Cinemadessai | Mare dentro, il difficile tema dell’eutanasia

Film duro e scomodo, su un tema duro e scomodo come quello dell’eutanasia. Mare dentro (2004), dello spagnolo  Alejandro Amenábar racconta la storia vera di Ramón Sampedro, divenuto tetraplegico a seguito di un tuffo da uno scoglio finito purtroppo male.
Presentato in concorso alla 61ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, è interpretato da Javier Bardem, che alla rassegna veneziana si aggiudicò la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile.
Dopo venticinque anni trascorsi nella immobilità del letto  cui è costretto dalla malattia, Ramón decide di intraprendere un’azione legale nei confronti del governo spagnolo per vedere riconosciuto il proprio diritto all’eutanasia.
Verrà sostenuto nella sua battaglia da due donne: Julia (Belén Rueda), un’avvocatessa affetta da una malattia neurodegenerativa e Rosa (Lola Dueñas), che lo assisterà fino alle fine.
Il caso di Sampedro fu al centro, in Spagna, di una campagna mediatica particolarmente intensa che il regista Amenábar sintetizza con grande efficacia nello scambio di battute tra il protagonista e un prete, anch’egli tetraplegico, che vorrebbe dissuaderlo dall’eutanasia.
“Una libertà che elimina la vita non è una libertà”, afferma  il sacerdote. Ma Ramon replica: ”una vita che elimina la libertà non è vita”.
Ha scritto dell’opera FilmTv: “Amenábar raffredda l’emotività (che avrebbe potuto essere esplosiva), aiutato in questo dalla recitazione millimetrica di Javier Bardem. Ma nello stesso tempo non resiste alla sinuosa mobilità della macchina da presa, alle aperture che gli consentono i sogni e i desideri irrealizzabili di Ramón: nel momento più bello del film, quello dell’incidente raccontato a un’amica, tutta la vita gli passa davanti agli occhi, scandita dalla rapida successione delle fotografie dei volti, dei luoghi, delle ragazze amate.”
Bel film. Da vedere. Stasera su Iris, alle 21.00.
DOMANI
Un film disturbante. Ma profondamente vero, e incredibilmente intenso. La solida esperienza maturata nel mondo della pubblicità e degli spot consente a Tony Kaye (alla sua opera prima) di affrontare temi importanti – e centrali, nel caso degli USA – come il razzismo, senza mai scivolare né nella banalità, né nella retorica. American History X (1998, in onda domani sera su Rete 4 alle 21.20) è un esempio di come si possa fare cinema ad altissimo livello mantenendo il giusto distacco anche dalle facili presi di posizione politiche e ideologiche. Nel suo cinema tutto è al posto giusto, ogni inquadratura, ogni stacco ha senso e ha qualcosa da dire. Eppure non è esercizio di virtuosismo, ma piuttosto perfetta aderenza alla macchina filmica.

Kaye e David McKenna (autore del soggetto e della sceneggiatura) raccontano la storia di Derek Vinyard (Edward Norton), skinheads e neonazista, pieno di rabbia per la morte di suo padre, condannato a tre anni di reclusione per avere ucciso due ragazzi di colore.
In carcere Derek aderisce ad un gruppo neonazista, ma poi si ravvede grazie all’amicizia delle sole due persone che durante la detenzione gli sono vicine, entrambe di colore: un giovane con cui condivide il lavoro nella lavanderia e il suo vecchio preside e insegnante, Sweenie (Avery Brooks). Da questi Derek apprende che suo fratello Danny (Edward Furlong) si sta incamminando sulla sua stessa strada. Cercherà in tutti i modi di dissuaderlo, ma le cose peggiorano quando Derek, uscito dal carcere dopo aver subito violenze da parte dei neonazisti, e rientrato nel suo vecchio ambiente, decide di chiudere definitivamente i conti con il passato. Ma ormai è un eroe politico, un simbolo dell’ideologia neonazista, e non sarà per niente facile. Il finale è fortemente  drammatico, per nulla consolatorio.
La splendida performance di Norton fruttò all’attore americano la nomination all’Oscar, e il premio quale Miglior attore in un film drammatico al Satellite Award e quale Miglior attore protagonista al Taormina Film Festival.

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Author: Geppe Inserra

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