Viscardo di Manfredonia, il quinto capitolo

Eccoci al quinto capitolo del romanzo d’appendice Viscardo di Manfredonia dello scrittore e filologo pugliese Francesco Prudenzano. Per leggere il riassunto delle puntate precedenti o per scaricarle visitare la pagina dedicata al romanzo, (cliccare sul collegamento) dov’è possibile anche trovare una scheda critica e l’elenco dei personaggi. Per scaricare le puntate precedenti è necessario cliccare sul collegamento presente sul numero di ciascun capitolo, nel riassunto delle puntate precedenti. Buona lettura.

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CAPITOLO V.
La malattia di Eleonora che fino a que’giorni erasi mostrata benigna , coll’avanzar della stagione mutò d’aspetto, aggravandosi ed attaccandola alla vita. Non più usciva a passeggiare nelle ampie sale del castello, o nella terrazza a respirar l’aria ossigenata de’ monti, ed i profumi che esalavano nel mattino dai fiori. Solo un’ ansia religiosa la trasse per parecchi altri giorni nel coretto superiore della cappella ad ascoltar dalla tribuna la messa, e fare le consuete orazioni: quindi sfinita ed arsa dalla febbre non più potè consolar la sua anima di tanto soave conforto, e si ridusse nelle sue stanze. Indi a pochi dì, il male che avea lavorato a gran passi, più non le permise levarsi di letto. La era già rassegnata al volere supremo, ed un celestiale sorriso le tralucea nel volto, pensando a quella vita più pura e più lucente che dovea vivere fra non guari [tra non molto]. Se non che parea di quando in quando turbarsi il suo viso e divenir mesto, meditando all’incerto fato dell’orfana e soletta figliuola; e piangeva. E rasserenavasi quindi piena di fede in Dio, avendo per fermo nella sua coscienza che se ci mancano qua giù i genitori, v’ è la sua invisibile mano che dal cielo ci spiana la via disastrosa, ci guida e ci scansa dal pericolo, e ci conforta col consiglio della sua voce che parla al nostro cuore nelle ore del silenzio. E giungendo le mani in atto di preghiera, dicea con fervore rivolta al cielo “—Sia fatta la tua volontà, o Signore della mia salute; e giacche tu degni chiamarmi al tuo riposo, soccorri all’orfana figlia, allontana dal casto fiore di sua innocenza il serpe velenoso, e prendila nella tua custodia.—“ E dopo la preghiera sentiasi più calma, e le sorgea nel cuore una fede, una speranza, una letizia non mai sentita, quasi che voce di cielo le favellasse all’anima, annunziandole la grazia invocata .

E Gabriella? quell’angiolo purissimo di Dio stava ad ogni ora intorno al letto della madre, e la guardava fissa negli occhi, e la interrogava come si sentisse; e sedea tacita a costo al capezzale , se vedea che all’inferma velasse gli occhi breve sopore. Qual era lo stato della povera Eleonora pensando al pianto inconsolabile della figlia da cui era con tanto affetto amata? Ah! lascio considerarlo a voi, buone madri, che quasi spiriti celesti vegliate alla cura della prole diletta, e piangete quando per morte partendovi di qua giù, ne vedete ombroso il suo destino.
Intorno al letto di Eleonora, accanto a Gabriella, stava in piedi una giovane, a nome Elena, tra le ancelle la più diletta; la quale veniva non come serva, ma come persona di famiglia riguardata. Ed Elena amava la sua signora qual madre tenerissima da cui era stata, orba de1 suoi onesti e civili genitori, raccolta nel castello e salvata dalla fame e dal disonore, che pur troppo la scuotevano e la minacciavano. D’indole amorevole, e grata al bene ricevuto, ella sentiva un ambascia mortale per la sciagura che soverchiava la sua padrona. E ridottasi spesso nella sua camera dava col pianto libero sfogo al proprio dolore. E benché la poveretta, a cui era oramai affidata la cura della famiglia, dovesse andar su e giù per le domestiche faccende, pure come le sopravvanzava minuto, tornava intorno all’amato letto, e vegliava le notti intere, dando luogo a Gabriella che riposasse, già stanca dalle cure di tutta la giornata.
