Cinemadessai | Quando è la realtà a scrivere i film

OGGI
Quando un film nasce quasi per caso, da una storia vera, e diventa un successo internazionale. È successo a Philomena – in onda su Iris stasera alle 21.00 – diretto nel 2013 da Stephen Frears e scritto da Steve Coogan e Jeff Pope. La pellicola è basata sul libro The Lost Child of Philomena Lee di Martin Sixmith e racconta una storia realmente accaduta.
Proprio da un’idea di Steve Coogan è nato il film: “Nel 2010 – ha raccontato l’attore-sceneggiatore – avevo letto un articolo sul sito del “Guardian” mentre mi trovavo a New York. Era intitolato: «La chiesa cattolica ha venduto mio figlio». Si trattava di un’intervista a Martin Sixsmith sul suo libro “The Lost Child of Philomena Lee”. Raccontava la storia in generale e ne citava i dettagli. Quell’articolo mi aveva molto commosso.
Poco tempo dopo ho incontrato per caso la produttrice Gaby Tana e gliene ho parlato. Lei allora mi ha proposto di coprodurlo. Ho contattato Martin e ho saputo che i diritti di adattamento del libro erano ancora disponibili. Così li ho opzionati nella speranza di poter poi sviluppare il progetto.”
Nel film, Coogan indossa i panni del giornalista che aiuta Philomena nelle sue ricerche, mentre la parte della donna è interpretata da una grandissima Judi Dench.
La storia è ambientata inizialmente in Irlanda, nel 1952. Philomena Lee, ancora adolescente, resta incinta. Cacciata dalla famiglia, viene mandata al convento di Roscrea. Per ripagare le religiose delle cure che le prestano prima e durante il parto, Philomena lavora nella lavanderia del convento e può vedere suo figlio Anthony un’ora sola al giorno.
A tre anni Anthony le viene strappato e viene dato in adozione ad una coppia di americani. Per anni Philomena cercherà di ritrovarlo.
Cinquant’anni dopo incontra Martin Sixmith, un disincantato giornalista, e gli racconta la sua storia. Martin la convince allora ad accompagnarlo negli Stati Uniti per andare alla ricerca di Anthony.
Il pregio maggiore del film sta nella capacità di tenersi in equilibrio tra tragedia e commedia, con esiti sempre felici, grazie all’abilità calligrafica del regista Stephen Frears. Da guardare assolutamente.
DOMANI
Per capire fino in fondo la guerra, la sua stupidità, la sua inutilità, bisogna guardare Full Metal Jacket di Stanley Kubrick. Lo sguardo del grande regista sul Vietnam e la sua narrazione diventano un film universale. La guerra del Vietnam rappresenta tutte le guerre del mondo, passate, presenti, future.

La condanna non è morale. Kubrick, come sempre accade nelle sue opere, non parte da una tesi morale, per declinarla e confermarla attraverso le immagini. E ciò che colpisce di Full Metal Jacket, è proprio l’assoluta amoralità. Alla fine, non ci sono vincitori né vinti. E nemmeno eroi. Si vive, si spara, si muore, senza una ragione. C’è solo la guerra.
Ispirato al romanzo Nato per uccidere (The Short-Timers) di Gustav Hasford, un ex Marine e corrispondente di guerra che ha collaborato alla sceneggiatura, il film racconta episodi diversi della guerra in Vietnam, che vanno dall’addestramento di un gruppo di marine, fino alla partenza per il Vietnam e al loro battesimo del fuoco sul campo di battaglia.
Ha scritto FilmTv di Full Metal Jacket: “È un film senza eroi, senza nessuno in cui identificarsi, senza speranze e soprattutto senza retorica, in un Vietnam minuziosamente ricostruito eppure quasi astratto. E, come sempre per Kubrick, un capolavoro.”
Il film è interpretato da Matthew Modine, Vincent D’Onofrio, Adam Baldwin, R. Lee Ermey, Dorian Harewood, ed andrà in onda domani sera su Iris, alle 21.00.
L’AFI lo ha inserito al novantacinquesimo posto nella classifica AFI’s 100 Years… 100 Thrills.

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Author: Geppe Inserra

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