Cinemadessai | La stupida futilità della guerra e della morte secondo Ermanno Olmi

STASERA
Stasera,  alle 21.20 RaiMovie offre l’imperdibile opportunità di vedere Torneranno i prati, il film che Ermanno Olmi ha dedicato alla prima guerra mondiale di cui si sta celebrando il centenario. Il film uscì nel 2014, con una distribuzione non particolarmente ampia. Il passaggio televisivo è pertanto un evento ancor più degno di nota.
Il titolo si richiama all’avvicendarsi delle stagioni in montagna, ma sottintende una denuncia all’inutilità della guerra e della morte da essa provocata.
Olmi racconta una notte in una trincea del Nord Est, attingendo ai ricordi bellici di sui padre e al racconto La paura (1921) di Federico De Roberto.
La vita dei soldati alterna lunghe ed interminabili attese, che accentuano la paura, ad improvvisi accadimenti imprevedibili. La pace della montagna diventa un luogo dove si muore. Il film è interpretato da Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Francesco Formichetti e Andrea Di Maria.
In un cinema che è sempre più prossimo a quello di Manoel de Oliveira – ha scritto FilmTv della pellicola di Olmi – , nelle forme di un realismo astratto e sospeso, che fa della trincea il set di un teatro, così, in un Kammerspiel funebre e antibellico, i morti ricordano il logoramento e lo spaesamento, il sacrificio a cui sono stati chiamati, soli di fronte a se stessi e incapaci di vedere il nemico, prima di crepare inutilmente, prima che la neve si sciogliesse e tornasse, ineluttabile, il verdeggiare dei prati. Tutto ciò che si narra in questo film è realmente accaduto. E poiché il passato appartiene alla memoria, ciascuno lo può evocare secondo il proprio sentimento.
DOMANI
Amo moltissimo Guillermo del Toro, regista e scrittore assolutamente atipico, ma anche fortemente rappresentativo di cosa sia oggi il cinema. La sua serie tv The Strain mi è piaciuta immensamente, convincendomi definitivamente che i classici moderni – nel senso dell’epica – più che dalla letteratura, sono rappresentati proprio da opere come The Strain.

Dare una definizione compiuta di questo autore geniale, amico intimo di Quentin Tarantino, è praticamente impossibile. Di se stesso egli dice: “Io ho una sorta di feticismo per gli insetti, i meccanismi ad orologeria, i mostri, i luoghi oscuri”, tutte cose che sono i tratti e gli elementi distintivi dei suoi lavori più celebri.
La sua filmografia attraversa ed annoda territori diversi della settima arte, ma ogni suo film cattura profondamente lo spettatore.
Domani sera, alle 23.25, RaiMovie manda in onda quello che viene ritenuto uno dei capolavori del regista messicano, Il labirinto del fauno, ambientato nella Spagna franchista degli anni Quaranta. Tra mélo, fantasy, romanzo storico e racconto di formazione, il film narra la vicenda di una bambina, Ofelia, del suo rapporto con la realtà e con la fantasia, con il padre adottivo franchista e con sua madre. Il pregio maggiore della pellicola sta nel continuo intrecciarsi e rispecchiarsi di fantasia e di realtà.
Uscito nel 2006 e vincitore di tre Oscar (miglior fotografia, Guillermo Navarro, miglior scenografia, Eugenio Caballero e Pilar Revuelta e miglior trucco, David Martí e Montse Ribé), è il film in lingua spagnola che ha incassato di più.
Segnaliamo anche, sempre domani notte (alle 2.05 su Iris), Le monache di Sant’Arcangelo, che la critica ritiene tra le opere migliori del regista foggiano Domenico Paolella, cui Maurizio De Tullio e Lettere Meridiane hanno dedicato un bell’ e-book (potete scaricarlo qui).

Uscito nel 1973 con sceneggiatura di Tonino Cervi, il film viene ritenuto uno dei capisaldi del genere erotico-conventuale piuttosto in voga i quegli anni e che vide in Paolella uno dei maggiori esponenti: “Opera di culto del filo erotico-conventuale” scrive il settimanale FilmTv.
Nello stesso anno, lo stesso regista e lo stesso sceneggiatore girarono un film dello stesso genere, Storia di una monaca di clausura, con protagonista una giovanissima Eleonora Giorgi, mentre tra le protagoniste di Le monache di Sant’Arcangelo figura un’Ornella Muti appena diciottenne. Nel cast anche Anne Haywood, Luce Merenda e Martine Brochard.
Ispirato a cronache autentiche del XVI secolo e a un racconto di Stendhal, il film racconta la storia di un gruppo di suore che vivono nel monastero di clausura di Sant’Arcangelo a Bajano, in Irpinia, costrette alla vita monastica dalle rispettive famiglie, sia per ragioni di tradizione sia perché ogni nuova superiora, secondo l’uso, fa conferire alla propria casata un diritto di sfruttamento sulle miniere d’oro nell’America Latina. La morte della badessa innesca una torbida vicenda di potere e di sesso.

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Author: Geppe Inserra

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