Sporcarsi le mani, ritrovare il senso dell’appartenenza alla comunità, rifuggire dallo sfrenato individualismo che avvelena la coscienza, ritrovare il coraggio della testimonianza e l’impegno della partecipazione; riprendersi l’esercizio della cittadinanza; superare la sindrome dello spettatore.
Ancora una volta, mons. Vincenzo Pelvi, arcivescovo di Foggia, non le manda a dire. Chiama a raccolta la Chiesa di Foggia precisando che “non si vuole accusare o condannare”, ma semplicemente risvegliare la città, che ieri sera ha ascoltato le parole del suo pastore in una Cattedrale gremita come sempre accade al termine della processione che ricorda l’apparizione della Madonna dei Sette Veli. Volti attenti e commossi. Un ascolto non di circostanza.
La sensazione è che la Chiesa c’è, tra gli ultimi baluardi di una comunità che si sta sfilacciando.
La speranza è che il richiamo di Pelvi, che fa il paio con quanto il presule aveva detto qualche giorno fa in occasione della presentazione del libro di Edgardo Longo dedicato alla Beata Maria Celeste Crostarosa, riesca a suscitare una riflessione collettiva, un confronto, e non resti una voce che grida nel deserto.
Ecco, di seguito, il messaggio dell’arcivescovo, significativamente intitolato “La parabola dell’impossibile”.
In Città, nella nostra comunità ecclesiale, siamo liberi o schiavi; sfiduciati o entusiasti; spenti o luminosi? Sono interrogativi che suscitano un sussulto di entusiasmo e di passione per costruire una comunità cittadina più giusta e umana.
A nessuno sfugge quest’aria un po’ caotica di crisi e cambiamento: la corruzione, l’impoverimento urbanistico e ambientale, le difficoltà nella gestione del territorio, la crisi economica, la disoccupazione giovanile e l’emergenza abitativa, le tensioni dovute all’immigrazione. Sembra che ciò comporti una perdita di appartenenza reciproca e una crescita incontrollabile di individualismo. Stanno venendo meno, così, quelle relazioni interpersonali che esprimono accoglienza degli altri, mentre si diffonde, tante volte in maniera invisibile, ma contagiosa, la malattia dell’indifferenza.
Non si vuole accusare o condannare, ma risvegliare la Città perché sia più attiva e unita.
Particolarmente noi credenti non possiamo accontentarci di annunciare princìpi generali, senza sporcarci le mani promuovendo le realizzazioni possibili dei valori evangelici. La Chiesa e i cristiani sono compagni di strada nel realizzare il bene possibile con la testimonianza e l’impegno alla partecipazione. Foggia non crescerà se non insieme. Ha bisogno di ritrovare il senso autentico di una casa comune, del progetto per il suo futuro. Ha bisogno di recuperare il principio della responsabilità, vincendo la “sindrome dello spettatore”, adagiato e rassegnato. Assimilato, ormai, il tempo dei diritti, dovremmo far crescere quello dei doveri in vista di una buona convivenza fondata sull’esigenza di una cittadinanza responsabile. Abdicare o delegare l’esercizio di cittadinanza nella concretezza, nell’organizzazione e nel funzionamento della pubblica amministrazione, rende vana la consapevolezza che ciascuno è costruttore di socialità cittadina e responsabile con e verso tutti gli abitanti, nessuno escluso. I nostri concittadini aspirano a qualcosa di più e desiderano nuova energia d’impegno per le sfide della vita sociale. Ciò non cadrà dal cielo, ma è compito di tutti. Ognuno al suo posto costituisce un elemento indispensabile del tessuto cittadino, e tutti abbiamo il dovere di esaminare il nostro comportamento. Occorre renderci disponibili a un cambiamento nell’atteggiamento e nel modo di pensare, non trascurando il legame fra crisi sociale, crisi ecologica e crisi spirituale. Ripensiamo i nostri stili di vita e apriamoci a comportamenti di semplicità e condivisione.
Non vogliamo continuare a lamentarci, amareggiarci. È bello credere nelle nostre capacità, vedere tutto il bene che esiste accanto a noi: la vita di famiglie meravigliose, la formazione giovanile, la disponibilità verso coloro che soffrono, il lavoro ben fatto, le tante forme di volontariato, l’accoglienza degli immigrati, l’attenzione ai beni artistici e culturali. Vi è tanta ricchezza nascosta nei cuori della nostra gente, tanta speranza nell’agire di molti. Ognuno, nel proprio ambito, è responsabile dell’avvenire della Città. Questo richiederà coraggio e audacia; qualità che non sono mai mancate, ma che invocano l’impegno di tutti. In realtà le vere soluzioni ai problemi non verranno in primo luogo dall’economia, per quanto sia importante, né da prese di posizione e azioni di pochi. Verranno dall’impegno di tutti, dal “fare insieme”, coinvolgendo soprattutto le categorie più deboli e marginalizzate. In altri termini fare insieme per valorizzare i doni di tutti senza trascurare l’unicità irripetibile di ciascuno.
† VINCENZO PELVI
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