il fascismo. De Sica non si arrese, e riprovò con Ladri di Biciclette, investendo proprie risorse nella produzione.
Girato per lo più con attori professionisti (ma tra le comparse figura Sergio Leone), il film ebbe un successo internazionale, che mai nessuna pellicola italiana aveva conosciuto, prima d’allora. Vincitore del premio Oscar e del Golden Globe come miglior film straniero, Nastro d’Argento nel 1949,è stato ritenuto il più grande film di tutti i tempi dalla rivista cinematografica britannica Sight & Sound. Nel 1958 fu dichiarato il secondo miglior film di sempre alla Confrontation di Bruxelles, da una giuria internazionale di critici. Venne distribuito in quindici paesi esteri.
La chiave del film, come dichiarato dallo stesso De Sica in un’intervista alla Fiera Letteraria è «Rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola cronaca». Un obiettivo che il regista ottiene alla perfezione, ben sostenuto dalla sceneggiatura di Cesare Zavattini.
In Che cos’è il cinema (Garzanti, 2000), il critico André Bazin sottolinea ed esalta la capacità innovativa di De Sica: «La riuscita suprema di De Sica, a cui altri non hanno fatto sinora che avvicinarsi più o meno, è di aver saputo trovare la dialettica cinematografica capace di superare la contraddizione dell’azione spettacolare e dell’avvenimento. In ciò, Ladri di biciclette è uno dei primi esempi di cinema puro. Niente più attori, niente più storia, niente più messa in scena, cioè finalmente nell’illusione estetica perfetta della realtà: niente più cinema.»
La storia è arcinota. La vita sembra sorridere ad Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani), disoccupato, che trova un impiego come attacchino di manifesti. Per poter lavorare deve possedere una bicicletta. La sua è impegnata al Monte di pietà, per riscattarla, sua moglie (Pianella Carell) è costretta a dare in pegno le lenzuola di casa.
Mentre Ricci sta affiggendo un manifesto, la bicicletta gli viene rubata. Assieme ad alcuni amici e a suo figlio Bruno (Enzo Staiola) si mette alla ricerca del ladro, ma senza successo. La vana ricerca della bicicletta rubata è raccontata da De Sica e Rossellini attraverso una serie di memorabili scene e quadri di vita quotidiana che per portano la macchina da presa nella realtà più cruda. La rivoluzione estetica è compiuta.
Di straordinaria intensità il finale. Da rivedere ogni volta che si può, come appunto si addice ai classici. Domani all’1.50 su Canale 5.
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