Stasera, alle 18, l’Assessorato alla cultura del capoluogo dauno, gli Amici del Museo e il Museo Civico di Foggia rendono omaggio alla memoria di un foggiano d’adozione che tantissimo ha fatto per la cultura e per lo sviluppo di Foggia: Maurizio Mazza, giornalista originario di Napoli e direttore del Museo Civico di Foggia, personaggio di straordinaria statura intellettuale e morale.
Verrà presentato il libro di suo figlio Massimo, Maurizio Mazza tra cultura e giornalismo al servizio della città, e mai titolo fu tanto azzeccato nel dare conto della funzione che Maurizio ha rivestito, raccontando i tempi belli (e contribuendo a farli tali…) di una città che Mazza riteneva degna dovesse tornare ai fasti del passato, quando era Arpi o la regalis sedes inclita imperialis dello Svevo.
A presentare il libro di Massimo sarà un’altra persona importante per la cultura cittadina, che tanto ha ricevuto dal rapporto con Maurizio: Gloria Fazia.
Maurizio Mazza era legato a mio padre Carlo da profondi vincoli d’amicizia e mi accolse di buon grado quando andai a bussare alla porta del suo ufficio di via Arpi chiedendogli se poteva darmi una mano a diventare giornalista.
Fu così che iniziò la mia esperienza nel mondo della carta stampata. Mazza è stato per me un maestro, ma anche un punto di riferimento. Ho raccontato del nostro rapporto e della nostra amicizia in un contributo che Massimo mi ha chiesto (lusingandomi non poco) e che compare nel libro assieme a quello di altri amici e giornalisti come Davide Leccese e Micky De Finis.
Mi piace condividerlo con gli amici e i lettori di Lettere Meridiane. Eccolo di seguito, e oggi non mancate.
Maurizio Mazza è stato per me un maestro di giornalismo e di vita. Mi accolse al Mattino che venivo dalla redazione di un piccolo settimanale parrocchiale ciclostilato, Gioventù Viva, edito dall’Azione cattolica di San Ciro. Tra i parrocchiani e i lettori di quel giornalino, voluto dall’indimenticabile don Pompeo Scopece, erano in molti a pensare che avrei dovuto fare il giornalista a tempo pieno.
Così bussai alle porte dell’ufficio di corrispondenza foggiano dell’Avvenire, ma il responsabile, don Matteo Francavilla, mi fece capire che era impossibile. Confesso che ne restai deluso, e stavo quasi per mettere da parte l’ambizione di “diventare giornalista” quando conobbi Maurizio che mi accolse subito, e con entusiasmo, nella redazione foggiana de Il Mattino e in quella del Gazzettino Dauno. Il quotidiano napoletano non disponeva di una sede vera e propria (il Gazzettino sì, in via Tugini), ma non era un problema: preferivo mantenere i contatti con Maurizio andandolo a trovare nel suo posto di lavoro.
Mazza era il direttore del Museo Civico: imparare l’arte del giornalismo e imparare ad amare il passato, la cultura, fu così tutt’uno.
Per me, poco più che adolescente, diventò una esperienza magica andare al Museo per concordare l’articolo che avrei scritto, e poi tornare a consegnarlo.
A ripensarci oggi, mi accorgo (e con tanta nostalgia) che a far sembrare tutto magico non era soltanto il contesto, ma il contagioso entusiasmo di Maurizio.
La cosa più importante che ho imparato da lui è che il giornalismo è un’alchimia, che parte dai fatti, ma che si realizza soprattutto attraverso la narrazione.
In un certo senso, eravamo fortunati a lavorare nella redazione pugliese di un giornale napoletano, nel senso che non dovevamo preoccuparci di stare sui fatti a tutti i costi. “Chi vuol leggere la cronaca, compra La Gazzetta del Mezzogiorno” soleva dire Maurizio. “Noi dobbiamo fare altro, e cercare di farlo meglio, raccontare storie che altrimenti finirebbero nel dimenticatoio, che possono emozionare il lettore.”
Il primo articolo che scrissi per Il Mattino fu la cronaca di una iniziativa di solidarietà. L’Azione cattolica di Foggia aveva tenuto l’autunno prima, su iniziativa di don Tonino Intiso, un campo scuola in quel di Savignano Irpino. Ed era nata così un’affettuosa e intensa amicizia tra un gruppo di bambini irpini e un gruppo di giovani foggiani, che in occasione della Befana avevano promosso una colletta per regalare dei giocatori a quei bambini.
“Che bella storia, raccontala!”, mi disse Mazza. Quando, il giorno dopo, gli portai l’articolo, che raccontava la consegna dei doni, vidi il suo sguardo illuminarsi mentre lo leggeva. “Va bene, va benissimo”.
Non ebbi il coraggio di chiedergli se pensava che avrei potuto diventare un giornalista. Però da quel momento, mi considerò semplicemente un collega.
Ci sforzavamo di trovare e raccontare storie speciali. Maurizio mi incoraggiò a specializzarmi a poco a poco nelle inchieste (lui non ordinava mai, piuttosto incoraggiava, suggeriva): mi occupai di sanità, di integrazione scolastica dei portatori di handicap, temi allora addirittura pionieristici, per l’informazione locale.
Mazza aveva una considerazioni tutta speciale dei giornalisti, li considerava una sorta di eletti.
“In una città – mi ripeteva – l’informazione è essenziale come l’acquedotto o la pubblica illuminazione. I lampioni lungo i viali illuminano i quartieri, i giornali rischiarano la mente, e noi abbiamo il dovere di fare il nostro mestiere con la massima onestà intellettuale possibile.”
