Antonucci: Il disinteresse collettivo che avvelena Foggia e la Capitanata

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Franco Eustacchio Antonucci mi ha inviato questa appassionata e lucida riflessione, che fa il paio con quella scritta qualche giorno fa da Maurizio De Tullio. Dilaziono così la mia risposta a Maurizio, promettedovi una riflessione su entrambi i contributi. Se De Tullio aveva posto l’accento sulla mancanza della dimensione comunitaria, cittadina e provinciale, Antonucci punta il dito contro il cronico disinteresse collettivo. Che è poi l’altra faccia della medaglia dell’assenza del senso di comunità. Buona lettura. (g.i.)

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Caro Geppe,
Ultimamente ho una strana sensazione. Come se si fosse bloccato il mio cervello in merito a Capitanata e dintorni. Non riesco a trovare più parole adatte per il nostro, pur amato, territorio. Tutto sembra venire dai tanti insuccessi e detrazioni che la sfortunata Capitanata sta subendo da lungo tempo e negli ultimi tempi in particolare. Per sua colpa e per prepotenze esterne.
Non riesco più a farmene una ragione.
Ultimamente, grazie alla tua gentilezza, ho sperato di poter riprendere e ripetere sul tuo Blog, così seguito alla scala territoriale, alcune mie osservazioni da me ritenute cruciali. Nella speranza di poter ritornare ad incidere, forse, sul principale motivo di negatività territoriale. Mi riferisco al nostro carattere rinunciatario in partenza, ma anche a quello postumo, che accetta, senza reagire, gli sberleffi esterni.

Considerazioni che ho cercato di divulgare da qualche decennio a questa parte, attraverso alcune mie lontane esperienze, sia come Funzionario dell’Ufficio tecnico del Comune di Foggia, e sia, successivamente, come Direttore del Consorzio industriale di Foggia, con il costante risultato di sbattere la testa contro i muri di un territorio che da troppo tempo ormai sembra si sia chiuso in se stesso. Murato non solo contro le invasioni dall’esterno, ma anche contro le iniziative che vengono dall’interno. Con deliberato obiettivo di evitare, quasi, che si instaurino effetti collettivi che si allargano troppo. È il famoso “Chi ce lo fa fare?”.
Alle cose dette ho sempre avuto discreti riscontri vicini, ma mai quelli lontani, cioè quelli importanti e determinanti della politica che decide. Almeno solo per aprire dibattiti.
Come dire che nel territorio di Capitanata va tutto bene se lasciamo le cose come stanno. Preferiamo la stagnazione che ci caratterizza da troppo tempo ormai. Meno fastidi!
La Capitanata si presenta ultimamente, nello scenario generale regionale e nazionale, come un territorio fermo agli ultimi posti delle varie graduatorie generali, riguardanti i livelli di sviluppo globale e qualità urbane confrontate.
E nessuno se la prende più di tanto. Non mi risulta che siano state fatte analisi dettagliate sui parametri componenti di tali disastrose classifiche, con l’obiettivo eventuale di incidere con ipotetiche correzioni di rotta.
Si potrebbe, di conseguenza, paventare una vita grama per ciascuno di noi, ed invece riscontriamo un benessere individuale non inferiore ad altre realtà territoriali. Questo fenomeno strano è, a mio avviso, spiegabile con la formazione di tante micro-nicchie di benessere, entro le quali ciascuno si chiude ermeticamente, ignorando tutto quello che è all’esterno, ed evitando, per quanto possibile, di venire a contatto con situazioni più grandi, generalmente complicate. Dribblando attentamente, così, le nicchie più grandi e dinamicamente dilaganti, con il temuto rischio di contaminazioni critiche crescenti.
Questo spiegherebbe il perché di tanto disinteresse collettivo. Da tale punto di vista appare pleonastico il grido di qualcuno di stare insieme, di fare gruppo, di fare rete.
Naturalmente i territori limitrofi – soprattutto da parte dei confratelli regionali -, approfittano di questa situazione di debolezza strutturale della compagine socio-economica interna di Capitanata, e, in particolare, della sua mitigata “cultura dello sviluppo”. Detraendoci quello che possediamo addirittura per indiscutibile vocazione naturale. Si tratta di territori più dinamici, che, per fortuna loro, hanno rinunciato alle micro nicchie e guardano soprattutto alle macro nicchie, come grande sviluppo a cascata, e moltiplicazione degli effetti diffusi, dall’alto verso il basso, dal basso verso l’alto.
Che fare di fronte a questa situazione riduttiva?
Come sempre cerco di usare il metodo della ripetizione “ciclica” di certi temi per me strategici, ma vedo che probabilmente non faccio altro che instaurare ed aumentare il fastidio collettivo, allontanando ancor più le eventuali soluzioni.
Forse il sistema migliore è, invece, quello da te scelto, cioè quello di divulgare in tutti i modi possibili la “cultura di territorio” generale, con la speranza che aumenti, così, il grado di estesa “sensibilità collettiva”. Che poi diventerà sempre più facilmente specializzata e specifica.
Scusami dello sfogo spontaneo, ringraziandoti della tua cortesia.
Eustacchiofranco Antonucci

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Author: Franco Eustacchio Antonucci

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