Ad Eleonora che vedeva in quelle due derelitte la speranza che nutrivano della sua guarigione,le mancava il cuore parlarle apertamente del punto fatale a cui vedeasi vicina. Ma un giorno che s’intese assai peggiorata , credè non dover più indugiare quest’atto doloroso; onde chiamatasi più dappresso Gabriella, le prese a dire:
— La nostra vita, figlia mia, è nelle mani del Signore ; e sia benedetto quando ce la dà, e ancora quando ce la toglie; perchè egli sa che sarebbe inutile e forse dannosa.
Gabriella che avea già compreso qual significato avessero queste parole, ruppe in un pianto dirotto, nascondendo il suo viso nel seno della madre.
— Pure io ti credea più forte — soggiunse Eleonora, sforzandosi a parer serena; ma il suo cuore sanguinava troppo! — Povera Gabriella mia, datti animo. Se la madre più non risponderà alla tua voce, c’è la Provvidenza che veglia su di te. Sì, figlia mia, Iddio che è padre degli orfani ti prenderà in sua custodia. Di che temerai allora? Cammina sempre, per le sue sante vie, e le tempeste del mondo non oseranno mai stridere sul tuo capo. Il Signore nella sua misericordia ha degnato decidere de’ miei giorni, ed io lo benedico di cuore. Sì, figlia mia, sii tu pure rassegnata.—
Ma la povera fanciulla piangeva sconsolatamente, e:
— No , non dirlo, madre mia — le rispondea tra i singhiozzi — Iddio non toglierà tanto conforto alla mia povera vita.
Eleonora intanto sollevatasi sul letto ponea la mano sul capo della figlia inginocchiata a’piè d’essa , e cogli occhi levati al cielo implorava sulla piangente l’alta benedizione.
Elena,all’ora entrata nella camera, contemplava a piè del letto, gemendo tacitamente, questa scena di dolore. L’inferma se ne avvide, e fattole segno colla mano la fece accostare ; e strettala al cuore le disse; accennandole Gabriella:
— Voi l’amerete sempre , è vero , Elena?
— Oh , che mi tocca mai sentire — rispose la poveretta inondando di pianto la mano della baronessa che tenea stretta fra le sue.
— Nol dicea già per rimproverarti di mancanza d’amore, — soggiunse la signora — che so quanto sei buona ; ma perché voglio che mi prometti che le vorrai sempre bene come sorella.
— Si, si ! — rispose la misera, ma più col chinar della testa che colla voce , perché i singhiozzi le strinsero la gola, e le posero un fuoco e un affanno indicibile.
— Il cielo ti benedica. Lasciatemi per poco sola — soggiunse rivolta a tutte due — ho bisogno di pregare: si, gl’infelici han d’uopo di Dio. Pregate anche voi, perché il Signore abbia pietà dell’anima mia… Oh figlia mia!— seguì quindi vinta da piena d’affetto, stringendola un’altra volta al cuore —no, non sarai sola; la madre tua veglierà su te dal cielo —. E staccandosela dal seno — Va, va, — le ripeteva — che il Signore ti benedica.
Gabriella ed Elena uscivano dalla camera sconsolate, ed entravano nel coretto della cappella a pregare.
L’inferma intanto rimasta sola, fece a sè chiamare il marito, al quale, appena venuto, ella accennò che sedesse accosto al letto ; e prese così a favellargli:
— Raimondo, ogni tempo arriva, e già sento che la mano della morte mi palpa le membra. Se la preghiera di moglie può una volta essere esaudita, credo che sia più efficacemente nell’ultim’ora della vita. Raimondo, io perdono a tutti gli oltraggi ed ai dolori che mi avete dati, e se questa mia morte mi venisse per voi, io vi perdono ancora;
Il barone guardava fissò a terra con occhi impietrati, e taceva. Eleonora dopo breve silenzio ripigliò:
— Se posso ottenere da voi una grazia io ve la chiedo in nome del cielo, e sarà l’estrema.
