I soliti ignoti di Mario Monicelli rappresenta una tappa miliare della storia del cinema, perché a giudizio dei critici sancisce la nascita ufficiale della commedia all’italiana. Lo sfondo della narrazione – la vita quotidiana e l’endemica miseria che coinvolgi i ceti popolari – è lo stesso che ha caratterizzato il neorealismo. Cambia però il tono: la tragedia cede il posto ad una visiona più leggere, divertita e divertente, della realtà.
Nello scrivere il soggetto, Age & Scarpelli si ispirarono alla novella Furto in una pasticceria compresa nell’antologia Ultimo viene il corvo di Italo Calvino e al film drammatico francese Rififi di Jules Dassin. Poi ne scrissero l’irresistibile sceneggiatura – una delle migliori di sempre del cinema italiano – assieme a Suso Cecchi D’Amico e allo stesso Monicelli.
Un gruppo di ladruncoli progetta un ambizioso colpo al Monte di Pietà. Per prima cosa è necessario reclutare gli specialisti, quindi si deve mettere a punto il piano, che prevede di accedere alla “comare”, ovvero alla cassaforte dove sono custoditi i gioielli dati in pegno al Banco sfondando il muro dell’abitazione contigua al Banco, che i ladri credono vuota, ma che è in realtà abitata da due vecchiette. Ma qualcosa va storto…
Nel film tutto fila alla perfezione. Vittorio Gassman, al suo esordio assoluto in un ruolo comincio (il balbuziente er Pantera) è irresistibile, così come Marcello Mastroianni, Renato Salvatori e Totò. Memorabili anche le interpretazioni di Claudia Cardinale, Tiberio Murgia, Memmo Carotenuto e Carla Gravina.
La critica non gradì la coraggiosa scelta di Monicelli, di utilizzare in ruoli comici attori “seri”. La stessa produzione pensò a lungo ad Alberto Sordi nel ruolo di Gassman. Ma la vis comica del film ed il suo enorme successo di pubblico (e successivamente anche di critica) sta proprio nella trasformazione di attori noti per aver interpretato ruoli drammatici in maschere della commedia. Secondo il regista Carlo Lizzani, “I soliti ignoti porta il comico fuori dei confini abituali della farsa acquisendone una propria consistenza cinematografica.”
Da vedere e da rivedere, fino a stancarsene.
Stasera, su Rai 3 alle 21.15.
DOMANI
Un film onesto, coraggioso, imperdibile, che ti racconta di una Puglia assai poco scintillante, ma profondamente vera. La gente resta, docufilm di Maria Tilli, racconta di Taranto e del rione Tamburi, il quartiere più inquinato d’Italia, dove sorge l’Ilva, che è la più grossa azienda siderurgica d’Europa e che avvolge rione Tamburi con le sue polveri, costringendo chi ci abita a scegliere tra salute e lavoro, tra i sogni infranti del boom economico e la speranza di miglioramento. C’è chi è andato via, c’è chi ha scelto di restare, di continuare la sua vita sulle macerie del promesse industriali e le sirene di un falso boom economico.
A queste persone è dedicato il film. Persone come i fratelli Cosimo, Tonino e Giuseppe Resta che nascono pescatori, ma oggi lavorano in fabbrica: Cosimo è saldatore, Tonino caporeparto, Giuseppe invece fa le pulizie. Eppure non rinunciano al mare, a pescare, a riunirsi per cena tutti insieme sulle rive del Mar Piccolo, anche lì circondati dagli stabilimenti ILVA.
La gente resta è il racconto di chi ha deciso di restare nella propria terra, con rabbia e rassegnazione insieme, mentre tanti la abbandonavano. Di chi ha scelto di continuare la sua vita sulle macerie delle promesse industriali. Una famiglia, una piccola comunità, divisa tra la trasgressione vitale dei bambini, la mollezza degli adolescenti e il mondo degli adulti frantumato e sospeso.
Nato da un’idea di Lea Dicursi, il docufilm è diretto da Maria Tilli e sceneggiato da Laura Grimaldi, prodotto da Fabrica con RaiCinema. La Gente Resta ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria nella sezione Italiana.doc alla 33^ edizione del Torino Film Festival.
Un film di rara potenza e di rara bellezza, che Rai Storia manda in onda domani sera alle 22.15. Guardatelo, ed amatelo. Ne vale veramente la pena.
Views: 1