Nella foto di Bruno Caravella, il silos di viale Fortore, simbolo della crisi dell’economia foggiana |
Il dibattito sullo sviluppo, che ha come fine la ricerca (democratica) di una idea condivisa del futuro di una città, di un paese, di un territorio è diventato sinceramente asfittico in una provincia, come la Capitanata che negli anni Ottanta del secolo passato era diventata un grande e dinamico laboratorio progettuale.
La mia opinione è che la crisi del confronto sullo sviluppo sia in larga parte determinata dalla crisi della partecipazione e degli strumenti di decentramento, nonché dalla crisi dei partiti intesi come luoghi della politica ma anche del confronto, dove si formava l’opinione pubblica.
È possibile invertire questa tendenza? Se Lettere Meridiane – e i commenti degli amici e dei lettori – rappresentando un termometro attendibile degli umori delle persone, delle potenzialità della cittadinanza attiva, la mia risposta è sì.
Per questo, invito gli amici e i lettori che hanno particolarmente a cuore il problema, a leggere con attenzione la proposta che segue di Franco Eustacchio Antonucci, che fa il paio con le riflessioni di Maurizio De Tullio sulla mancanza di una dimensione comunitaria della città (o più precisamente, di una volontà diffusa a vivere la città come comunità).
Franco Antonucci è stato un protagonista di quel grande laboratorio foggiano del secolo scorso, sia come tecnico impegnato in prima persona nelle istituzioni preposte allo sviluppo, come il Consorzio Asi, sia in interessanti esperienze di decentramento.
(g.ins.)
Ripropongo ancora una volta l’idea per l’istituzione di una struttura-contenitore di idee sulla città e sul territorio, basata sul coinvolgimento “continuo” della cittadinanza. Partendo dalle principali questioni spaziali, e pian piano ampliando il raggio di azione a tutte le problematiche concettuali di una intera collettività.
Coagulando ed ampliando l’attenzione al tempo stesso (stringi ed espandi), sugli argomenti di maggiore evidenza, organicamente relazionati al massimo livello dello sviluppo globale. Si tratta di un nuovo e potente strumento, quale è già in molte città italiane l'”URBAN CENTER”, inteso come un Focus ed attivatore polifunzionale locale, di grande ascolto, dibattito e promozione.
Potrebbe chiamarsi in qualsiasi altro modo. L’importante è che sia una struttura capace di mediare ed avvicinare, in questo critico periodo di relazioni difficili, le posizioni dei principali attori della complessa dinamica della nostra società locale e via via sempre più globale (politica e società civile). Ritornando ad una sintesi ed equilibrio riappacificato, dopo una stasi e un riavvio in aspra competizione divaricante, in tutti i luoghi e scale.
Sono già molti gli esempi degli “URBAN CENTERS” in molte città italiane, su modelli europei e oltre, con attività di informazione/comunicazione, divulgazione, promozione e discussione “lunga” sui temi e sui progetti di evoluzione e di trasformazione ad ampio raggio della città nel suo territorio di riferimento, e, progressivamente di allargamento rispetto agli altri sistemi a rete, oltre i confini provinciali. Uno dei presupposti essenziali ed assolutamente necessari è la “continuità” logica dei dibattiti. In opposizione esplicita rispetto ai dibattiti corti, episodici, o dei progetti singoli, fini a loro stessi. Ai quali viene spesso associata una partecipazione occasionale, formalizzata, calata dall’alto, non effettivamente aperta alla diffusione, alla comprensione e al dibattito globale.
Possono essere considerate come “Arene” di confronto reale e ideale, indirizzate al confronto circolare, in primo luogo nei confronti degli Amministratori, ritenuti i principali interlocutori decisionali, quindi ai professionisti, agli operatori economici, alle Fondazioni, alle Associazioni non-profit, alle forze sociali, ai comitati di cittadini e singoli soggetti, che intendono, tutti insieme, contribuire attivamente al progetto di futuro della città, del territorio e della società sempre più in generale.