— L’estrema no — le rispose il marito, come tocco da rimorso.
— Sì — segui l’inferma — perché la mia campana ha già suonato i miei funerali. — E sollevatasi il più che poté su gomiti, gli disse figgendogli gli occhi in viso.—Raimondo, il vostro popolo freme contro di voi!… Voi lo avete troppo gravata, ed egli maledice ed esecra voi- che pur non eravate pravo di cuore!… Raimondo, questo misero popolo manca di pane, ed è nella estrema lotta della disperazione!… Raimondo il vostro popolo!… E se pur avessi ad ottener da voi che aveste a fuggire il consorzio del duca di S. Giovanni, io morirei consolata… Raimondo, la nostra Gabriella è cosa sacra! mal si addirebbe raccomandarla a voi che siete suo padre!!..
Il barone chiuso in se stesso non alzava il viso da terra, mandando spesso lampi tremendi dagli sguardi. Indi a poco levatosi ritornò scosso e sbalordito nelle sue stanze.
In questo mentre il medico entrò nella camera dell’inferma a visitarla.
Viscardo Alderani frattanto, ch’era ritornato da alcune settimane a Manfredonia, essendo stato avvertito per un messo che il male della baronessa cresceva e diveniva irreparabile; lasciata la sua residenza, risalì precipitoso sul Gargano.
Il medico uscito dalla camera s’incontrò con Viscardo che entrava ansante a veder l’ammalata. Il quale rattenutolo, lo pregò volergli parlare. Il conte lo seguì nella stanza contigua, ove il dottore gli espose tornare vana ogni cura che prescriveva l’arte salutare [la medicina]. Il giovane rimase di gelo a queste rigide parole; ed egli che riconosceva in Eleonora non la semplice amica, ma , direi, la madre, s’intese come un colpo al cuore, e rifluire il sangue al cervello. Alcune lacrime gli uscivano mal suo grato [suo malgrado] dal ciglio, cadendole sul volto pallido ed austero. E conserte le braccia al petto, represse un sospiro; ma dando sfogo alla natura ruppe in un gemito profondo; e guardava con occhio spalancato il cielo che gli era di fronte, quasi volesse interrogarlo coll’anima sua nobilmente sdegnosa, perché si consumasse una tanta sciagura. Ma sforzatosi a comparir sereno, entrò nella camera dell’inferma. Com’ella lo vide s’intese più rinfrancata nelle forze, e sorridendogli con affetto gli prese la mano, stringendogliela fra le sue cocenti e dimagrate. Egli la guardava senza profferire accento, e tocco da riverenza si curvò a baciar quella mano che tante volte lo avea, fanciulletto, accarezzato , e salvato dal precipizio; e che ora con tanto sentimento stringeva la sua.
Varie parole di conforto prese egli a dirle più d’una fiata [volta], ma la voce gli mancò soffocata nella gola da forte commozione.
Eleonora lo guardava, e leggendo in quell’anima passionata il profondo dolore , cercò blandirla -, confortandolo col mostrargli tutta la sua rassegnazione al celesti voleri.
— Povero Viscardo — cominciò a parlargli — sempre buono, sempre figlio affettuoso: vi ringrazio del vostro generoso dolore. È vero che voi pregherete per l’anima mia? Non vi sarà discaro [sgradito] lo so, venir qualche volta a poggiar la fronte sulla mia tomba… Sì, io pregherò dal cielo per la vostra felicità.
Viscardo sentiva come un fuoco nel suo interno, e stringersi da un’ansia cocente, che si sprigionò impetuosa dal petto. La sua mano tremava fra quelle dell’inferma ; e ad onta che volesse mostrar fermezza e darle coraggio, non pertanto l’umana fralezza [fragilità] lo soverchiò e lo vinse. Un singhiozzo gli uscì convulso e stretto, ed abbondanti lacrime gli caddero dagli occhi.
