Sala del Tribunale di Palazzo Dogana gremita per ascoltare le ragioni del “no” al referendum del 4 dicembre, esposte dal prof. Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale. La manifestazione è stata organizzata dal Comitato provinciale per il “no”.
I lavori sono stati introdotti dall’on. Michele Galante, promotore del comitato: “il premier Renzi sta dando una interpretazione caricaturale alla campagna elettorale. Chi è per il sì è buono e riformista, chi sostiene il no è cattivo e conservatore. È la conseguenza del percorso della riforma costituzionale, che ha privilegiato il correre rispetto al riflettere. La Costituzione deve unire il Paese e non dividerlo. Questa riforma è invece fortemente divisiva. È stato tradito lo spirito della Costituzione, che è quello di essere la casa comune di tutti gli italiani.”
Il prof. De Siervo ha esordito ricordando le diverse riforme costituzionali che il paese ha vissuto.
“L’Italia ha cambiato molte volte, 36 in tutto, la Costituzione o le leggi costituzionali. Lo ha fatto seguendo le regole sancite dalla costituzione stessa, approvata dal novanta per cento dell’assemblea costituente, ovvero affidandosi a percorsi politici orientati ad ottenere il consenso più ampio. Solo in tre casi le modifiche non sono state approvate dalla maggioranza dei due terzi. La riforma del 2001, che ha rivisto i rapporti tra Stato e regioni. Poi quella di Berlusconi, bocciata poi dal referendum del 2006. E infine. quella attuale.”
Secondo il prof. De Siervo non è vero che la riforma su cui il popolo italiano sarà chiamato a votare il 4 dicembre riguarda norme solo organizzative: “le modifiche chiamano in causa i valori fondanti della Costituzione. Per citare soltanto due esempi: una cosa è se il paesaggio o il sistema sanitario vengono gestiti da enti vicini al cittadino, ben altra se a farlo è lo Stato.”
“Il bicameralismo – ha proseguito il relatore – va rivisto e razionalizzato, ma non è vero che è la causa della lentezza del procedimento legislativo. “
In proposito, il presidente emerito della corte costituzionale ha ricordato che “la legge sul finanziamento pubblico ai partiti venne approvata da entrambi i rami del parlamento in soli tre giorni”.
Le critiche del prof. De Siervo si sono rivolte anche a diversi aspetti tecnici. “Abolire il senato non sarebbe stato una tragedia. Invece si è preferita una soluzione pasticciata, e perciò pericolosa. La legge modifica il bicameralismo con pesanti scivolate. Non vengono indicati i criteri di elezione del senatori con il rischio di produrre una assemblea opinabile. Si ricorre, come già successo con le Province, ad un’elezione di secondo livello, il che è sempre pericoloso perché gli eletti vengono scelti dal sistema politico, senza alcun confronto con i cittadini.”
“Il Senato delle autonomie e dei territori – ha detto ancora il professore – dovrebbe bilanciare lo schiacciamento della Camera sugli interessi ministeriali. Potrebbe funzionare se al senato venissero attribuiti poteri veri. Ma non è così. Corriamo il rischio che diventi un Senato di dopolavoristi. Come si può approvare un bilancio dello Stato in 15 giorni riunendo si solo nei fine settimana? Il risparmio? Sarebbe bastato ridurre del venti per cento gli stipendi dei parlamentari.”
Il prof. De Siervo si è detto preoccupato in modo particolare dal riordino dei poteri: “Le regioni vengono espropriate di tutti i poteri legislativi. Dalla riforma scompare l’elenco delle materie proprie delle regioni. Siamo alla vigilia di una colossale riedizione dello stato unitario e accentrato. Tra qualche anno sarà normale che il prg di Foggia vada a Roma per l’approvazione e non a Bari. Ma c’è di più: tutto questo non vale per le cinque regioni a statuto speciale. Le regioni dovrebbero essere tutte uguali, dovrebbero essere tutelate solo le minoranze linguistiche. Prendiamo l’articolo che prevede che lo stato possa intervenire in alcuni casi, per esempio per la tutela dell’unità nazionale, anche nelle materie di competenza regionale. Questa norma non vale per le regioni a statuto speciale.”
Il professore ha concluso la sua relazione contestando, punto per punto gli slogan con cui i sostenitori del Sì stanno affrontando la campagna referendaria: “Si riduce la Casta? Curioso che a dirlo sia proprio il capo della Casta. Non è vero che tutto sarà più semplice. Non è vero che si risparmia e non è vero che ci sarà più trasparenza e partecipazione. I cittadini non sapranno neanche chi sono i senatori. Stiamo attenti a non farci prendere in giro. L’italicum cambierà solo se la riforma sarà respinta.”
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E' da segnalare riguardo alle modifiche alla Carta costituzionale l'articolo di Antonio Ingroia apparso su "il Fatto Quotidiano" di giovedì 6 ottobre, nel quale l'autore sintetizza l'analisi compiuta nel suo recente libro "Dalla parte della Costituzione" (editore Imprimatur). Nel suo articolo Ingroia scrive tra l'altro: "La posta in gioco è la realizzazione definitiva di un piano che viene da lontano, dagli anni bui in cui Licio Gelli muoveva attraverso la P2 i fili del Paese, che manovrava per realizzare il progetto eversivo trasfuso nel Piano di rinascita democratica. Perché la riforma di Renzi-Boschi è figlia di quel Piano e di quei progetti ad esso ispirati che si sono affacciati alla ribalta in quarant'anni di assedio alla Costituzione. L'obiettivo è sempre lo stesso, cui hanno lavorato non solo Gelli ma anche Craxi, Cossiga, Berlusconi e da ultimo Napolitano. L'obiettivo è … sbarazzarsi della Costituzione per cancellare la nostra democrazia parlamentare … e scongiurare il pericolo che possa mai attuarsi la democrazia orizzontale e partecipativa voluta dai Padri costituenti. Per sostituirla con una Repubblica verticale, dove comandano in pochi e i cittadini vengono ridotti a sudditi da governare."
E' da segnalare anche il libro appena uscito di Aldo Giannuli "Da Gelli a Renzi (passando per Berlusconi)" editore Ponte alle Grazie, in cui l'autore sottolinea i punti di convergenza tra la riforma costituzionale sostenuta dal Governo e quanto proposto dal Piano di Rinascita Democratica di Gelli