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Opera prima di Marco Tullio Giordana, Maledetti vi amerò è, tra i tanti film usciti sul Sessantotto e sulla stagione della contestazione, il più sincero nel raccontare e mettere a nudo i sogni naufragati di una generazione che aveva veramente creduto sulla possibilità di cambiare i mondo. Fu un esordio travolgente, non particolarmente amato dalla critica, che si divise, ma che conquistò i cinefili e il pubblico delle sale d’essai, e ottenne oltre i confini ampi riconoscimenti.
Sceneggiata dallo stesso regista e da Vincenzo Caretti, la pellicola, uscita nel 1980, conquistò il Pardo d’Oro al Festival di Locarno e venne presentata nella sezione Un Certain Regard del 33º Festival di Cannes.
Stasera, alle 21.00, su Iris, c’è l’opportunità di rivedere il film, ed è un’occasione da non perdere perché non è mai stato pubblicato su dvd ed è dunque molto difficile da reperire.
Riccardo (interpretato da uno straordinario Flavio Bucci, in quella che è stata forse la migliore performance della sua carriera) racconta il ritorno in Italia, dopo cinque anni trascorsi in Sudamerica, di Riccardo, detto Svitol, protagonista attivo del Sessantotto.
L’uomo trova tutto cambiato. Dei suoi vecchi amici, c’è chi è finito nel tunnel della droga, chi è diventato ricco e ha tagliato i ponti con la politica, chi si arrangia con lavoretti ed espedienti. Riccardo prende allora ad interrogarsi sul senso dell’essere di destra o di sinistra. “L’importante sono le definizioni. Di Vittorio è di sinistra, su questo non ci piove. Lama invece è di destra, con quella pipa… Terracini invece è di sinistra, come il te, il riso integrale e la cucina macrobiotica. Il caffè invece di destra…”
Nelle definizioni, Riccardo cerca un’identità ormai perduta, e non è un caso che la sola persona con cui riesca a fare amicizia è un commissario di polizia, che sarà il protagonista dell’imprevedibile e drammatico finale. La morale sembra essere quella che gli autori mettono in bocca a un giovanissimo David Riondino quando discute con Sidol nella redazione di Lotta Continua, di cui è redattore, dell’assassinio di Aldo Moro: “Di compagni ne ammazza più la depressione della repressione.”
Quando uscì dieci anni fa La ragazza del lago, opera prima di Andrea Molaioli, suscitò particolare scalpore, perché fu la dimostrazione vivente che il cinema indipendente ed “impegnato” può andare bene al botteghino come i cinepanettoni.
A sorpresa la pellicola restò in programmazione per settimane e si impose all’attenzione di pubblico e critica, conquistando ben 10 David di Donatello, grazie anche alle splendide interpretazioni di Toni Servillo, Valeria Golino e Fabrizio Gifuni.
Tratto dal romanzo “Lo sguardo di uno sconosciuto” di Karin Fossum, il film racconta un caso di omicidio che ha come vittima una ragazza giocatrice di hockey, che viene ritrovata morta e nuda sulle sponde dei laghi di Fusine.
Le indagini sono svolte dal commissario Giovanni Sanzio (Toni Servillo) che ha una situazione familiare difficile. Il caso si rivela subito più difficile e complesso del previsto, perché l’autore del delitto non può che esse uno degli abitanti del paese, che è molto piccolo, ed è il classico centro in cui tutti conoscono tutti. Affidandosi all’intuito e alla sua innata umanità, il commissario deve mettersi alla ricerca di verità tanto scomode quanto nascoste, che esploderanno improvvisamente nel drammatico finale.
Oltre ai dieci David di Donatello, l’opera prima di Molaioli fu insignita di un’autentica valanga di premi (tre Nastri d’argento, due globi d’oro e quattro Ciak d’oro, mentre Toni Servillo si aggiudicò il Premio Pasinetti alla Mostra del Cinema di Venezia). Verrà trasmessa domani sera, alle 21.20, su RaiMovie.
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