— Via — continuò serenata Eleonora — datevi animo: chi consolerà la mia povera Gabriella quand’io non sarò più? — È vero , Viscardo, che voi verrete spesso a visitarla? — Povera figlia, non le mancate anche voi. Voi sapete che è sacra la preghiera d’una madre moriente.
— Voi vivrete — rispose il giovane sforzandosi a parer tranquillo – ma anche il cielo avesse deciso de’ vostri giorni, Gabriella, e lo prometto innanzi a Dio, avrà in me un fratello!
Queste promesse fatte con tanta verità e religione, infusero una pacatezza e un conforto nel cuore di Eleonora, la quale pel resto di quella giornata parve più rimessa nelle forze… Tanto può la vista e la parola di persona cara nell’animo di chi soffre!… Ma venuta l’ora del tramonto; col cadere del sole si dileguò quella leggera miglioria, ed un tormentoso affanno venne ad assalire l’inferma. Ella sentendosi grave più dell’usato, chiese del confessore. Indi a poco venne al castello un vecchio sacerdote cappuccino, Fra Dionigi da Taranto, ch’era il confessor di famiglia ; venerando di figura, calvo nella fronte , e con bianca barba, scendente lunga sul petto. Egli era tenuto in Montesantangelo e nelle terre vicine per uomo di santa vita, e per l’austero regime che lo governava, e per la carità che spirava da ogni sua opera e parola. Fu subito introdotto dall’inferma, col quale ella stette a lungo. Parlò l’ultima volta della vanità delle cose umane, e mostrossi contenta di partirsi presto da questa dura terra la quale non dà che spine ed amarezze. Se non che l’angosciava forte il pensiero di dover lasciare la figliola in sì difficile età, e lo pregava fervidamente che la venisse spesso confortando della sua presenza e dei suoi consigli. Il Frate era commosso , e le promise che avrebbe adempito la sua volontà. Poscia [quindi] prese il Viatico, ed in capo a qualche ora fu unta dell’ olio santo.
Alla nuova i parenti erano accorsi, e stavano a sollevar la famiglia nelle camere contigue.
Eleonora abbandonata interamente nelle braccia del Signore, nutriva la sua anima di celeste desiderio, intenta in salutari colloqui col confessore.
Come s’inoltrò la notte, intese ella sensibilmente andarle mancando la vita. Sentì desiderio di vedere ed abbracciar l’ultima volta la sua figliuola , e pregò Fra Dionigi che le avesse fatta la carità di chiamarle la famiglia. Il Frate usci dalla camera , e dopo pochi istanti glie la ricondusse.
Gabriella appoggiata ad Elena si avvicinò al letto della madre: il suo viso affinato dal dolore era pallido come la morte. Appresso entrò Raimondo e Viscardo, seguiti dal resto de’parenti. L’inferma si levò per poco reggendosi sui gomiti, fissò un languido sguardo in volto a Gabriella; voleva abbracciarla ed invocar dal cielo la benedizione sul suo capo, ma vinta da piena d’affetto, ricadde supina mandando un ultimo languido sguardo sulla figlia e sul marito.
Il confessore la guardò fiso e s’accorse esser oramai giunto l’estremo momento. E fatto cenno agli astanti che s’inginocchiassero, incominciò le preghiere de’moribondi; alle quali essi rispondeano , e l’agonizzante ancora quando in sua mente, e quando col volger degli occhi al cielo. Il Frate l’asperse coll’acqua benedetta, le posò sul petto affannoso il lembo della stola, avvicinandole alle labbra il crocefisso che avea fra le mani. Ma non sentendola più alitare le toccò i polsi ed accostò il suo viso in quello di lei… Era spirata!

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Author: Geppe Inserra

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