State preparando per il 2 novembre il grano dei morti e pensate che sia solo un dolce? Vi sbagliate. È un monumento. Quando lo servirete in tavola, fate attenzione, perché mangerete un pezzo di mito.
Non c’è piatto come u cicc cutt che maggiormente affondi le sue origini nell’antichità e nei simboli della cultura pagana e cristiana.
Il grano cotto è tutt’altro che una tradizione solo foggiana o solo pugliese. Il web ha aperto la strada alla globalizzazione della conoscenza, riscrivendo i confini delle tradizioni e perfino dei miti. Quel che si pensava una volta appartenesse ad un certo posto si scopre che ha radici più vaste, interregionali, e perfino sovranazionali. E per venirne a capo non occorrono più complesse e approfondite ricerche sui libri. Basta google.
E proprio dal grano cotto che si prepara a Foggia in occasione della festa dei defunti giunge una spettacolare conferma. Con la denominazione di colva, o coliva, o colliba, il dolce è presente praticamente in tutto il resto della Puglia e del Mezzogiorno, con particolare riferimento a Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. A ben vedere, la mappa del grano dei morti traccia i confini di quella che era una volta la Magna Grecia, e proprio di origine ellenica sembra essere questo dolce, antico e archetipico.
Gli ingredienti – il grano, la melagrana – e il contesto – il ponte con l’aldilà – evocano brandelli di memorie liceali. Ricordate il mito di Persefone (o Proserpina, nella versione latina), la bella figlia della dea delle messi e della fertilità, Demetra (Cerere), rapita da Plutone, dio degli Inferi, per mitigare la sua solitudine?
La storia racconta che per vendicarsi del ratto della sua diletta figlia, Demetra provoca siccità e carestia, riducendo alla fame gli incolpevoli mortali. Mosso a pietà, Giove ordina allora a Plutone di liberare Persefone, ma prima di obbedire, il dio delle tenebre offre alla sua amata. che li accetta, alcuni chicchi di melagrana. La ragazza non sa che il frutto rosso ha il potere di legare per sempre agli inferi chi lo mangia: la bella Persefone può quindi tornare sulla terra, ma soltanto per sei mesi l’anno. E così, il mito spiega il perché delle stagioni, e dell’alternanza di caldo e freddo.
In altre versioni del racconto, la kollyva (che è poi il nome greco del dolce) era invece il piatto offerto da Trittolemo, re di Eleusi, a Plutone per convincerlo a liberare Persefone e così porre fine alla carestia. La leggenda aggiunge che il dolce era stato preparato con le ultime riserve di cibo.
Il dolce viene tuttora consumato in Grecia, ma in onore dei defunti, nella commemorazione dei cari estinti che la religione ortodossa celebra due volte l’anno, di sabato: quello che precede la domenica del Carnevale e quello prima della domenica di Pentecoste. Si prepara e si offre anche in occasione dei funerali o messe in suffragio.
La simbologia cristiana si sostituisce dunque a quella pagana: il grano è per eccellenza simbolo di morte e di rinascita. Nel vangelo di Giovanni si legge: “Se il seme di frumento non finisce sottoterra e non muore, non porta frutto. Se muore, invece, porta molto frutto.” Secondo gli esperti, il vino simboleggia il sangue, così come il melograno la fertilità.
È un dolce povero, che viene preparato utilizzando ingredienti tipici della civiltà contadina: il grano (che va tenuto in ammollo almeno da 24 ore prima) che una volta cotto (i tempi variano in relazione alla qualità del frumento utilizzato, per il grano tenero basta anche una decina di minuti, ma è il caso di assaggiare, per non sbagliarsi) viene condito con vino cotto e con altri ingredienti che variano, anche sensibilmente, in relazione alle usanze locali.
I chicchi di melagrana compaiono in tutte le versioni, così come le noci, che vanno sminuzzate. Per aromatizzare c’è chi usa la cannella, ma ho trovato versioni più antiche che si limitavano semplicemente allo zucchero. A Foggia è particolarmente diffuso anche l’uso del cedro candito, anche questo da triturare.
Il cioccolato (fondente, da tagliare a pezzettini) è probabilmente un’aggiunta recente. Le versioni più arcaiche prevedevano fichi secchi, anche questi elementi poveri, ed anche questi sminuzzati.
Nel resto della Puglia è diffusa l’usanza di condire la colpa con chicchi d’uva nera tagliati a metà, e di aggiungere alle noci le mandorle, naturalmente tritate.
La kòllyva greca prevede sapori ancora più spartani, che virano verso l’agrodolce. Non c’è il vino cotto, e il grano viene condito, oltre che con i canonici chicchi di melagrana, e noci e mandorle tritate, con uvetta, prezzemolo tritato, pangrattato, e zucchero. L’effetto cromatico è particolare, per il candore dello zucchero a velo, interrotto dal rosso dei chicchi di melograno e il verde del prezzemolo. Oltre che il Grecia il dolce viene consumato anche nei paesi balcanici dov’è diffusa la religione greco-ortodossa.
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Quella del grano cotto è un’usanza della tradizione garganica. A Rignano l’uso non è necessariamente legato ai Morti, ma compare anche in altri mesi dell’anno, per esempio nel periodo pasquale. Non si tratta di un dolce vero e proprio, bensì soltanto di grano cotto. (Rane cutte). Alimento che da bambino a me non piaceva affatto. L’analisi fatta dall’autore dell’articolo è assai interessante, per i suoi legami storici , di tradizione, religiosi e mitologici in generale.
Al mio paese “Faeto” (FG) si chiamano cicciuttl ed è composto da Granturco lessato più granocotto con aggiunta di miele. SI serviva, essendo montagna e in sostituzione della minestra, caldo e brodoso.
non conosco l’origine della ricetta ma suppongo sia Occitana.