Mi scrive il prof. Marco Barbieri (insegna Diritto del Lavoro all’Università di Foggia) a proposito della lettera meridiana Le tre Italie di Matteo Renzi, in cui avevo criticato la riforma costituzionale monca, che abolisce il Senato elettivo, le Province e il Cnel, ma lascia in piedi la mostruosa, lapalissiana, aberrante e anacronistica ingiustizia, costituita dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome.
“Mi sarà permesso osservare – scrive il docente – che la nuova Costituzione di Renzi non si limita a conservare i privilegi delle Regioni a Statuto speciale, ma li eternizza. Infatti, mentre con la Costituzione attuale una legge costituzionale può rivedere gli statuti delle Regioni a Statuto speciale, con la Renzi-Boschi (art. 39, co. 13) le nuove norme costituzionali non si applicherebbero alle Regioni a statuto speciale se non con il loro consenso: che mi pare difficile aspettarsi.”
In buona sostanza, mentre con la Costituzione attuale è il Parlamento italiano che può decidere, in autonomia e unilateralmente, modifiche e correzioni all’ordinamento delle regioni a statuto speciale e alle province autonome, se la riforma dovesse essere approvata, la sola volontà del Parlamento non basterebbe più. Il comma citato dal prof. Barbieri prevede infatti che “le disposizioni della presente legge costituzionale non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome.”
Par di capire che le “intese” previste dalla riforma siano necessarie per la revisione degli statuti di queste regioni privilegiate. Se tra Stato e Regioni non verranno trovate le auspicate intese (come sembra probabile, visto che in questo benedetto Belpaese non si è mai visto nessuno che abbia rinunciato sua sponte ai propri privilegi), la situazione resterà tal quale è, allo stato attuale.
Bell’esempio di riformismo, non vi pare?
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