Quando Foggia sarà una vera Comunità (di Maurizio De Tullio)

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Ricevo e pubblico molto volentieri questa lucina riflessione di Maurizio De Tullio, che sollecita un mio commento, che mi riservo di pubblicare domani: il contributo di Maurizio è lungo, e vale la pena leggerlo senza appesantimenti. Per il momento, mi limito a ringraziare Maurizio, osservando che – grazie ancheai suoi contributi – Lettere Meridiane sta diventando sempre  di più un blog civico, ovvero uno strumento di accompagnamento nel delicato percorso che porta una città a sentirsi comunità, o per dirla con Danilo Dolci, utopia che diventa buon luogo. Come la bella foto di Bruno Caravella che illustra il post, ad indicare la bellezza possibile, e spesso nascosta, di Foggia. (g.i.)
* * *
Cosa
distingue una città da un’altra, al di là, ovviamente, del suo aspetto estetico
o storico-architettonico? A mio avviso la differenza sta tutta, o quasi tutta,
nel suo essere (o non essere) Comunità viva, autorevole, presente e partecipe.
Una Comunità
è tale ed è credibile se di fronte a un problema – di piccola entità ma tanto
più se di grossa portata e incidenza – dimostra di saper interpretare il senso
di quel problema, lanciando segnali autentici, muovendosi in prima persona e
non attraverso l’esercizio della delega digitale che oggi sempre più avviene
battendo un tasto del computer o dello smartphone.
Una Comunità
è tale quando ogni singolo sa contestualizzarsi nel plurale, e sa farlo credendo
nel valore del gesto pubblico, partecipato e civile.
Una Comunità
cresce e si rafforza se sa essere rete, intreccio di saperi e di condivisioni,
se sa confrontarsi senza sconfinare nell’oltraggio, nell’urlo becero e
nell’autoreferenzialità di chi da singolo pretende di assurgere immediatamente
a un protagonismo fine a se stesso.
Una Comunità
è fatta soprattutto di sguardi attenti e gesti delicati, che, a volte, possono
anche risultare dirompenti come la furia di un improvviso acquazzone ma che
sanno situarsi nelle pieghe di una Storia comune e covare buone pratiche.
La città,
infatti, cos’è se non una Storia comune? E una Comunità è il risultato di quel
processo che chiamiamo crescita civile,
e che diventa tale senza necessariamente passare sotto il vaglio di
considerazioni di natura politica, economica e sociale. Rispetto ad una idea di
Comunità siamo quel che siamo al di là del conto in banca, dell’abito che
indossiamo, da come ci esprimiamo. Piuttosto può aiutare una lettura audace
l’interpretazione antropologica dei segnali, dei modi e dei sentimenti che,
tendenzialmente, fanno Comunità.

