DOMANI
Che fine ha fatto Baby Jane è un film gotico, intenso, a tratti disturbante. Sulla vecchiaia e sulla difficoltà che s’incontra nel metabolizzarla, a volte sprofondando nella cattiveria e nel male.
Jane (Bette Davis) è una bambina prodigio che grazie alle sue non comuni qualità canore e alla bellezza ottiene un successo straordinario, che la fa diventare la classica bambina viziata, altezzosa e sprezzante, soprattutto nei confronti della timida sorella Blanche (Joan Crawford).
Le cose cambiano con il passare degli anni. Mentre Jane viene dimenticata dal pubblico, Blanche si avvia con successo verso il mondo dello spettacolo, diventando una delle dive più famose. La sua carriera viene però bruscamente interrotta da un misterioso incidente d’auto, che si sospetta sia stato provocato da Jane, gelosa del successo della sorella.
L’azione si sposta a una trentina d’anni dopo. Jane, mentalmente disturbata e irrimediabilmente alcolizzata, e Blanche costretta a vivere sulla sedia a rotelle, sono costrette a vivere insieme, in un’escalation di follia e di sangue, fino all’indimenticabile colpo di scena finale.
La prova di Robert Aldrich è più che magistrale. Il ritmo che riesce ad imprimere alla storia elevatissimo. Lo spettatore resta sempre incollato alla poltrona. Bette Davis e Joan Crawford sono superbe.
Ha reso omaggio a Che fine ha fatto baby Jane anche Dylan Dog: la storia, i nomi delle protagoniste e perfino i loro volti ispirano l’albo La scogliera degli spettri.
Totò ne fece invece una parodia, intitolata Che fine ha fatto Totò Baby?, diretta da Ottavio Alessi e uscita nel 1964, dove il protagonista, che ha un rapporto di amore-odio col fratellastro in carrozzina, diventa un serial killer dopo aver fatto indigestione di marijuana. Stasera, su TV2000 alle 21.05. Un film che non si può fare a meno divedere, o rivedere.
DOMANI
L’orario è particolare (ora di pranzo, ore 14.10 su RaiMovie) ma se non ci siete programmate il videoregistratore. Vale sempre la pena. Una giornata particolare è il capolavoro di Ettore Scola, l’esito più alto di un autore che rinnova con questa opera tutta la forza e la potenza del neorealismo.
I grandi drammi, così come la grande ubriacatura collettiva che fu l’oggettiva stampella del fascismo, restano questa volta sullo sfondo, per mettere in primo piano una storia tenera e tenue, ma di grande impatto, anche politico.
È il giorno della visita del Fuhrer a Roma. La città è praticamente paralizzata. Antonietta (Sofia Loren), ammiratrice del duce, sei figli e un marito camicia nera, fa conoscenza con Gabriele (Marcello Mastroianni) un vicino che abita nello stesso caseggiato popolare. L’uomo le confessa di essere omosessuale, e di aver per questo perso il lavoro di annunciatore presso la radio di Stato.
Tra i due nasce una relazione profondo e tenero, suggellato anche da un fugace rapporto d’amore. La loro amicizia è destinata a concludersi nel giro di qualche ora.
Sospettato anche di attività antifascista, Gabriele viene fermato per essere condotto al confino per i suoi orientamenti sessuali, mentre Antonietta torna alla sua quotidianità di donna subalterna, raggiungendo nel letto coniugale il marito-padrone, proprio mentre sta leggendo il libro proibito regalatole da Gabriele.
La forza del film sta nella denuncia della dimensione maschilista del regime e della ottusa ignoranza del potere.
La sceneggiatura venne firmata dallo stesso Scola, con Maurizio Costanzo e Ruggero Maccari.
Il film è stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare. Ha vinto il Golden Globe come Miglior film straniero, il David di Donatello per la regia e tre Globi d’oro: Miglior film, Miglior attore a Marcello Mastroianni, Miglior attrice a Sophia Loren.
Da segnalare, per i cinefili più incalliti, il lunghissimo piano sequenza iniziale con cui Scola descrive l’edificio ed il contesto: è stato ritenuto dai critici tra i piani sequenza più complessi e lunghi della storia del cinema italiano.
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