Sapori della memoria | Le olive dolci di Di Vittorio

Giuseppe Di Vittorio e Giuliano Pajetta

La prima volta che ho sentito parlare delle olive dolci fritte è stata ad un comizio, pensate un po’. E per giunta in termini non proprio lusinghieri. Le avrei assaggiate soltanto qualche anno dopo, grazie a mia suocera cerignolana, restandone conquistato.
Piatto tipico e contadino pugliese, le olive dolci  non sono conosciutissime, ed è un peccato perché credo non ci sia nulla di più mediterraneo, avendo come ingrediente base (anzi come ingrediente esclusivo, nella sua versione più spartana) soltanto le olive e il loro olio, ovvero il frutto dell’albero che accomuna i paesi del bacino del Mediterraneo. Olio di oliva e olive formano manco a dirlo un connubio perfetto, e restituiscono un sapore impareggiabile.
Proprio ad una tale comunanza di oliveti ed ulivi si riferisce la storia che ascoltai nel comizio, ambientata non in Italia, ma in Spagna. Era una campagna elettorale degli anni Settanta, e per il Pci parlava dal palco di piazza Cavour, Giuliano Pajetta, torinese e fratello minore del più noto Giancarlo, ma con una storia incredibile alle spalle. Tanto per dire, era sopravvissuto al campo di concentramento di Mathausen.
L’oratore sapeva bene che, a Foggia come a Cerignola, bastava un qualsiasi riferimento a Peppino Di Vittorio, per incendiare la piazza e dunque non si fece pregare nel citarlo diverse volte. Ma in più aggiunse una divertente testimonianza personale. Giuliano Pajetta e il grande sindacalista di Cerignola erano stati infatti amici fraterni, avendo combattuto fianco e fianco nella guerra civile spagnola. Avevano militato entrambi (come si vede nella foto che illustra il post, tratta dall’archivio de L’Unità) come volontari nelle Brigate Internazionali che lottavano contro il fascismo franchista.

“Una notte là in Spagna – raccontò – eravamo stanchi, affamati e riuscimmo a trovare riparo in un oliveto. Non avevamo nulla da mangiare, quando Peppino disse: – Adesso vi faccio assaggiare io una prelibatezza.  Da buon bracciante, in pochi minuti raccolse dagli alberi una bella quantità di olive, quindi le mise a friggere in una padella con un filo d’olio. – Sono le olive dolci che si fanno a Cerignola, aggiunse invitandoci ad assaggiarle. Lo feci. Ma erano amarissime, altro che olive dolci! Comunque ci sfamarono e ci misero di buon umore, in quella notte all’addiaccio”.
La prima volta che si assaggiano le olive fritte, si può restare in effetti sorpresi dal loro sapore, aspro, caldo, avvolgente. E un pizzico di retrogusto amaro resta sempre. La storia non dice se quelle olive fossero effettivamente amare (perché non della qualità che si presta a questo tipo di cottura o perché non sufficientemente mature) o se la sensazione dipendesse dal fatto che per Pajetta si trattava del primo assaggio.
Quanto a Giuseppe Di Vittorio, chissà quante volte aveva pasteggiato o cenato con le olive dolci, piatto fondamentale della tavole contadine pugliesi. Occorre porre attenzione alla varietà (deve trattarsi di quella nolca, nota anche come dolce tonda), e dev’essere matura al punto giusto: si riconosce il momento ideale per il raccolto e la preparazione quando il colore nero assume sfumature violacee.
Vanno cotte in padella con un filo d’olio caldo r girate di tanto in tanto. Sono pronte quando l’epicarpo, ovvero la parte più esterna, comincia ad incresparsi e a rompersi. È opportuno salarle per togliere quel retrogusto amarognolo che non era piaciuto al buon Pajetta. Si accompagnano a una buona fetta di pane a pagnotta, ovviamente pugliese.
Versioni più elaborate del piatto prevedono l’aggiunta di peperoncino, per gli amanti del piccante, o pomodorini freschi tagliati a spicchi, oppure pomodori secchi.
Geppe Inserra

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Author: Geppe Inserra

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