In C’eravamo tanto amati, uscito nel 1974, Ettore Scola racconta la crescente omologazione di una generazione che aveva combattuto per la libertà e per la democrazia. Tuttavia, nella storia aleggia ancora la speranza. Così non è in Brutti, sporchi e cattivi, che Scola realizza due anni dopo. Qui è di scena il sottoproletariato che vive nelle borgate romane, lo stesso che aveva ispirato a Pasolini alcuni dei suoi film più belli, come Accattone e Mamma Roma, dove la solidarietà di classe è l’antidoto alla povertà e all’ingiustizia.
Tutto questo non c’è più in Brutti, sporchi e cattivi in cui Scola racconta, in chiave grottesca ma volutamente ruvida, le complesse dinamiche che agitano una famiglia di emigrati pugliesi che vive in una baraccopoli alla periferia della Capitale.
Il capofamiglia Giacinto, dispotico e antipatico, ha perso un occhio, per un getto di calce viva, ed è stato risarcito con un milione, che costituisce la sua ossessione: vive con l’incubo che qualcuno della famiglia glielo rubi. Ma provocherà un sacco di disastri.
È il racconto della fine di una speranza. La cattiveria sommerge ormai anche i poveri. Il film conquistò premio per la miglior regia al 29º Festival di Cannes. Sull’Espresso, Alberto Moravia sottolineò la grande interpretazione di Nino Manfredi, che ha saputo delineare il personaggio di Giacinto “con straordinaria misura e sottigliezza”.
Un film importante, da non perdere. Stasera, su La7, alle 22.45.
DOMANI
Che dire, ai cari amici di Lettere Meridiane che seguono questa rubrica cinematografica, a proposito di C’era una volta in America di Sergio Leone? Che mai come in questo caso, corro il rischio di essere di parte. Perché il capolavoro di Sergio Leone è il film che mi è maggiormente piaciuto nella mia carriera di spettatore, e ogni volta che posso lo rivedo volentieri, sempre scoprendovi aspetti nuovi.
La versione che Rai Tre presenta domani sera, con inizio alle 21.15, è quella estesa che contiene 26’ di scene che furono inizialmente escluse dal montaggio iniziale, e che portano a ben 220’ la durata dell’intero film. Ma ne è valsa la pena perché le aggiunte gettano luce nuova su alcuni passaggi della storia. Il restauro e il nuovo montaggio sono stati realizzati dall’Immagine Ritrovata di Bologna, con il finanziamento di Gucci e della Film Foundation di Martin Scorsese.
Quattro anni fa la proiezione aprì il Festival del Cinema Indipendente di Foggia, e fu veramente bello guardarlo assieme ad altri fan di Sergio Leone, che conoscevano a memoria praticamente tutto il film. Ogni nuovo inserto veniva salutato da un brusio sommesso.
C’era una volta in America è il solo film di Sergio Leone la cui distribuzione si sia conclusa con un insuccesso dal punto di vista economica. Ma è il suo film più bello, più inseguito, più caparbio.
Racconta la storia dell’amicizia tra Noodles e Max e della loro ascesa nel mondo della malavita. Dopo una pesante condanna Noodles, innamorato di Deborah, riprende le redini della banda che continua a fare affari d’oro, fino a quando Max non resta ucciso in uno scontro a fuoco. Noodles si ritira a vita privata, ma trent’anni dopo riceve una lettera…
“Vero e proprio “film-testamento” di Leone – ha scritto FilmTv -, che vi riversa il suo personale amore per il cinema della grande Hollywood con un’impetuosità e una devozione assolute. Un affresco insieme epico e realistico, “mitologico” e malinconico.”
C’era una volta in America è tutt’altro che (solo) un gangster movie: è un’accorata riflessione sul tempo, sull’amicizia, sul tradimento (temi che l’accomunano a C’era una volta il West e a Giù la testa).
Sul finale che non conclude del tutto la vicenda si sono versati fiumi d’inchiostro: ma il sorriso in macchina di De Niro che si stampa sui titoli di coda è tra le cose più belle e magiche di tutta la storia del cinema.
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