Un barbiere di Biccari idolo dei giornalisti di Filadelfia

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Il mare magnum dell’emigrazione è ricco di storie esemplari. Non solo di persone che sono partite per sfuggire alla miseria e alla disoccupazione che li opprimeva nella terra natia. Ci sono anche tanti esempi di emigrati che hanno scelto di andare via per spirito di avventura. Come Michele Checchia, da Biccari, paese dei Monti Dauni che ha dato i natali a tanti emigrati illustri, come Donato Menichella, che divenne governatore della Banca d’Italia, o Ralph De Palma, che partito bambino per l’America, nel nuovo continente divenne campione di automobilismo, tanto da essere definito l’uomo più veloce del mondo e stabilire record che durano ancora oggi.
Un’altra bella storia, poco nota, è quella di Michele Checchia, di cui ho trovato le tracce nei pochi numeri de La tribuna di Foggia sopravvissuti all’oblio.
Ne parla un redattore che si firma soltanto con le iniziali, G.C., proprio nel primo numero del giornale, in edicola il 20 settembre del 1954. Checchia apparteneva ad una famiglia borghese di Biccari. Come a dire che non aveva bisogno di varcare l’oceano per trovare un posto di lavoro. Eppure tentò l’avventura, e la sorte gli fu benigna.
L’uomo imparò l’arte del barbiere, aprendo una bottega particolarmente frequentata da giornalisti e uomini politici. La Tribuna di Foggia intervista Michele Checchia in occasione di un suo breve ritorno in Italia. Ecco il bell’articolo, che uscì col titolo Un barbiere di Biccari idolo dei giornalisti a Filadelfia.

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È tornato in questi giorni in Italia, sbarcando a Ciampino con un aereo, il signor Michele Checchia che a Filadelfia tutti conoscono sotto il nome di «barbiere dei giornalisti».
Il Checchia, la cui interessante vita vi racconteremo in breve più sotto, è un Foggiano purosanque ed oggi, dopo tanti anni di permanenza in America, se si vuole esprimere in italiano deve parlare il suo dialetto nativo; altrimenti non trova la parola e si ingarbuglia. Nato a Biccari, in provincia di Foggia, il Checchia non volle seguire la normale carriera dei figli di famiglia borghese: tentò l’avventura e nel 1904 partì per l’America del nord. Che cosa voleva fare in America? Nemmeno lui lo sapeva; ma lo spirito giovanile ed il desiderio di avventura lo spinsero al passo definitivo e lasciò in Italia un fratello che ora, a Roma, è ufficiale d’aeronautica al Ministero dell’ Arma azzurra (nella foto che illustra il post, i due fratelli si abbracciano a Ciampino, n.d.r.).

Giunto in America nel 1904 il Checchia si piazzò a Filadelfia; nella città c’era una buona colonia di pugliesi e si poteva tentare la fortuna pur restando in mezzo agli amici. Aprì una bottega di parrucchiere e, quasi senza saperlo, si accorse di avere affittato il suo salone in un palazzo molto importante: il palazzo in cui avevamo sede tutte le redazioni dei giornali del posto.
Fu così che ebbe inizio la carriera del «barbiere dei giornalisti». Lavorò per quindici anni nella sua primitiva sede di Filadelfia e quando i giornali decisero di cambiar posto e di trasferirsi proprio al centro della città, come poteva non trasferirsi anche lui? Prese armi e bagagli ed aprì un nuovo negozio proprio nella piazza centrale della città dove sorge il monumento che fa rintoccare la campana della indipendenza.
Tornò una prima volta in Italia nel 1924 e vi si trattenne per due mesi. Dopo trenta anni, in questo settembre, è tornato per la seconda volta per conoscere i nipoti: si tratterrà pochi giorni e verso la fine del mese sarà di nuovo a Filadelfia. Lì — dice il signor Checchia — lo aspettano i suoi lavoranti barbieri — tutti italiani.
È ben logico che un uomo come il Checchia abbia innumerevoli episodi da raccontare. E gliene chiediamo qualcuno.
Forse quello che gli è rimasto più impresso è l’episodio della prima trasvolata atlantica compiuta da Lindberg, il «pazzo volante». Ecco la storia nelle parole del «barbiere dei giornalisti». «Quel giorno aspettavamo tutti la notizia dell’arrivo a Parigi. E tutti eravamo emozionatissimi. Fu un giorno in cui veramente non feci onore alla mia arte di barbiere chè quanti venivano da me erano nervosi ed io più nervoso di loro. Aspettavano la notizia da un momento all’altro e volevano essere pronti per arrivare in tempo in redazione. Come si fa a far la barba in queste condizioni? Le bistecche sulle gote furono numerosissime che nessuno poteva star fermo e la mia mano era ancor meno ferma dei visi dei clienti».
Il signor Checchia poi conclude: «Quando la notizia del felice arrivo giunse in redazione fu subito un accorrer di gente alla mia bottega; erano i giornalisti che. per l’occasione, desideravano una doppia razione di profumo in testa.
Dalla vetrina del suo negozio nella Piazza della Indipendenza, il Checchia poté assistere anche ad altri episodi «storici» del nostro tempo. Un giorno — è sempre il nostro che racconta — tutta l’America fu in festa per l’arrivo della croce di Balbo. II comandante della squadriglia andò nella piazza della Indipendenza a rendere la visita di prammatica alla celebre campana. Naturalmente il Checchia si fece aranti; allora Balbo avendo saputo che era un italiano, dopo aver accarezzato la campana andò ben volentieri nel «salone» a farsi la barba.
Ed un terzo ricordo: anche l’attuale Pontefice quando era Nunzio apostolico in America si recò nella piazza della Indipendenza a Filadelfia ed il Checchia non perse certo tempo per farsi avanti e presentarsi.
Tutti i più noti giornalisti d’America — che in parte risiedono a Filadelfia — sono clienti del nostro: ed il servizio. a quanto sembra è addirittura squisito. In America dicono: un servizio veramente all’italiana.
G.C.

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Author: Geppe Inserra

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