Oggi abbiamo
perso di vista il significato profondo di questa parola. La Treccani ricorda
che Comunità è l’insieme di persone che
hanno comunione di vita sociale
.
Una città,
poniamo la nostra Foggia ma vale per tante altre, non può definirsi una
Comunità se la consideriamo solo nel suo indistinto e grigio “insieme di persone” ma diventa tale se i
suoi cittadini hanno anche una “comunione
di vita sociale”
. Può sembrare poco e semplice ma sta tutta qui l’essenza
del concetto di Comunità. Se manca, abbiamo l’assenza dell’essenza, per usare un gioco di parole che ho
introdotto qualche tempo fa su “Lettere
Meridiane”
.
Per poter
essere più chiaro e, soprattutto, volendo formulare un minimo di proposte
pratiche, vorrei entrare nello specifico del contesto. Naturalmente parlerò
avendo di fronte la realtà della nostra città e dei suoi abitanti.
Foggia, per
esempio, in quest’ultimo anno ha perso una grossa occasione per dimostrare di
comportarsi in modo maturo. La prova? Il famoso “attentato” nei confronti della
sua Biblioteca Provinciale, la seconda più importante del Mezzogiorno d’Italia
dopo la “Nazionale” di Napoli e con oltre 180 anni di storia. Eppure questo
grosso problema ha rappresentato un buon motivo per far vedere realmente di che
pasta era fatto il vero Cittadino di una vera Comunità.
I foggiani
hanno fatto, invece, quel che è quasi sempre accaduto in passato: hanno agitato
il problema ma non nelle sedi dove andava agitato e dove si doveva agire (Roma
e Bari) ma si sono limitati a parlarsi addosso, in un crescendo di autoreferenzialità digitale che, non
dimentichiamolo, si è comunque attivato solo dopo il mio famoso sberleffo
provocatorio, pubblicato sabato 12 dicembre su “Lettere Meridiane” e intitolato da Geppe Inserra Orgoglio foggiano? Macchè!”.
Il giorno
dopo, infatti, partì la gara all’ultimo “Mi
Piace
” e all’ennesima “Condivisione
con una apposita pagina di FB,
attivata dal signor Tulino (che non conosco) ma che aveva il pregio di
raccogliere idee e formulare proposte. In tutta onestà, però, tra i post lasciati dai circa 10.000 iscritti
a quella pagina credo di averne riscontrati non più di tre o quattro dal
carattere propositivo.
Questo
“correre ai ripari”, abbagliati sulla via digitale di Damasco, alla fine male
non fa se si gioca su più fronti e con più strumenti: ma così non è stato. E la
riprova l’ho avuta una settimana dopo.
Al 21
dicembre, infatti, si era giunti dopo quella indigestione mediatica di messaggi,
foto, video, scazzi politici che al “poco qualitativo” avevano aggiunto solo un
“tanto quantitativo”.
Nell’auditorium
della “Magna Capitana”, quelli che a mio avviso sono i veri Assessori Comunali
e Provinciali alla Cultura della città capoluogo e della Provincia di Foggia, cioè
Francesco Andretta e Saverio Russo, avevano alzato per l’ennesima volta la
disperata voce per levare il lucido grido di protesta contro quanti ritenevano
di far correre il rischio di chiudere o, nella migliore delle ipotesi, depotenziare
una biblioteca come “La Magna Capitana”. I due furono accompagnati
dall’intervento del direttore Mercurio e da altri soggetti, politici e non, che
a vario titolo ritennero di dire la loro, con toni più o meno forti.
Ma quel
giorno – se si escludono il nutrito e interessato personale della Biblioteca,
la cinquantina di aderenti all’Associazione “Amici della Magna Capitana”, i
tanti esponenti politici che non potevano far vedere di essere assenti e
parecchi giornalisti e video-operatori – in Biblioteca c’erano in totale non
più di 300 persone, nonostante su FB
si fossero sbracciati in 10.000, nonostante Foggia conti 154.000 abitanti e
l’intera provincia sia popolata da oltre 650.000 persone…
Quando ci si
comporta così, cioè da un lato sbagliando a convogliare le proprie energie e
dall’altro delegando il proprio impegno in un effimero passaggio su FB, si finisce per essere tutto tranne che
una vera Comunità.
L’ennesimo
“armiamoci e partite” è stato il chiaro ‘bis!’ di uno spettacolo indecoroso
foraggiato dalla vacuità sistematica dei mitici Social.
Ma passo ad
altro, entrando nello specifico della mia modesta critica propositiva.
Oggi
assistiamo ad una insistente dicotomia tra l’autorità politico-amministrativa
(cioè la cosiddetta ‘sfera decisionale’) che governa quella che una volta si
chiamava “cosa pubblica” e la città degli amministrati, che quasi sempre non ha
voce in capitolo, nonostante leggi, norme e strumenti di comunicazione di massa
lo consentano.
Quando le due
sfere riescono a dialogare, è quasi sempre per il soddisfacimento di motivi
contingenti e pratici, al prezzo di un tacito consenso (a volte nemmeno
richiesto dalla parte politica!). Ciò determina l’inquinamento di un rapporto
paritario e, quando non soddisfatte certe richieste, può produrre effetti
nefasti, come il darsi battaglia in nome di un malinteso senso della politica
o, peggio, portare a denunciare parte della classe politica ormai in campo e al
governo per mancato rispetto delle regole e dei patti.
Occorre
ribaltare, anzi rifiutare questa prassi e considerare la città un vero “bene
collettivo”. Propongo un primo tema volutamente trasversale, perché
coinvolgente gli interessi di tutti i cittadini: le strade e i marciapiedi, che
sono un patrimonio collettivo, quindi di tutti. È compito del governo cittadino
occuparsene seriamente. Ma se ciò non avviene (e non avviene, al di là degli
interventi di facciata), è normale che una città come Foggia si ritrovi le
peggiori strade e i peggiori marciapiedi d’Italia?
Capita, di
tanto in tanto, che su qualche sito web locale vengano pubblicate foto di freelance o di cittadini che denunciano
