28 aprile 1898: Foggia in rivolta per il pane

Il 28 aprile del 1898, Foggia fu teatro di una rivolta popolare che provocò l’incendio degli archivi del municipio, l’assalto al municipio, agli uffici del dazio, e ad un mulino. La reazione fu dura e provocò numerosi arresti. La molla che fece scattare la rabbia popolare fu la miseria endemica che travagliava la popolazione. L’episodio foggiano fu tra i più gravi dei numerosi moti che punteggiarono tutta l’Italia e la stessa provincia di Foggia.
I fatti e gli antefatti vengono così ricostruiti da Franco Mercurio, nell’articolo Gli anni del passaggio dal ribellismo popolare alla lotta di classe in Capitanata (1873 – 1898) comparso sul numero 1980-82 di Capitanata, rivista della Biblioteca Provinciale di Foggia:

Verso le ore 10 del 28 aprile un centinaio di donne e fanciulli inscenavano una manifestazione di protesta al grido di « pane! ». La manifestazione sconvolse maggiormente gli uomini politici locali, socialisti compresi, per la sua improvvisa e virulenta comparsa. Sicuramente essa era spontanea e rappresentava la risposta concreta e immediata alla proposta, pure conciliatrice, del Sindaco di Foggia che intendeva immettere sul mercato un cospicuo quantitativo di pane a prezzo politico per far fronte alla minacciosa crisi. Il popolo, quel giorno, chiedeva una prova tangibile di quella promessa che pensava non sarebbe stata mantenuta, per cui fu inevitabile che si rivolgesse contro il suo nemico ormai giurato: il casotto del dazio. I manifestanti divisi in gruppi con mazze, con pali e con scuri abbattevano e incendiavano tutti i casotti del dazio, tagliavano i fili del telegrafo, arrivando a conquistare il mulino Dal Pozzo nei pressi della villa comunale. Neanche l’arrivo della cavalleria riuscì a disperdere i dimostranti che resistettero alle cariche; soltanto verso le 18, quando la tensione si allentò le forze dell’ordine riuscirono a ristabilire un relativo ordine, procedendo all’arresto di un centinaio di manifestanti.

I cronisti dell’epoca raccontarono così i fatti (il brano viene riportato da Attilio Tibollo in Cronache di Sessant’Anni)

Nelle prime ore del giorno una turba famelica prese d’assalto i forni e le panetterie. Recatasi poscia al palazzo della prefettura, fece un chiasso indiavolato dalla piazza con gesti e parole da trivio, perfino imprecando a Dio ed ai santi. Il prefetto Donati, fattosi al balcone, si illudeva di calmare quel brulicame, imperversante: come tante belve, con belle parole, ma nulla ottenne, sicché fu costretto a farlo caricare dalla truppa, chiamata in fretta. Però i rivoltosi, sbandati in piazza della prefettura, si riunirono più tardi in altro sito, donde corsero ad assalire l’ufficio daziario che devastarono addirittura, distruggendo perfino i bollettari ed i registri. Divisi in più gruppi, incendiarono il deposito daziario ed i casotti, fugandone le guardie, e ruppero i fili telegrafici, mentre  altri, più audaci, vennero risoluti in via Arpi con fascine ad appiccare il fuoco al palazzo di città. In breve le fiamme divamparono e distrussero miseramente l’ufficio tecnico, il gabinetto di igiene, parte di quello del sindaco e, con danno irreparabile, l’archivio, antico e geloso custode di un autentico tesoro cittadino. Fu un’ecatombe nel vero senso della parola.

La sommossa popolare ebbe un testimone d’eccezione, Romolo Caggese, originario di Ascoli Satriano, che di lì a qualche anno sarebbe diventato uno dei più insigni storici italiani, all’epoca studente di Liceo. Caggese riporta quanto accaduto in quel fatidico giorno di aprile nel libro Foggia e La Capitanata:

Io fui presente a quella scena selvaggia che rimarrà nel mio spirito per più ragioni memorabile. Ero studente del primo corso di liceo, e non avevo mai capito abbastanza dai libri storici, letti e riletti con passione ardente, a che cosa mai potesse giungere l’ira della folla torturata da secoli di mal governo di soprusi, ebbra di tutte le rivendicazioni sognate nel lungo sonno della servitù. Alle 10 di mattina del 28 aprile, quando i soldati del 57° reggimento di fanteria erano tutti alla passeggiata su la via di Manfredonia, e nessuno prevedeva quel che sarebbe accaduto, oltre un migliaio di donne sudicie e scalze e quasi altrettanti uomini seminudi e cenciosi come minatori esciti proprio allora dalle viscere della terra, si precipitarono per le vie e per le piazze principali della città, urlando come forsennati, rompendo tutti i fanali del gas e le lampade elettriche, i vetri dei balconi delle case signorili, gli specchi dei parrucchieri e le insegne delle botteghe.
Poi la fiumana s’ingrossò per via; gente che io non avevo mai visto per le strade di Foggia sbucò da non so quali segreti ripostigli della miseria e della disperazione, e si fermò dinanzi al Municipio e all’ufficio centrale del Dazio Consumo, come dinanzi al più feroce nemico lungamente atteso su la via per sgozzarlo. Fu un attimo : alcuni legarono, ferirono, malmenarono gli impiegati del Dazio ; altri portarono via quanto vi era là dentro di sequestrato ; altri, piantate delle cassette di petrolio come mine sotto l’arco del palazzo municipale, dettero fuoco all’edificio. Il Sindaco, i Segretari, gl’impiegati si salvarono a stento, sfuggendo al furore popolare ; ma la casa del… Popolo crollò e l’archivio fu distrutto. Ma chi ne pianse la perdita immane ?
Ahimè! Qualche riga in qualche clandestino giornale cittadino, come se si fosse trattato di un piccolo fatto di cronaca, bastò a sfogare l’acerbo dolore degli uomini del secolo decimonono, del secolo storico! 

Il danno alla memoria cittadina fu irreparabile. Ma da quella sommossa il proletariato imparò parecchio. Innanzitutto la necessità di organizzarsi, di diventare un soggetto politico. Quel 28 aprile furono arrestati, assieme ai rivoltosi, anche esponenti di primo piano del Partito Socialista (Gassi, Mele, Mucci, Modesti) che vennero successivamente assolti mentre ai rivoltosi vennero inflitte pene pesanti.
Episodi simili si registrarono anche in altri comuni dauni, come Cerignola, San Severo, Apricena, Torremaggiore,  Castelluccio dei Sauri e Monte Sant’Angelo. La destra propose leggi liberticide che provocarono una forte opposizione popolare e parlamentare che produsse lo scioglimento della Camera dei Deputati e nuove elezioni.
Il clima in Italia stava cambiando. Nel 1902 sarebbe nata la Camera del Lavoro.
La rara foto che illustra il post, estratta dal citato libro di Tibollo, venne scattata all’indomani della rivolta al Piano delle Fosse. Si notano, a sinistra, i segni dell’incendio che distrusse l’archivio comunale.

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Author: Geppe Inserra

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