Antonucci: la grande Capitanata deve saper guardare “oltre”

Ho l’impressione che parlare di Area Vasta ha stimolato un dialogo inaspettato. Questo non può che fare piacere. È importante, però, che il confronto continui da parte di tutti, ciascuno portando il suo contributo, quale che sia. Se ci fosse già un Urban Center (e di dimensione territoriale integrata), la garanzia della continuità del dibattito iniziato sarebbe maggiore.
È importante che ciascuno partecipi con la massima disponibilità (umiltà?) possibile. Nessuno è portatore di verità, la quale verrà alla fine come un processo autonomo, spontaneo, facile, solo se ognuno partecipa con la propria semplicità ed onestà intellettuale.
Dobbiamo pertanto convincerci che possiamo e dobbiamo dire le nostre idee senza nessuna intenzione di prevaricare, od opporci ad altri senza giustificati motivi.
Non è certo mia intenzione indicare le regole di una “buona” partecipazione. È solo la voglia che tutto concorra ad un buon dibattito, visto che abbiamo iniziato bene. Soprattutto in considerazione del fatto che non siamo ancora abituati ai dibattiti online.

Sulla base di quanto detto, penso di poter condividere con quelli che sono già intervenuti, qualche idea che mi sono fatto sulla base di questo inizio di confronto.
In un primo momento mi sono reso conto che la rabbia e la sfiducia che si sono accumulate dopo tanti insuccessi e detrazioni, perpetrate a carico della nostra Capitanata, induce ad una specie di rassegnazione “nervosa”.
Poi vedo che prevale la tendenza ad essere concreti, nel timore che fantasticando si possa perdere il senso della realtà. Che nelle attuali condizioni di marginalizzazione della Capitanata non è entusiasmante. Ma per affrontare tante questioni la fantasia è inevitabile.
Personalmente ho imparato, progettando, che la fantasia è la molla di tutto, ma per far reggere la casa ci vuole poi la concretezza. Altrimenti gli edifici crollano, o saranno solo delle scatole fredde.
Il mio amico Giovanni Dello Iacovo, di cui ho una stima infinita, ha fatto un’analisi eccezionale di quello che serve per rendere funzionale il nostro territorio. Ha ragione.
Però il mio carattere, che non disdegna la fantasia come detto, mi spinge a voler andare oltre. Il criterio di rimettere tutto in ordine, anche meglio calibrando le infrastrutture da un lato all’altro del territorio, deve imparare, al tempo stesso, a guardare “fuori”. A metterci in relazione con i sistemi più grandi di noi.
Ho più volte evidenziato che la Capitanata è completamente fuori dai “sistemi strategici nazionali” del MIT – Ministero Infrastrutture e Trasporti.
Guardo l’esempio, ora a ma vicino, dell’Abruzzo e di Pescara in particolare, e mi accorgo che, pur in “assenza” di Piani strategici (Foggia in questo è più avanti!) l’Abruzzo si è inserito nel Piano nazionale MIT, attraverso due Piattaforme strategiche interregionali verso il Lazio e la Campania. Ma non era la Capitanata la “Cerniera” alto-meridoniale-orientale per eccellenza, con ottima opzione strategica Tirreno-Adriatico?
Invece la Capitanata è un vuoto assoluto in questo caso non secondario.
Allora aggiungerei alla preziosa analisi di riordino e potenziamento interno della Capitanata una parallela attenzione strategica più “lunga”.
Non significa stravolgere, ma aggiungere. Guardando vicino e lontano al tempo stesso.
D’altra parte se analizziamo altre situazioni regionali, notiamo che la logica interna è sfilacciata ovunque. In questo non siamo gli ultimi. Solo che gli altri guardano lontano, più di quanto facciamo noi. “Fantasticando” con relazioni strategiche che intercettano i sistemi più grandi.
Il nostro Piano strategico Capitanata 2020 è eccezionale. Però, senza nulla togliere, è anch’esso un Piano essenzialmente “interno”, che esalta, giustamente, le proprie risorse, senza dire più chiaramente come queste si legano “oltre”.
Secondo me questo limite poteva diventare superabile, se il nostro Piano strategico Capitanata 2020 si fosse trasformato secondo necessità, come sarebbe giusto, se non obbligatorio (prerogativa essenziale delle pianificazioni strategiche), in un “Piano-processo strategico”.
Le situazioni del territorio si evolvono, e, conseguentemente, si devono evolvere le sue parallele strategie dinamiche. Non stravolgendo, ma magari modificando “in continuità” le priorità, le estensioni logiche, le diverse schermature di sottofondo strategico, etc., etc.
Se il Piano di Area Vasta andrà avanti (è il mio migliore augurio), non potrà essere soltanto una funzionalizzazione al meglio delle sue strutture interne, ma anche una sua proiezione all’esterno, che chiama necessariamente anche fantasia, sostanziata, accompagnata da un aggancio “processuale” alla logica strategica, evitando che questa si configuri solo come un “Piano a parte”. Rigido, statico.
Sono solo idee, che aspettano il confronto e la loro migliore ed eventuale incastellatura nel tutto.
Eustacchiofranco Antonucci. 30-12-2016

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Author: Franco Eustacchio Antonucci

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