Cinemadessai | La resistenza dallo sguardo di un ragazzo

OGGI
Le atrocità del nazismo ma anche della guerra, l’anelito di libertà dei partigiani bielorussi che nel 1943 si opposero al brutale genocidio operato dagli invasori tedeschi. In “Va e vedi”, bellissimo film girato dal regista russo Elem Klimov nel 1985, viene citato soltanto un dato, ma di assoluta evidenza. I tedeschi dettero alle fiamme durante la loro campagna in Bielorussa 628 villaggi, tra deportazioni di massa, esecuzioni, violenze ai danni delle donne, atrocità di ogni tipo. In questo drammatico contesto.
Florya è soltanto un adolescente: rinvenuto casualmente un fucile, si unisce alle truppe partigiane e sarà costretto ad “andare e vedere”.
Elem Klimov riesce a tenere sempre alta la tensione, alternando azione a visione, sorriso a disperazione. Il finale, con la rabbia di Klimov che si accanisce su un ritratto del Fuhrer, e le immagini che scorrono indietro nel tempo, è genialità pura, e grandissimo cinema.
La pellicola venne girata poco tempo prima della caduta dell’Unione Sovietica e della fine del comunismo. Il realismo socialista tipico della cinematografia russa dei decenni precedenti pare cedere il posto ad uno sguardo più partecipato e consapevole. Ma del grande cinema russo, Va e vedi conserva lo spessore epico e la capacità di denuncia. Tra gli interpreti, tutti molto bravi, figurano Aleksei Kravchenko, Olga Mironova, Liubomiras Lauciavicius, Vladas Bagdonas.
Il titolo è tratto da un versetto dell’Apocalisse, e mai riferimento biblico sembra così azzeccato: la storia è una lenta discesa negli Inferi che neppure il sorprendente finale riesce ad ammorbidire.
Straordinario. Da non perdere. Stasera, alle 21.10, su RaiStoria.
DOMANI
Domani sera, alle 22.15 si Tv 2000 il film che ha ufficialmente inaugurato la stagione della nouvelle vague in Francia: I quattrocento colpi di François Truffaut, che rappresenta anche il primo lungometraggio del geniale regista parigino (che tuttavia, quando girò la sua opera prima, aveva alle spalle diversi cortometraggi, alcuni dei quali in collaborazione con Godard).

Cinefilo rigoroso e critico militante, Truffaut aveva scritto qualche anno prima che “il film del futuro sarà un atto d’amore”. I quattrocento colpi costituisce, in un certo senso, l’attuazione di questo ambizioso disegno.
Un atto d’amore fondato sulla memoria, rappresentata in questo caso dai ricordi d’infanzia di Truffaut.
Film in parte autobiografico, I quattrocento colpi racconta la storia di Antoine Doinel (alter ego del regista, che lo accompagnerà fino all’età matura nei successivi film), incarnato dall’attore-feticcio Jean-Pierre Léaud.
Introverso, difficile, scontroso, Antoine marina spesso la scuola, ha un rapporto ostile con gli insegnanti, rubacchia qua e là. È un modo per manifestare il suodesiderio di ribellione. Ma quando con l’amico René (Albert Rémy) ruba una macchina da scrivere, per lui cominciano i guai… Finirà infatti in riformatorio. La struggente sequenza finale viene ritenuta tra le più belle ed importanti di tutta la storia del cinema.
La pellicola vinse il Gran premio speciale della giuria a Cannes nel 1958. Personalmente lo ritengo tra i più bei film sull’adolescenza e sulla scuola di sempre.
Doinel e Leaud torneranno in altri quattro film, fino all’ultimo “L’amore fugge” del ’78.

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Author: Geppe Inserra

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