Pertanto tali strutture sono in genere organizzate con il supporto operativo dei soggetti pubblici (Comuni, Province) e privati di cui sopra. A volte ad iniziativa esclusiva pubblica, altre semplicemente privata. Ovvero mista pubblica privata, attraverso specifiche Convenzioni di partenariato od altro. Lo spostamento maggiore verso l’alto (pubblico), o verso il basso (privato), indica una crescente incidenza del governo locale presumibilmente impositivo, inversamente proporzionale alla voce privata di massima spinta libera dal basso. In ogni caso l’eccesso di dirigismo politico e scarsa partecipazione di base, finisce per affievolire gli “Urban Centers”, fino a farli scomparire.
Tali strutture dovranno effettivamente rappresentare, allora, le orecchie e la bocca dei cittadini, per parlare alla sfera politica di governo della città e del territorio e spingerla all’azione.
Nella maggior parte dei casi tali Centri si sono fortemente specializzati come “Strumenti dedicati” alle sole questioni urbanistiche. Ma non è escluso, anzi è auspicabile, che si debbano, invece, allargare alle problematiche assolutamente generali, che riguardano l’intero sviluppo del territorio. Puntuale (città) e globalmente inteso (spazio vasto).
D’altra parte la stessa Urbanistica sta abbandonando i suoi ambiti strettamente tecnici, per aprirsi a tutte le altre problematiche globali della società, quando questa si appresta a ricomporre una giusta sintesi, fisica e concettuale, dello spazio inteso come essenza globale vivibile (sostenibile). Interagiscono in questo attività socio-economiche, culturali, declinate in termini spaziali complessi.
Una iniziativa del genere consente di superare i limiti dei tanti dibattiti dispersi, “uno per volta”, di iniziativa pubblica istituzionalizzata, senza accertata partecipazione e continuità. Coinvolgenti davvero quando capita, attraverso freddi forum e/o confronti colti, comprensibili soltanto ai soggetti istituzionalizzati, ovvero agli Organismi specificamente interessati, alle persone concettualmente più avanzate. Tranne i cittadini che rimangono quasi sempre sullo sfondo. Difficoltà di linguaggi e di concetti burocratizzati.
In genere il dibattito finisce lì, secondo procedure stabilite da norme asettiche, in attesa di altre eventuali occasioni altrettanto circoscritte e pseudo-aperte. Con tanti vuoti temporali in mezzo, che spezzano la continuità e la logica. Favorendo la dimenticanza.
Il dibattito vero sulla città e sul territorio, invece, non può essere parcellizzato e distanziato “a singhiozzo”. Sembra che dal cittadino si pretenda solo un placet banale.
I media fanno quello che possono da parte loro, dovendo anche loro “inseguire” gli episodi a intervalli spasmodici. Solo i media più attenti si impegnano a prolungare ed allargare il dibattito in modo più incisivo. Contestualizzandolo nei riguardi delle questioni di carattere più generale. (Grazie Geppe Inserra! È quello che fai attraverso il tuo blog).
Nonostante tutti gli sforzi possibili è inevitabile che i temi più importanti si perdano. Sembra quasi voluto. Tanto non mancano minestre insipide per chiacchiere a vuoto di povero contenuto. La TV spazzatura ne è l’esempio massimo. La spettacolarità frivola per il Dio Audience.
Oggigiorno le “parole infinite” sono il pane delle discussioni vomitate addosso in un continuo scontro non casuale, ma scenograficamente studiato. Spesso solo per offrire intrattenimento a basso costo.
E così aumenta sempre più il distacco tra la politica in particolare e la cittadinanza semplice in generale, che si aspetta, invece, non le parole, ma i fatti compiuti. Il fenomeno è sempre più pericoloso per la democrazia vera. Occorre cercare e ritrovare gli strumenti di nuovo incontro tra alto e basso. Accorciando le distanze.
Gli “Urban Centers” sono una risposta abbastanza semplice ed efficace rispetto a tutto questo. Ovviamente tutto questo inizia alla scala della città, che continua a rappresentare il luogo della massima aggregazione possibile, nei confronti di tutte le questioni sociali e culturali, soprattutto in questo momento di globalità in fribillazione. Le città si rappresentano come specie di condensatori e catalizzatori sempre più globali.
Con l’obiettivo contestuale di invertire la direzione del dibattito, dal basso verso l’alto dalle città ai territori sempre più vasti, dagli argomenti spaziali a quelli concettuali puri. Trasformandolo in un generale e concreto “parlare continuo”, senza la riduzione a episodi formali, come folate di vento.