lo stato di degrado delle nostre arterie cittadine. La speranza è che al Comune
qualcuno (già: ma chi?!) si trovi a cliccare quel sito e a dare un’occhiata a
quelle foto. Ed anche se ciò avvenisse, è credibile attendersi che… da cosa
nasca cosa? Direi proprio di no.
Ma è qui che
la Città può cominciare a sperimentare piccole forme di partecipazione attiva,
facendosi piano piano, quasi senza saperlo, una vera Comunità.
Restiamo in
questo esempio. I tanto declamati Social
possono tornare utili una volta tanto. Si avvii una tematica comune, quale
appunto la degenerazione dello stato delle nostre strade e dei nostri
marciapiedi. Chiamiamola simbolicamente “Strada maestra”, perché dà l’idea di
un argomentare a sfondo didattico. È la maestra (o il maestro, non ne faccio
una questione di distinzione sessuale!) a svelare mondi nuovi ai bambini, a
usare strumenti che aiutano a crescere, a insegnare le differenze con le parole
e l’ingegno, i suoni, i colori, gli odori.
Dobbiamo
istruirci a ingegnare: forme semplici di “essenza della presenza”, presidiare
pezzi di città dividendoci spazi e compiti.
Cominciamo a
fare della zona di piazzale Italia (gli ex “Giardinetti”) un’area di nuova
vivibilità, vista anche la sua totale assenza di anima, di vita, di battito.
Scattiamo centinaia di foto in città e facciamone una prima mostra on line, denunciando il folle degrado in
cui quell’area centralissima di Foggia è arrivata, con tutte le strade – da
corso Roma a piazza Goppingen, da via Ammiraglio da Zara ai marciapiedi
adiacenti – rese impraticabili ad un uso normale di auto, velocipedi e pedoni.
E invitiamo tutti a fare altrettanto: a segnalare con scatti fotografici (io ne
ho centinaia!!) il degrado nelle loro strade e marciapiedi di pertinenza (sotto
casa, andando a scuola, al lavoro, facendo jogging o passeggiando in bici,
ecc.). Portiamo questa grande mostra digitale all’Isola pedonale, a Parco San
Felice e poi davanti al Comune in corso Garibaldi e raccogliamo firme con le
quali non chiediamo solo un ripristino reale di tutto il manto stradale (e non
solo i famigerati rappezzi) ma la richiesta simbolica di danni ai dirigenti che
si sono occupati di quei lavori, delle ditte che li hanno eseguiti,
dell’Assessore al ramo che non se ne è occupato e del Sindaco cui spetta la
responsabilità di gestire al meglio una città e i servizi dei suoi sottoposti.
Fare questo è un segnale di ‘vigilanza attiva’ e di ‘minaccia’ per prossime
denunce, che scatterebbero sul serio e non più in forma simbolica.
Ma questa è
la dimensione corale della partecipazione attiva funzionale al miglioramento
della propria città. Prima deve scattare la dimensione personale, quella
vissuta al singolare, dove ognuno deve comprendere la situazione di fatto,
elaborare il proprio livello di conoscenza e partecipazione e muoversi di
conseguenza. Quest’ultimo tassello è forse il più ostico perché il meno (o
poco) praticato in una città come Foggia.
Muoversi
significa osare, alzare la voce (in senso metaforico e, se serve, anche in
senso reale), e prendere dimestichezza che “una parte” della “grande parte” lo
riguarda direttamente. Significa esprimere un gesto qualificante come ad esempio cominciare a scattare delle foto
e mentre le si scatta parlare volutamente ad alta voce quando passa qualcuno
nelle vicinanze. Fare in modo che queste altre persone ascoltino la nostra
protesta e, con tatto e intelligenza, invitare anche costoro a fare altrettanto
o a dare un contributo di altro tipo ma che vada nella giusta direzione, come
partecipare alla “chiamata alle armi” sotto lo slogan (che ho coniato solo a
titolo esemplificativo) “Strada maestra” attraverso il passaparola personale e mediatico,
rendersi effettivamente disponibili a preparare dei volantini e distribuirli, o
a stampare a colori le foto che faranno parte della mostra itinerante di cui si
è detto in precedenza, a sollecitare giornali, siti web e TV locali ad
occuparsene.
Ognuno,
possibilmente, deve prendersi un pezzo di quartiere, di area, di condominio e
farlo diventare un “problema”: analizzarne le criticità, le necessità,
immaginare tempi, interventi ed eventuali costi realistici.
Occorre
convincersi, poi, che uno dei mali profondi che intralciano il nostro vivere bene è la burocrazia, con i suoi
mille rivoli anacronistici, l’ottusità dei funzionari, il ricorso da parte dei
cittadini a pratiche illegali per superare intoppi e tempi lunghi.
La burocrazia
non è un “mostro senza testa”, per parafrasare Claudio Lolli: è invece un male
curabile, creato dagli uomini per gli uomini. Bisogna affrontarlo nei suoi lati
deboli, per esempio con la conoscenza di leggi, regolamenti e buone pratiche
che lo mettano K.O.
C’è un
vecchio e mai pensionato messaggio, partito dall’America e reinterpretato in
chiave pedagogica dal grande don Lorenzo Milani, che chiama ognuno di noi
all’opera: “I Care”, cioè ”Me ne faccio carico”, che è l’esatto
contrario del fascista “Me ne frego”.
È un modo semplice ma chiaro e diretto per dire agli altri, per dire alla Città
di cui siamo tutti – nessuno escluso – una piccola ma importante parte: “Io ci
sono e sono con voi: contate su di me”.
Credo di non
aver scoperto (quasi) niente di nuovo ma non ho dubbi sul fatto che questi sono
i primi passi per partecipare alla costruzione di una Comunità vera.

E se Foggia
potrà essere considerata una città bella o brutta lo verificheremo a cose
fatte, cioè quando dimostrerà di essere diventata una vera Comunità.
Maurizio De Tullio

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Author: Maurizio De Tullio

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