E se la campagna referendaria non fosse soltanto muro contro muro, ma aprisse spazi seri di confronto sul “dopo”? soprattutto se a vincere fossero i “no” e si rendesse così necessario (ri)mettere mano alla Costituzione? Questa idea di laboratorio si è percepita chiaramente a Palazzo Dogana nell’incontro, decisamente inedito, promosso da Scelgo No, il comitato del centrosinistra per il no che si richiama a Massimo D’Alema, che ha visto protagonisti Miguel Gotor, parlamentare del Pd, storico e saggista e Gaetano Quagliariello, già ministro per gli affari costituzionali, costituzionalista e parlamentare GAL – Area Popolare. Decisamente inedita la platea: da un lato il Pd dissidente, dall’altro pezzi del centrodestra. Sullo sfondo la possibilità di una riforma più condivisa. Una riforma che unisca, e non laceri il Paese.
Introducendo i lavori Ciro Mundi, coordinatore del Comitato “Scelgo No” ha sottolineato che la costituzione è di tutti e che, quando si deve modificarla, è necessaria ed auspicabile l’interlocuzione più ampia, coinvolgendo sensibilità diverse. “L’accusa di Renzi che saremmo noi il vero partito della nazione è un ribaltamento inammissibile. Renzi dovrebbe chiedersi perché il dissenso è così vasto. Il vero riformismo è la ricerca del maggior consenso possibile. In pochi mesi si può costruire una riforma seria, semplice, intelligibile e più condivisa. Questa riforma è invece inaccettabile sia per il contenuto che per la modalità. Se vince il si sarà molto difficile cambiare una riforma pasticciata. I toni apocalittici adottati dal segretario-premier non fanno bene al Paese”.
Il giornalista Roberto Parisi, dopo aver sottolineato la novità di due interlocutori che vengono da diverse sensibilità, ha posto alcune domande a Quagliarello e a Gotor che hanno motivato le ragioni per cui si sono schierati per il “no” al referendum del 4 dicembre.
Quagliarello ha sottolineato che “una riforma della Costituzione serve, ma la vicenda del 1948 deve insegnarci qualcosa. È la legge fondamentale dello Stato. Fissa le regole di convivenza civile tra persone che non la pensano allo stesso modo. Il metodo vale quanto il metodo. Non è una costituzione perfetta, ma fu varata con un metodo che si rivelò utilissimo. Erano tempi difficili, incombeva la guerra fredda, le forze politiche erano divise da contrasti profondi, eppure si trovò un compromesso che forni al paese un ancoraggio comune. Non sono i governi che fanno le costituzioni ma i parlamenti. La riforma che siamo chiamati a votare nel referendum è stata frutto di una elaborazione del governo che però non è riuscito a trovare una convergenza. Anzi, la volontà manifesta è stata quella di spaccare il Paese, senza neppure riuscire a scrivere decentemente la stessa riforma.”
Secondo Gotor , nella composita platea del “no” si va profilando uno schieramento che riconosce nella Costituzione il punto di incontro tra le proprie diversità. “La riforma costituzionale non può essere sorretta dalla sola maggioranza di Governo. È stato un grave errore perché ha spaccato il paese proprio in un momento in cui avrebbe bisogno di coesione.”
Raccontando la decisione di schierarsi per il “no”, l’esponente del Pd ha detto che “è stata travagliata: il punto che mi ha indotto a scegliere è stata la personalizzazione dello scontro da parte del premier che fa un uso plebiscitario del referendum.”
Gotor ha anche ricordato che nel 2014 la Corte costituzionale ha stabilito l’illegittimità del premio di maggioranza con cui è stato eletto il Parlamento in carica e questo avrebbe dovuto consigliare al Governo una maggiore prudenza. “La riforma costituzionale è stata approvata proprio grazie ai numeri garantiti dal premio di maggioranza dichiarato incostituzionale.”
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