Sempre che il braccio di ferro tra la sfera pubblica e la sfera collettiva privata, non si riduca, come al solito, alle logiche delle emergenze. Le priorità, i temi e i tempi del dibattito diventano oggi più credibili se indicative delle necessità vere dal basso. Discutendo anche negli “Urban Centers”.
Certo è un discorso oggi sempre più difficile, proprio perché interferisce sul modello della democrazia attuale in crisi, che si allontana su binari divergenti.
D’altra parte il dibattito pubblico/collettivo non può nemmeno essere considerato un’arma impropria di tipo anti-politica, se i due interlocutori tornano ad accettare gli antichi strumenti della mediazione sociale.
I partiti politici sembrano, invece, essersi trasformati nelle ombre di loro stessi. Le ideologie sono state accantonate, per tale motivo delegittimando la figura storica della organizzazione politica dal basso. I “movimenti” politici, che intendono sostituire i partiti, confermano l’agonia delle ideologie, identificandosi con il populismo estremo, che sta conquistando il mondo. Occorre ritrovare la chiusura del cerchio. Anche attraverso nuove cellule intermedie di dialogo a tutto campo. Magari ad iniziare dai dibattiti sulle città, come detto, massima espressione puntuale della questione globale diffusa.
Gli “Urban Centers” sono una delle risposte più efficaci del riscatto politico generale.
Rappresentano lo strumento che riporta il dibattito sulle esigenze particolare dei cittadini, ma al tempo stesso diventando casse di risonanza crescenti, fino definirsi organi complessi di un tessuto dilagante.
Strutture nuove che facilitando la riduzione progressiva del distacco tra politica e cittadinanza. Questa volta soprattutto per merito di quest’ultima.
In questa operazione hanno un ruolo importante gli intellettuali, a condizione che calino verso il basso le loro capacità di osservazione. Provenienti dai vari Ordini professionali, poi dalle Associazioni culturali e dai vari Organismi, che mantengono il diretto contatto con i cittadini ordinari. L’Università, quella che nel nostro territorio dobbiamo difendere a tutti i costi, e che diventa ancora più determinante nel rapporto che parte dal “complesso” e scende al “semplificato”. Contro i linguaggi “astrusi ad arte”, della politica e della burocrazia. Al tempo stesso introducendo concetti nuovi ed elevati, come solo l’Università può fare. Innovazione e Ricerca.
I primi impatti dell’auspicato “Urban Center” di Foggia sarebbero facili ed immediati da individuare. La seconda Stazione dell’Alta velocità, dell’Alta capacità. La stessa Stazione centrale automatizzata e comandata da lontano. Il recupero della Fiera di Foggia, che sta diventando un mercatino periodico. L’Aeroporto Gino Lisa, che nel massimo territorio vocato all’Aeronautica, sta, invece, diventando una pista corta per piccoli aerei privati. I nuovi Parchi urbani, da portare alla continuità assoluta, di veri e propri corridoi. L’Università di Foggia, messa a rischio un giorno sì e un giorno no. Il sistema dei Servizi urbani, secondo un omologo modello interscalare di Servizi multi-urbani. E così via per costruire un “progetto di territorio” organico di Capitanata globale.
Un “Urban Center” per Foggia. Chi prenderà la prima mossa? O sarà un ulteriore flop?
Eustacchiofranco Antonucci. 18-11-2016
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Franco Antonucci fa bene a rilanciare il tema di un luogo territoriale dove la elaborazione progettuale sia riconosciuto e regolato, soprattutto sia agibile per le competenze personali, sociali, professionali spesso e volentieri emarginate o volutamente ignorate, quando non asserviti a logiche di interessi ristretti. Urban o Future Center, come da anni propongo in più occasioni istituzionali e di confronto (almeno dal 2010 lo abbiamo fatto in iniziative pubbliche dell'Associazione Lavoro&Welfare), ciò che necessità è proprio un contenitore di idee, relazioni, buone pratiche di sviluppo territoriale e di Welfare state da realizzare nel concreto. Come spiegato da Franco. Ma direi anche che possiamo fare un passo per accelerare e rendere fattibile la proposta, facendoci promotori come forze sociali e cittadini del progetto e proponendo l'avvio del laboratorio richiedendo al Comune o alla Camera di Commercio un luogo per ospitare il Centro. Potremmo partire in piccolo e col tempo dimostrare la validità del percorso.