Lo crucciava il fatto che i giornalisti foggiani non avessero un’associazione, non si sentissero una categoria. Più tardi, quando i sentieri della vita mi avrebbero portato a lavorare in altre redazioni, avremmo cercato assieme, con alterne fortune, di ridare vita all’Assostampa Dauna.
L’onestà intellettuale era una qualità innata in Mazza, e faceva di lui un galantuomo d’altri tempi. Del resto la sua vita, il suo lavoro, furono sempre un complesso equilibro tra passato e presente.
Come giornalista doveva occuparsi dell’attualità. Come direttore del museo era fatalmente immerso nel passato. Fu proprio lui, però, a insegnarmi che il confine tra ciò che è stato, ciò che siamo e ciò che saremo è assai più labile di quanto non si pensi.
“Se i foggiani si rendessero conto della grandezza del loro passato, se sentissero l’orgoglio di essere discendenti dell’Arpi romana e della città imperiale di Federico II, amerebbero di più la loro città, si sforzerebbero di farne un posto migliore.”
Potrebbe essere i testamento spirituale di un uomo, di un signore che non ha vissuto abbastanza per assistere al declino inesorabile della città che lo ha adottato e che lui ha ricambiato, amandola sinceramente e profondamente.
Dovremmo riprendere la grande lezione spirituale e culturale che Maurizio Mazza ci lascia in eredità, imitando e rinnovando il suo impegno, per fare di Foggia un posto migliore, come lui sognava.
Geppe Inserra
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Bene ha fatto l'amico e collega Massimo Mazza a ricordare la figura del papà Maurizio. Non solo per l'encomiabile opera di un figlio che rende omaggio ad un signor giornalista e personaggio d'altri tempi, ma per aver colmato un vuoto informativo e culturale su un ampio e articolato pezzo di storia foggiana.
Ho avuto il piacere e la fortuna di intervistare Maurizio Mazza quando avevo appena 19 anni. Lavoravo a "Teleradioerre" e conducevo settimanalmente la rubrica 'Stampa Oggi', un panorama informativo nazionale e locale su quel che accadeva in àmbito giornalistico. Mazza fu cortese a venire in trasmissione e si stupì che un ragazzino qual ero si occupasse addirittura di stampa e informazione in generale. Gli chiesi del perché una città grande come Foggia, con molte TV, tante radio e svariati settimanali (all'epoca) non riuscisse a editare un quotidiano. Al di là degli alti costi di gestione, mi disse che Foggia non aveva l'ambizione di guardare in alto. E credo avesse proprio ragione.
Un altro dei motivi che rendevano popolare la figura di questo signore – che per come si muoveva e parlava avrei ben visto anche in una commedia del grande Eduardo! – era la sua passione per le sedute spiritiche. Non volle però che ne parlasimo in trasmissione ma a microfono spento mi narrò di epiche nottate durante le quali… "intervistò" alcuni grandi personaggi del passato.
Attendo ora con ansia di leggere il libro che Massimo ha presentato questa sera al Museo Civico di Foggia, nelle "sue" sale, Museo che proprio grazie alla faticosa opera di Mazza fu possibile riaprire nel 1966 (alla presenza dell'allora Pres. del Consiglio Aldo Moro). Una forte influenza mi ha impedito di essere con voi, ma il ricordo di "don Maurizio" resta indelebile e molto caro.
N.B.: Un solo appunto, ai miei maestri Mazza e Inserra: trovo errato considerare Arpi città romana, giacché sarebbe stata fondata ben 430 anni prima di Roma.
Cordialmente (Maurizio De Tullio)
Dimenticavo di dire che era la primavera del 1977 e in quel programma intervistavo ogni settimana i giornalisti foggiani più autorevoli del tempo, almeno quelli che si resero disponibili (non lo furono, per l'allora proverbiale "puzza sotto al naso" i colleghi della 'Gazzetta del Mezzogiorno'). Ricordo con piacere Mario Romano, Peppino Paoletta (che mentre lo intervistavo tratteggiò una azzeccata caricatura del sottoscritto), Luca Cicolella, Mario Ricci, Gaetano Matrella ed altri che mi sfuggono. Il programma finì nel 1978, perché nel frattempo (estate del '77) era partita anche l'avventura della TV. Era la "Teleradioerre" del pionierismo, della gestione Forlani-De Mauro. In redazione con me ricordo Marcello Mari(ella) oggi pentastellato dauno, Ciro Santoro, Davide Leccese, Gino Caserta, Micky De Finis, Michele Maielli, Gianfranco Sammartino, Gabriele Arminio e il "mitico" prof. Salvatore De Angelis. E in regia (o per le riprese) Mario Loprieno, Nicola Nardella, Nicola Tizzani e Tonio Forcella. E chi non ricorda la bionda speaker Mila Cavallo, dall'improbabile pronuncia ma dalla simpatia virale? E su tutti la professionalità, disponibilità e simpatia della cara Marisa Ferrari, segretaria infaticabile e dolcissima.
Altri tempi? Sì, certo: per la distanza trascorsa e per la qualità dell'impegno, che si profondeva in assenza di mezzi adeguati. Averli allora la tecnologia e il risparmio dei costi connessi attuali, avremmo fatto concorrenza… non dico alla RAI ma almeno a "Telenorba"!
Cordialmente (Maurizio De Tullio)